IN
OCCASIONE CHE VESTE L’ABITO DI S. FRANCESCO
NEL MONISTERO DI
SANTA CHIARA DI PADOVA
LA SIGNORA ELENA
ZANON
CAPITOLO
AL
SIG. PROSPERO CARAMANI SPEZIALE
Signor
PROSPERO mio, vi parlo schietto;
Tutto
il giorno mi struggo al tavolino
E
venite voi pur per un sonetto?
Sembra
cosa da nulla un sonettino,
E pure
il peso a me rassembra tale
Come il
carico pesa ad un facchino.
Se non
foste un degnissimo speziale,
Che più
dell’interesse ama l’amico,
Direi
lo fate acciò mi venga un male.
Son
quattordici versi, anch’io lo dico;
Non è
la quantità, ma l’argomento
E
l’intenzion che mettemi in intrico.
Io che
di novità vago mi sento,
Dover
sempre ridir la stessa cosa,
Per
monache, o per nozze, è il mio tormento.
È ver
che quella santa religiosa
Figlia
è di padre tal che mi vuol bene,
E dirvi
un no la Musa mia non osa.
Anzi, a
mia confusione, or mi sovviene
Ch’ei
per altri mi chiese, un dì, i miei carmi,
Ed io
mal corrisposi alla sua spene.
E
questa occasïon saria di farmi
Degno
del suo perdono, e il suo bel cuore
E
l’amicizia sua riacquistarmi.
Onde,
per dirla, reputo un favore
Chiesta
mi abbiate una composizione,
Ma per
fare un sonetto io non ho cuore.
Molto
meno una lirica canzone,
Un’oda,
un’elegia, ch’io non mi glorio
Star
coi vati sublimi al paragone.
Quelle
son cose per il conte Florio543
Che
Italia nostra e i nostri tempi onora,
Che ha
della dolce poesia l’emporio.
Ei, che
il nobile vate ama ed onora,
Avrà
carmi da lui sublimi, e degni
Di
questa figlia, che il suo Cristo adora.
Sfugge
la Musa mia dagli alti impegni:
La mia
lira, il mio plettro è il colascione;
E del
facile stil non passo i segni.
E se
talvolta in simile funzione
Invitato
a cantar mi feci onore,
N’ebbe
il merto lo scherzo, e l’invenzione.
Ma
stanco d’inaffiar col mio sudore
L’arbore
che fruttava in quel giardino,
Consumate
ho le frondi, e il frutto, e il fiore.
Mi è
rimasto del tronco un fuscellino,
Che per
ultima scorta avea serbato,
E di
spremerne il succo ora destino.
E in
avvenire, se verrò cercato
Ad
inventar in argomento eguale,
L’arbore
mostrerò bello e seccato.
Paragono
la chiostra monacale,
Prospero mio, di semplici a un giardino,
Ch’è la
vigna miglior dello speziale.
In
quelle mura il santo Amor divino
È il
giardinier che le celesti piante
Custodisce,
e coltiva al lor destino.
Erbe là
dentro salutari e sante
Si
veggono fiorir, che han la virtute
Di
risanare infermità cotante.
Pien
d’aconito è il Mondo, e di cicute;
Sono i
farmachi suoi dell’arte inganno
Che la
morte ci reca, e non salute.
Chi
oppresso ha il sen d’orgoglïoso affanno,
Colga
nel chiostro d’umiltate il fiore,
Della
superbia a medicare il danno.
Chi
d’avarizia macerato ha il cuore,
Trova
di povertà, fra quelle soglie,
La
bella pianta d’ogni ben maggiore.
Chi è
circondato dalle triste voglie
Della
scorretta umanità infelice,
Ecco di
castità le sante foglie.
Se
dell’invidia forsennata ultrice
Punger
sentite crudelmente il seno,
Quivi
d’amor fraterno è la radice.
Se
della gola il perfido veleno
V’accende
il cor, dell’astinenza il seme
Alle
sordide brame impone il freno.
Chi
d’ira acceso si distrugge e freme,
Di
santa pace e carità fraterna
Vegga le
piante a germogliare insieme.
E chi
dall’ozio e dall’accidia eterna
Oppresso
vive, se al giardin s’accosta,
Sentirassi
cambiar la noia interna.
Ecco,
mirate, al bel giardin si accosta
Vergine
saggia, che nel proprio seno
Ogni
bel fiore è a coltivar disposta.
Elena, trapiantata in quel terreno,
Arbor
diventa dalla grazia eletto
A
estirpar dalla terra ogni veleno.
Piena
di santo amor la lingua e il petto,
Sarà di
lutti medica pietosa
Coi
dolci accenti e coll’umile aspetto.
Questa
sarà la pianta prodigiosa
Che
saprà col consiglio e coll’esempio
Guarir
la piaga in ogni seno ascosa.
Farmaco
per guarire il cuor di un empio
Né
Ippocrate ci mostra né Galeno,
Né
d’Esculapio si ritrova al tempio.
Quanti
mali nel mondo avria di meno
L’uomo
a patir, se i cinque sentimenti
Colla
sana ragion ponesse a freno!
E la
farmacopea medicamenti
Quanti
men spacceria, se i cristïani
Fossero
più discreti e continenti!
Gli
oppiati, le triache e gli orvietani,
Le
confezion, le pillole, i sciroppi
Dar si
potriano per minestra ai cani.
E se i
vizi dell’uom non fosser troppi,
Tanti
empiastri, cerotti e digestivi
Non vi
sarian per istroppiare i zoppi.
E voi
altri speziai sareste privi
Della
fatica di prestare aiuto
Con i
farmachi vostri ai corpi vivi.
Se quel
vago giardin testé veduto
Fosse
luogo per tutti, in mia coscienza,
Se non
c’entrassi anch’io, diventi muto.
Ma di
vergini sante è residenza.
Chiedo
per grazia dalle sacre soglie
Qualche
frutto al mio cuor di penitenza.
Elena pia, che in quelle rozze spoglie
Serbate
ancora l’animo gentile,
Deh
cambiate al mio cuor pensieri e voglie.
In
avvenir più mansueto e umile
Soffrirò
i pesi della sorte ingrata,
Virtute
usando in superar la bile;
E la
coscienza d’ogni mal purgata,
Non
avrò più d’intorno alcun malanno:
Ecco,
la medicina ho ritrovata.
Signor
Prospero caro, vostro danno.
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