FACENDO
LA CONTROSCRITTA RELIGIOSA
LA SOLENNE
PROFESSIONE COL NOME
DI MARIA
CROCEFISSA DI GESÙ
CAPITOLO
II
Se Dio
mi salvi, astrologo son stato,
Prospero mio gentil, quando vi ho detto
Ch’era
il vostro mestier bell’e spacciato:
Ch’Elena, medicando l’intelletto
Di chi
si affissa negli esempi suoi,
Rendere
può ciascun sano e perfetto.
E,
diciamola schietta in fra di noi:
Prevedendo
dell’arte le rovine,
Credo che
la lasciaste il primo voi,
E
ponendo in non cal le medicine,
Parmi
che siate divenuto a un tratto
Spezïal
da confetti e paste fine.
Poiché,
in grata mercé di quel che ho fatto,
Mi
mandaste canditi e zuccherini,
E di
confetti e di ciambelle un piatto.
Né
amici, né parenti, né vicini
Ebber
da me di que’ confetti un solo,
Né la
moglie medesma, o i nepotini.
Tengoli
nello studio, e mi consolo
Ora
questo, ora quel frutto assaggiando,
E la
noia talor dal sen m’involo.
Prendo
in bocca un confetto, e distillando
La
dolcezza nel petto a poco a poco,
Vo le
viscere mie dolcificando.
E
giunto il sale dell’addome al loco
Dove i
sedici nervi uniti sono,
Manda
fino al cervello un dolce foco;
E in me
destando delle rime il suono,
Dolce
metro m’ispira e dolci carmi,
E
dolcissimo poi scrivo e ragiono.
Ora che
di bel nuovo a domandarmi
Versi
venite per la pia donzella
Che si
vota per sempre ai Sacri Marmi,
A
soddisfarvi l’animo mi appella;
Il
soverchio cantar fioco mi ha reso,
Ed
arrocata è la mia Musa anch’ella;
Ma un
de’ vostri confetti in bocca ho preso,
E
dimenatol fra le labbra alquanto,
L’aspera
lingua raddolcir m’ho inteso.
E la
voce disciolgo al dolce canto,
Fuor di
me stesso in estasi rapito
Dallo
poter dell’argomento santo.
Febo i
dodici segni ha già finito
Di
visitar, della sua sfera intorno,
Dacché
il sacco la vergine ha vestito.
E
sospirava, ed affrettava il giorno
Da
poter dir: Togliermi sol può morte
Queste
mie lane e questo mio soggiorno.
Chiudansi
pure dell’uscir le porte,
Che con
tre chiodi alla divina Croce
Son
crocifissa di Gesù consorte.
Dal
cuor si parte la triplice voce
Che con
tre voti a Dio mi crocifigge
Per man
d’Amor, pietosamente atroce.
L’anima
in Dio contenta non affligge
Castità,
povertà, né obbedïenza,
Che il
volgo ignaro per dolor trafigge.
Due son
le vie che in nostra dipartenza
Dall’albergo
terren guidano al Cielo:
O
innocenza nativa, o penitenza.
Là Dio
mercè, se custodito ho il velo
Del
primiero candor, sperar mi giova
Arder
fra le lucerne del Vangelo.
Ma
l’inimico tutto dì fa prova
Di
soffiar contro alla leggiera vampa,
Per il
desio che d’ammorzarla ei cova.
Felice
quel che dal periglio scampa,
E della
Grazia l’unico riparo
Sa
porre intorno dell’accesa lampa.
Quanto
riesce il pentimento amaro
A chi
per colpa ai gemiti soggiace,
Patir
per grazia all’innocente è caro.
E
Babilonia nella ria fornace
Mira i
tre giovanetti in mezzo al foco
Lodare
il Nume, e passeggiare in pace.
Prospero, ahimè, che sul più bel vien
roco
L’inusato
mio stile, e di un candito
D’uopo
averei per confortarmi un poco.
Ma non duran le cose all’infinito,
E il
soave piacer dei zuccherini
(Dio
perdoni la gola) ho già finito.
Ed è
inutil perciò ch’io mi tapini,
Ché sì
preziosi amabili dolciori
Non si
trovano al mondo per quattrini.
Quello
zucchero avea tanti sapori
Quanti
ne avea la manna del deserto,
Che
coglievan gli Ebrei fra l’erbe e i fiori.
E fin
dapprima io lo tenea per certo
Che i
dolci vostri fosser benedetti,
Prospero, da colei che ha divin merto:
Che Maria Crocefissa
a quei confetti
Avesse
data la benedizione,
Che
oltre natura li rese perfetti;
Ed è
fondata questa mia ragione
Sull’esperienza,
che Ippocrate chiama
Delle
cose maestra e decisione.
Come la
Musa mia povera e grama,
Di lei
cantando di virtù ripiena,
Potea
sperar di soddisfar sua brama?
Come
potea cangiar comica vena
Nel
sacro umor dalla mia penna uscito,
In cui
la man si riconosce appena?
Ecco il
prodigio che sincero addito;
Terminata
la fonte di dolcezza,
È il
dolce metro dal mio sen smarrito.
Dir mi
resta di lei, che il mondo sprezza,
Le
battaglie sofferte, e le vittorie
Che
riportar sull’Inimico è avvezza.
E
vorrei pur nelle future istorie
Per
esempio mandar delle donzelle
I
commentari delle sue memorie;
E dir
vorrei che le virtù più belle
Dall’onorato
genitore apprese,
Che il
miglior latte coll’esempio dielle.
Ma da
me solo per sì fatte imprese
Atto
non sono, e mancami quel bene
Che
maggior di me stesso un dì mi rese.
Finiti
ho i dolci, e terminar conviene.
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