STRAVAGANZA
Porgete,
o donne, al mio sermone orecchio.
È l’Apologo mio di conio antico,
Reso
però da nuovo stil men vecchio.
La
carne, il mondo e l’infernal nemico
Attendevano
al varco una donzella
Nata
dell’Adria nel
terreno aprico.
Ogni
studio adoprando, ogni arte fella,
Bramosi
di contar, fra mille prede,
Il
cuore avvinto della vergin bella.
Lentamente
Cupido il senso fiede,
Dicendole:
Nemica di natura,
Odi
quello che Dio comanda e chiede.
Nell’atto
di formar la donna pura,
Non
disse il Creator: Ti ho destinata
A viver
casta fra solinghe mura;
Ma
dell’uomo compagna i’ t’ho formata,
A solo
fine che la specie umana
Rendasi
dal tuo sen moltiplicata.
Iddio
non ti fe’
già robusta e
sana
Acciò
t’avessi a seppellir tra i vivi,
O star
rinchiusa in ozïosa tana.
Tutti
diran che d’obbedir tu schivi,
Timida
troppo, a quel divin precetto
Ad Eva
imposto, e a chi da lei derivi.
Vedi le
spose, che in giocondo aspetto
In pace
stansi cogli sposi allato,
Amor
nutrendo dolcemente in petto.
Ama,
ché il casto amor non è vietato;
Natura
il chiede, di cui sei tu parte;
Gradisci
un ben che con te stessa è nato.
Appien
scoperta la lusinga e l’arte,
Rigida
la donzella: Va, risponde,
A
tentar chi ti crede in altra parte.
Non mancan donne al secolo feconde.
Monaca
voglio farmi a tuo dispetto;
Ogni
gloria, ogni ben, cercar vuò altronde.
Nata
son per servire al mio diletto;
Ah lo
sento nel cor, che a sé mi chiama:
Carne,
sei vinta dal divino affetto.
A tai
ripulse svergognata e grama
Parte
l’audace sensual nemica,
Rientrando
il mondo a ritentar sua brama.
Odi,
dicendo, o mia diletta amica,
Fai
torto col fuggir alla Fortuna
E al prisco onor di tua magione antica.
Sai che
dell’ampia veneta laguna,
Sperando
dal tuo sen novelli eroi,
A te
d’intorno il più bel fior s’aduna.
Non
negare alla patria i figli tuoi:
Ella
ricchi d’onor fe’ i
tuoi maggiori,
Legge
vuol che risponda ai doni suoi.
Mira gli
antichi ed i novei splendori
Ove
nata tu sei: viltà s’appella
Nutrir
desio pei solitari orrori.
Inclita
figlia, vezzosetta e bella,
Spoglia
le lane, del tuo grado indegne:
Trista
non farti nell’angusta cella.
Ecco
degli avi le superbe insegne;
Rimira
il genitor, che da te aspetta
Onor
novello all’opere sue degne.
Dura
vita menar vorrai negletta
Entro a
cupo recinto, e soffrir mesta
La
libertade al cenno altrui soggetta?
Leggi
le sacre carte. Saggia e onesta
Ogni
stato può farti, e al Ciel puoi gire
Senza
quel vel che Religion ti appresta.
Puoi
nel mondo patir, se vuoi patire;
Il
matrimonio ha le sue croci ancora.
Regolato
piacer non s’ha a fuggire.
Interrompe
il fellon la Sacra Suora:
Tristo,
dicendo, ti conosco appieno,
Ogni
via tenti perch’i’ n’esca fuora;
Stolto
sei, se lo speri: io stringo al seno
Altro
Sposo, altra croce, e il piè non metto
Nel
periglioso lubrico terreno.
Temo
gli abusi e il secolo scorretto;
Odio le
pompe e le ricchezze umane:
Iddio
soltanto mi riscalda il petto.
Non usar
meco tai malizie vane:
Va, che
pur troppo troverai chi ascolte,
Ebbro
di gioia, tue lusinghe insane.
Nero di
rabbia, e colle luci svolte,
Esce,
fremendo, il seduttor mendace,
Zelator
empio delle genti stolte.
In sua
vece sottentra il mostro audace,
Avido
d’alme, regnator d’Averno,
Che
abborrisce fra l’uomo e Dio la pace.
Ah
vergine, dicendo, ah qual ti scerno
Prossima
ad arrischiare il ben dell’alma,
Incontro
andando al pentimento eterno!
T’adopri
invan per rintracciar la calma:
Or bel
ti sembra ciò che un dì parratti
Legge
severa alla tua fragil salma.
Odimi:
i’ ti vo’ far migliori patti.
Donna e
giovane sei, vaga e gentile,
E sei
vezzosa alla favella e agli atti.
Lascia
degli anni tuoi fiorir l’aprile,
Dona
alla fresca età gioia e diletto;
Offri
poscia al rigor l’età senile.
Tepido
or temi a divozione il petto,
Temi
stancarti nella dura impresa:
Ornati,
e godi, in più ridente aspetto.
Risponde
allor la verginella accesa:
Con chi
credi parlar, Demonio atroce?
A chi
pensi la rete aver distesa?
Rapida
fassi il segno della croce;
Lucifero
sparisce, e si rimpiatta
Oltre
al confin
della tartarea
foce.
Giubila
nel suo cuor la sposa intatta,
Or che
si vede fra le vie beate
Libera
dalla ria triplice schiatta.
Donne
gentili, se saper bramate
Ordita
per chi sia sì gran fatica,
Nei
capoversi il nome ricercate;
Io
lascio che l’Acrostico vel dica.
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