LA
GALLERIA DI VERSAGLIES
OTTAVE
Lontan
dagli occhi, lontano dal core:
Proverbio
vecchio quanto la Befana;
Falsa
filosofia, che non fa onore
Né al
galantuom, né alla natura umana.
La
stessa servitù, lo stesso amore
Serbo a
Vostra Eccellenza ancor lontana:
Lo
stesso amor, la stessa padronanza,
Credo
ch’Ella mi serbi in lontananza.
E credo
ch’Ella si sovvenga spesso
Di
queste della Senna alme pendici,
Dove il
suo nome in mille cuori è impresso
Con
salde immarcescibili radici.
Facile
in Francia il forestier l’accesso
Trovar
non suol: pena a trovare amici.
Ella
cogliendo del suo merto i frutti,
Fu di
tutti l’amico, e caro a tutti.
Alla
Corte, a Parigi, ov’io mi trovo,
D’Ella
ognuno mi parla, ed ogni giorno
Formar
i’ sento qualch’elogio nuovo
Al di
Lei cuore, e al di Lei spirto adorno.
Oh qual
piacere, oh qual diletto io provo
Quinci
e quindi veder venirmi intorno
Prenci,
duchi, ministri e semidei,
Chieder
novelle, e ragionar di Lei!
Ciò
m’accade sovente, e potrei farmi
Onor
pingendo i spessi incontri e varii;
Ma
della Sua bontà non vuò abusarmi,
Né
distrarla vogl’io da’ gravi affari:
Soffra
che d’un sol giorno, al suon de’ carmi,
Unir
possa gli eventi, e il mondo impari,
E
arguisca da ciò, quanto s’onora
Il di
Lei nome in queste parti ancora.
Ella si
sovverrà di quell’amena,
Superba,
adorna Galleria spaziosa,
Che
alle stanze del Re da un lato mena,
Dall’altro
al quarto dell’estinta sposa.
Da un
capo all’altro si distingue appena
Il bianco
e il bruno dal color di rosa:
Trentadue
piè francesi ha di larghezza,
Dugento
ventiquattro di lunghezza.
Quest’ampia
Galleria ne’ dì festivi
Piena è
di Versagliesi e Parigini,
Gravi
ministri, militar giulivi,
Cortigiani,
mercanti e cittadini,
Vezzose
donne, giovani non schivi,
Che si cambian fra loro abbracci e inchini,
Facili
madri, comodi mariti,
Mille
ritratti in un sol quadro uniti.
Fra
quei seduto mi trovava un giorno
Presso
un de’ diciassette ampi balconi,
Ove del
parco riccamente adorno
Vedonsi
le diverse ampie estensioni,
E il
gran Canal, che triplicato ha il corno,
E si
parte, e si stende in tre regioni,
E le
statue, e i giardini, e le fontane,
E
cent’altre bellezze uniche e strane.
Vedea
al di fuor quel che ho descritto in parte
E
vedea dentro
passeggiar la gente,
Ché
duplicati con mirabil arte
Sono
gli oggetti da cristal lucente.
Ad ogni
ampio balcon, dall’altra parte
Contrapposto
è uno specchio, che rasente
La
terra al basso, e il cornicion di sopra,
Fa che
in mille prospetti il bel si scopra.
Mentr’era
intento a contemplar l’efetto
Dell’ottico
cristallo, a me sen viene
Un
giovane Francese in grave aspetto
(Due
qualità che non si accordan bene):
Abito
nero, picciol mantelletto,
Bipartita
la chioma in due catene,
Ma col tuppé
stuccato in eccellenza,
Colle
man nelle tasche, e il piè in cadenza.
Io che
a Parigi lo vedeva spesso
Con
spada, e piuma, e con capegli in borsa,
Campion
giurato del femmineo sesso,
Ai
pubblici passeggi a far la corsa,
Questi
(fra me dicea) questi è quel desso
Con cui
cenato ho la stagione scorsa?
Ma mi
ha convinto una ragion ch’è forte:
Tai son
pazzi a Parigi, e savi in Corte.
Con un
cenno di man mi fa un saluto,
Perché
non osa muovere la testa.
Indi: — Poiché seder vi ho qui veduto,
Vengo a
farvi (mi dice) una richiesta:
Da un
ministro stranier si è qui saputo
Che il
cavaliere Gradenigo è in festa:
Chi è
quella fra le Venete leggiadre,
A cui
tien luogo il cavalier di padre?
—
Signor, rispondo, è Gradeniga
anch’ella
La
madre sua fu per consorte eletta...
— Presto (mi dice) il Svizzero m’appella;
Son
raccolti i ministri, e il re m’aspetta.
— Vada, vada, signor, la mia storiella
Esser
breve non può. — No, mi diletta;
Dite,
dite. —
Ma il re, padrone mio...
— Può far senza di me. — Lo credo anch’io
L’illustre
madre, di cui parlo, è nata
Della
famiglia Contarini antica,
Famiglia
che d’eroi la patria ha ornata,
E
n’ebbe il premio dalia Patria amica.
Di quai
virtudi Maddaluzza è ornata
Concepir,
non che dir, posso a fatica.
O
esempio, o ammirazion delle amorose
Tenere
madri e delle saggie spose!
Consorte
fu di un Gradenigo, adorno
Della
patrizia porpora sublime;
E il
suo gran zio, che qui vedeste un giorno,
Quel
teatin che riverenza imprime,
Arcivescovo
fatto al suo ritorno,
Fa che
in essi egualmente ammiri e stime
Udine,
ed il Friul, Venezia e il mondo
La sua
pietade, e il suo saper profondo.
Tolto
alla dama dalle Parche ingrate
L’amato,
amante e amabile consorte,
Vedova
sconsolata in fresca etate,
Pianse
il rigor d’inesorabil morte.
Delle
saggie, prudenti alme onorate,
Sostenne
il peso vigorosa e forte,
Ma vuol
virtude che il dolor si tempre,
Né
condanna la legge a pianger sempre.
Due
figlie a lei restar del primo letto... —
M’interrompe
il Francese: —Ho inteso, ho inteso:
Il cavalier
fu dal destino eletto
A
consolarla, e alleggierirle il peso.
Ei l’ha
sposata; ch’e’ sia benedetto.
Or si
sposa una figlia, ho già compreso.
Lo
Svizzero mi chiama, il re mi aspetta.
—
Parte, e fa nel partir la piroletta.
Tutta
l’arte non può, tutto l’ingegno,
Mascherar
la natura. In quel momento
Della
sua gravità scordò l’impegno,
E giva
a salti, più leggier del vento.
Di
seguirlo coll’occhio anch’io m’ingegno.
Per
veder s’entra nell’appartamento.
Ma
dritto ei prende per un altro calle,
E alle
stanze del re volge le spalle.
Ridendo,
allora a passeggiar mi metto,
E al
carattere penso originale;
Quando
incontro un signor che aveva in petto
Di San
Luigi l’ordine reale:
Buon
militar, che al venerando aspetto
Ha il
cuor conforme, e il pensamento uguale.
Quando
il Francese è nell’età matura,
Cambia
l’antico stil, cambia natura.
Mi
saluta cortese, e mi richiede
Nuove
del Gradenigo, e s’ei ben tosto
Anderà
a Vienna ad occupar la sede
D’ambasciatore,
e qual sublime posto
La
Patria augusta al merto suo concede,
Poiché
il merito suo non è nascosto.
E
finisce dicendo: — I pregi sui
Conosco,
ed amo, e m’interesso a lui.
Sua
Eccellenza (rispondo in brevi accenti)
È, per
grazia di Dio, giocondo e sano:
Alla
sede imperiale andrà a momenti,
E per
la patria non si adopra invano.
Fra i
Savi grandi del Consiglio, intenti
A ben
condur di quel governo il piano,
Dov’è
il gran ministero e il gran maneggio,
Gli è
riserbato degnamente il seggio.
—
Sì, degnamente (il Militar riprende):
Saggio,
dotto, prudente il cavaliere,
Conosce
le nazion, gli affari intende,
Sa dei
principi il dritto ed il potere.
La
Francia ai merti suoi giustizia rende:
Ammirano
i ministri il suo sapere,
Ed il
primo fra questi al Gradenico
Fu
sincero mai sempre utile amico. —
Battermi
sulle spalle allor io sento:
Volgomi
indietro, e veggo un duca pari,
Che lo
Spirito Santo avea d’argento
Tessuto,
e adorno di brillanti rari.
— Una
nuova, dic’ei, con mio contento
Per
Versaglies si è sparsa, non ha guari,
Di un
maritaggio che l’illustre e degno
Gradenigo interessa al maggior segno.
Di
Venezia veduto ho il bel paese:
Là
conosciuto ho l’inclita famiglia,
La
madre saggia, e il genitor cortese
Di
questa, ch’or si sposa, amabil figlia.
E la
giovin conosco, e la francese
Donna
che l’ha educata a maraviglia.
Tutto
questo già, so, ma curïoso
Son di
saper qual sia l’illustre sposo.
—
Signor, (rispondo) il cavalier sublime
Della
famiglia de’ MICHELI è nato,
Fra le
antiche patrizie, e fra le prime
Che
forma e leggi al bell’impero han dato.
Le
genti sue, d’oro e d’onori opime,
Han
l’antico splendore ognor serbato,
E utili
fur, col senno e colla mano,
All’augusto
Senato e al Vaticano.
Il
saggio, il prode, Niccolò gentile,
Che
all’illustre Isabella oggi si
sposa,
Maturo
ha il senno nel più verde aprile,
Il cor
robusto, e l’anima pietosa.
Caro
agli eguali, coi maggiori umile,
Agli
infimi la man porge amorosa:
Dotto,
modesto, cavalier d’onore,
Della
patria e de’ suoi speranza e onore. —
Volea
più dir, ma una
gentil damina,
Con due
braccia di coda in busto e vesta,
Colla
faccia languente e porporina,
Ci
vede, ci saluta, e là si arresta:
Ciascheduno
di noi la dama inchina;
Ella a
me fa la solita richiesta.
Come
gli altri saper è desïosa
Nuove
del Gradenigo e della sposa.
E il
duca e l’uffizial presero uniti
D’instruire
la dama il grato impegno,
Ed i
fatti da me poc’anzi uditi
Abbelliro
ed ornar col loro ingegno.
La
gentildonna: — Fortunati i liti
Dell’Adria
(dice), fortunato il regno!
Felice
sposa, d’ogni ben fornita,
Se il
nuovo sposo il cavalier imita!
Quante
volte a Parigi ed alla Corte
(Seguia
la dama) il Gradenigo invitto
Dell’amabile
sua degna consorte
Esaltò
i pregi, e il merito ha descritto!
Quest’amor
vero, virtuoso e forte,
Che lo
rendea per la distanza afflitto,
A chi
invidia destava, e a chi diletto,
E
esigeva da noi maggior rispetto. —
In
questo mentre si aprono le porte
Donde
per ordinario il re vien fuori,
E uno
Svizzero altier, sonoro e forte
S’ode: — Largo, gridar, largo, signori. —
Tutti
voglion veder, quando il re sorte;
Cresce
la folla, crescono i rumori;
La dama
non si move, e par che goda
Che le
zappino tutti in su la coda.
Chi di
qua, chi di là spinge ed è spinto;
Ciascun
vuol esser della prima fila;
Or
questi, or quegli dalla folla è vinto,
Or
s’arresta, or s’avvanza, ed or defila.
Formasi
una spalliera in un momento
Di tre
mila persone, o quattro mila:
E si
stringe, e si affanna il popol folto
Sol per
vedere il suo Monarca in volto.
Corron
per questo e vengon di lontano
Uomini e
donne, giovani e canuti:
Alcun
di lor per non venire in vano
Stanno
in piedi quattro ore, o mal seduti;
E son
felici se dal lor Sovrano
Pon
lusingarsi d’essere veduti.
Questo pe ’l lor monarca amor non finto
E ne’
Francesi un naturale instinto.
Confuso
nel tumulto anch’io mi trovo,
Più non
vedo la dama e i due signori;
E, come
posso, di sortir mi provo,
Nemico
della folla e dei rumori.
Ecco
una nuova calca, un rumor nuovo.
Per
andare alla Messa il re vien fuori.
Eccol:
— Qual è? dov’è? — Com’è abbigliato?
Ditemi
quando passa. — Egli è passato.
Corrono
alla Cappella i malcontenti
Per
vederlo in tribuna o al suo ritorno.
Onde
scemate in galleria le genti,
I
restanti goder del bel soggiorno.
Altri a
mirar le antiche statue intenti,
Altri i
busti, ed i vasi, e i marmi intorno.
Ed
altri a contemplar le memorande
Azion
dipinte di Luigi il Grande.
In nove
quadri di grandezza estrema,
E in
diciotto minor, di man del Bruno,
Del
secol dell’eroe diviso è il tema,
Ed i
fatti dipinti ad uno ad uno.
Là combatte,
là vince, al dïadema
Là
Minerva obbedisce e là Nettuno,
Là i
rei punisce, là il perdon concede,
Là
gl’invalidi suoi premia e provede.
Vostra
Eccellenza che conosce appieno
Il bel
di Francia e il buono de’ Francesi,
Svegli,
inspiri il desio de’ sposi in seno
Di
veder delle Gallie i bei paesi.
Nati
fra le grandezze, saran meno
Dal
bel, dal grande dei stranier sorpresi:
Ma che
venghino in Francia... oh il Ciel volesse...
Parlo,
confesso il ver, pe ’l
mio interesse.
Benché
lontan dalla mia Patria, in petto
Serbo,
coltivo quel primiero instinto,
Quel
naturale radicato affetto
Che può
sol colla vita essere estinto.
Bramo e
cerco ogni dì nuovo soggetto
Per
rendere col fatto altrui convinto
Che di
grazia e virtù. Venezia abbonda,
Che di
spirti sublimi ella è feconda.
Tutti
quei ch’han viaggiato altrui fan fede
Di
questa verità. Vostra Eccellenza
L’ha
mostrato abbastanza, onde si crede
Il
publico convinto ad evidenza.
L’illustre
ambasciator ch’or qui risiede
Confermerà
la publica
credenza,
Ma v’han
degli scrittor falsi, mendaci,
Ch’han
di favole empiuti i fogli audaci.
Quante
volte sentii, tristo e confuso,
Dirmi: — È ver che in Italia è il tal costume?
È egli
ver che in Venezia evvi il tal uso? —
Cose
contrarie di
ragione al lume.
Rido
talvolta, e l’ignoranza scuso,
Scuso
l’ardir di chi saper presume;
Ma quel
che m’arrivò l’anno passato
Merita
d’esser detto e registrato.
Era a
Parigi in casa di una dama,
Ove da
solo a sola avea pranzato.
Un’ambasciata.
Un cavalier che brama
Di
riverirla. — Fate ch’entri. — È entrato.
Servitor...
Servitor... Servo... Madama
Mi
presenta e mi noma al titolato.
Sente
ch’i son d’Italia, ed ei cortese:
—
Oh Italia (esclama), oh il pessimo paese! —
Resto,
confesso il ver, resto interdetto
A un
primier complimento di tal sorte.
Seguita
a dir: —
Regna colà il sospetto;
Sono le
mogli schiave del consorte.
I fier
mariti portan
lo stiletto,
Chiudon
per gelosia finestre e porte;
Non
sortono le donne per la via
Che
ricoperte all’uso di Turchia. —
Mi
riguarda la dama in quell’istante,
E mi
domanda se cotesto è vero.
Risponder
voglio, l’altro si fa avante,
E mi
guata, e sorride, e dice altero:
Non
crediate che invan saper mi vante
Dell’Italia
il costume, a noi straniero.
Degli
usi e dello stil sono informato
Qual se,
per rio destin, ci fossi nato. —
Non
potea contener la bile in petto,
Ma
prudenza e ragion mi ha sostenuto.
Signor,
lui dico con unil rispetto,
Certamente
l’Italia avrà veduto...
No,
m’interrompe, ma de’ libri ho letto,
Ma un
bravo viaggiatore ho conosciuto;
E la
lettura e l’instruzion verbale
Mi
assicurar di tutto in generale. —
I’ volea dir: ma nel momento intesso
La
dama, che non manca di talento,
Dice,
rivolta a me: — Comprendo adesso
Della
sua relazione il fondamento.
Il
libro ch’egli ha letto sarà impresso
Forse
del quattrocento o cinquecento;
E il
viaggiator, che l’ha sì ben servito,
Non
sarà forse dalla Francia uscito. —
Prese
ella avea le parti mie sì bene,
Tal
farsi io vidi il cavalier vermiglio,
Che,
fra me dissi, spinger non conviene
La
disputa più avanti, ed il puntiglio.
Io
taccio, ed egli freme, e si contiene.
Per me
credo il partir miglior consiglio.
Ella
non vuol che io parta, e l’uomo dotto
S’alza,
saluta, e parte chiotto chiotto.
Non
creda già Vostra Eccellenza ch’io
Novella
inventi o dica un’impostura,
Ché, le
posso giurar sull’onor mio,
Questa
è la verità sincera e pura.
Per
tale antico pregiudizio, e rio,
Che già
in molti è distrutto, e in pochi dura,
Battuto
mi sarei con più persone,
Se non
fossi cristiano, e un po’ poltrone.
Vengan
gli eccelsi sposi
a farmi forte,
Vengano
a far onore al lor paese,
E
Parigi vedrà, vedrassi in Corte
Quanto
la nostra Nobiltà è cortese.
Venga a
far pompa il nobile consorte
Di que’
talenti che in Venezia apprese;
Venga
la saggia dama, e rechi anch’essa
Gloria
alla Patria, ed all’Italia istessa.
Noti i
pregi mi son di quegli e questa,
Ma di
lettere un fascio ho ricevuto
In cui
più chiaramente è manifesta
La
comun lode e il publico tributo.
Né può
l’invidia torbida e molesta
La lor
pace turbar col dente acuto,
Ché a
ogni salda virtù quella prevale,
Che ha
l’applauso concorde e universale.
Alcuni
avea di questi fogli in mano,
Li
rileggeva col novel diletto,
Libero,
cheto, e sol, mentre il Sovrano
Trattenevasi
ancor nel sacro tetto;
Quando
veggio venir di mano in mano
Dal
gran Salon, che della Guerra è detto,
Gente
che entrare in Galleria si pressa;
Ch’era
finita, o per finir, la Messa.
Chiamarmi
a nome, e domandarmi intendo
Da un
Parigin da un cervellin balzano:
Che
leggete di bel? — Signor, riprendo,
Questo
foglio, che io leggo, è italiano...
E ben,
soggiunge, l’italian comprendo — ,
E me lo
strappa (in così dir) di mano,
E poi
legge Amicò carissimò.
E
finisce con dir: benissimò.
La
lettera mi rende, curïoso
Di
sapere però quel che contiene.
Cerco
di soddisfarlo, e leggo, ed oso
Di
tradurla in francese, o male o bene.
Sente
le lodi dell’illustre sposo,
E gli
rende l’onor che a lui conviene;
Ma
quando il foglio la sposina esalta,
Giubila,
si contorce, e canta, e salta,
Sente
la leggiadria del volto ameno,
E il
brio vivace, e il ragionar cortese,
E le
grazie di cui io spirto ha pieno,
E le
bell’arti che felice apprese.
M’abbraccia,
e grida il Parigin sereno:
Ah non
le manca ch’essere Francese!
Ah
peccato ch’altrove ella sia nata;
Venga
in Francia, e
sarà perfezionata.
—
Ci verrà, ci verrà, signor, rispondo;
Lo
desidero almeno, almen lo spero.
Ma di
grazia e saper possede il fondo,
Né
d’uopo avrà di precettor straniero.
Eh
tacete, ripiglia, non v’è al mondo
Che un
sol Parigi. Venere l’impero
Trasportato
ha a Parigi, e quivi solo
Amor
spirano l’acque, e l’aura, e il suolo
—
Deh signor, dir volea, si persuada,
Che la
veneta Dori ha antica fama
Di
bellezza e di grazia... — Ei non mi bada;
Passar
vede un amico, e a sé lo chiama.
— Vien, marchese, dic’ei, vien, se ti aggrada,
I
prodigi a sentir d’illustre dama:
Dama
italiana, amabile, compita,
Che
quasi quasi le Francesi imita.
— Perché quasi? — risponde il Marchesino.
Credi
tu che in Italia i suoi favori
Venere
non isparga? e il dio bambino
Manchi
di strali per ferire i cuori?
Colà
non suole l’impostor carmino
Coprir
almeno i naturai colori...
— Ah viva (esclama il Parigin gioviale)
La
bellezza innocente e naturale.
— Sei tu stato in Italia? — Ci son stato.
— Hai veduto Venezia? — L’ho veduta.
— La grazia? la beltà? — M’hanno incantato.
— Lo spirto? — Agl’Italian non si disputa.
— E in Venezia? — E in Venezia l’han
passato
Giovine
Gradeniga ho conosciuta
Saggia,
vivace, virtuosa e bella...
— E Isabella
si chiama? — Sì, Isabella.
— Amico, amico, la sposina è questa... —
E
l’abbraccia, e m’abbraccia, e salta, e dice:
— Marchesin, Marchesin, mi viene in testa
Un’idea
singolare, idea felice;
Presto
prendiam le Poste, ed alla festa
Degli
sposi novelli andiam, se lice.
— Sì (risponde quell’altro), sì di cuore.
— Fede da Cavalier. — Fede d’onore. —
Il
marchese da un lato, il Parigino
Vola
dall’altro: fortunati amici,
Se ver
Italia prendono il cammino,
Se gli
eccelsi vedran sposi felici!
Ma sia
per abitudine o destino,
In
Francia un difettuccio ha le radici:
Facil
la gioventù propone e accorda,
E
facile si pente, o se ne scorda.
Ma
supposto che adempino il disegno,
Confesso
il vero, il naturale amore
Della
patria mi punse a cotal segno,
Che d’invidia
sentimmi ardere il cuore.
Rinunzierei,
per un piacer sì degno,
L’utile
scarso e l’abbondante onore
Ch’io
godo in Francia: ma decreti ignoti
Inutil
rendon le speranze e i voti.
Possibile
che un dì non mi sia dato
Di qui
veder Vostra Eccellenza almeno,
E
l’alma sposa collo sposo allato,
E la
gran madre che nutrilla in seno?
Venga
quel dì felice, e voglia il fato
Farmi
con tal piacer contento appieno,
E gli
eccitin di Francia al gran tragitto
Le cose
almen che in questi fogli ho scritto.
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