LETTERA
IN VERSI
DI UN FIGLIO AL
PROPRIO PADRE
Nella
crudel distanza in cui ci tiene il fato,
No,
padre, il figlio vostro di voi non s’e scordato,
Né
cesserà giammai di conservare in petto
Per voi
la tenerezza, l’amore ed il rispetto.
Spera
tornar là dove vide la prima aurora,
Spera
ancor di vedervi, ed abbracciarvi ancora.
Ma fino
a che divisi ci tien sì lungo tratto,
Padre,
non vi dispiaccia gradire il mio ritratto :
Ché, se
parlar non puote, né articolare il ciglio,
Vi farà
almen più spesso risovvenire il figlio.
Questa
mutola effigie tien nelle mani un piego.
Leggerlo
voi potete: il suo tenor vi spiego.
Padre,
la carta dice su tela colorita,
Padre,
il men che mi deste, fors’è il don della vita.
Fu il
maggior ben che ottenni l’onesta educazione,
Le
massime d’onore, lo zel di religione,
A cui
contribuendo la cara genitrice,
Mancare
non potean di rendermi felice.
Questi
principi saggi, uniti al vostro esempio,
Fer
nella casa nostra della Concordia il tempio.
Le
dilette mie suore recanvi gioia e pace,
D’amarvi
il buon germano si studia e si compiace.
E
scelto ha una compagna sì rara ai giorni nostri
Che
rispettosa e grata aumenta i figli vostri.
Deh,
genitor amato, prendete voi l’impegno
Di
ripartire ad esse di mia amicizia un pegno.
Prendete
e dividete a suore ed a cognata
I
scarsi testimoni d’un’alma non ingrata;
Ed
aggiungete ancora de’ vostri accenti al suono
Quello
che più aggradevol può far lo scarso dono.
E alla
pia genitrice, e a voi, buon genitore,
Bacia
le mani il figlio, manda in tributo il core.
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