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Carlo Goldoni Componimenti poetici IntraText CT - Lettura del testo |
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PREDICA XXXIV
Della presenza di Dio. L’Uomo Cattolico sarebbe sempre in grazia di Dio, se stesse sempre colla mente e col cuore alla presenza di Dio. Perché
1 Iddio, che tutto vede, le cagionerebbe rispetto per non peccare. 2 Iddio, che tutto può, le imprimerebbe timore per rissorger dal peccato. 3 Iddio, che a tutto provede, le arrecherebbe fiducia per stabilirsi nella penitenza.
SONETTO
Tu, che per isfogare i desir tuoi Fuggi dell’uomo il testimon sovente, Pensa che in ogni luogo è Dio presente, Indi in faccia di Dio pecca, se puoi. Deh rispetta il suo sguardo, anzi de’ suoi Sguardi temi lo sdegno onnipossente, Che mercé del timor, Gesù clemente Peccatori converse in santi eroi. Quale in vita chiamò Lazaro estinto, Così Saulo converse in Paolo giusto, Provido dando lui timore e spene: E così ognun perseguitato, e cinto Dalle interne passion, fatto robusto, Dio mirando, col cuor, santo diviene.
Alla sua dilettissima cugina la signora Anna Maria Indrich, che veste l’abito religioso nel monastero di San Rocco e Santa Margarita assumendo il nome di Maria Eccelsa
Verginella, che nei chiostri Confinate i giorni vostri, Che fuggite il mondo rio Per volare in braccio a Dio, Di tal fuga, di tal volo, Io con voi me ne consolo. È costume inveterato, Se le figlie prendon stato, O nel mondo, o in luoghi santi, Dir di lor le glorie, i vanti, Esaltando il loro zelo Per la terra, o per il Cielo. V’è talun, che poco o nulla Conoscendo la fanciulla, La dipinge francamente Qual se fosse a lui presente. V’è chi finge mille amanti Per la bella deliranti, V’è chi piange nella tonaca Come morta, chi va monaca. Tutti poi tracciando vanno, Come ponno, e come sanno, Della loro nobiltà La preziosa antichità: Dei parenti graduati, Dei più nobili antenati Le virtuti, le prodezze, Le fortune, le ricchezze. Io che son di voi cugino In un grado assai vicino, Che la vostra degna Madre Fu sorella di mio Padre, Non dirò di quelle cose Che dir soglio all’altre spose. Già di vostro Genitore, Pien di fede, pien d’onore, La virtute ed il decoro È palese a tutto il Foro. Della vostra Genitrice Dir i vanti a me non lice: Ella nacque da quel rio D’onde venne il nascer mio; Dirne bene non dovrei, Dirne male non potrei. Lasciam dunque cose tali, Che non sono originali; Permettete che io vi parli Con il cor, senza adularvi, E vi dica francamente Tutto quel che vienmi in mente. Io del Ciel non vi ragiono, Che teologo non sono, E del Ciel vi parla al core La tutrice, e il confessore. Io vi parlo della terra, Di quell’aspra, cruda guerra, Che fa il mondo ai fidi suoi, Che fu sempre ignota a voi. Ei non vien nemico certo A sfidare in campo aperto, Ma da scaltro i lacci tende, Ed al varco i cuori attende, Quale esperto cacciatore Degl’augelli ingannatore. Se una figlia vanarella Ha desio di farsi bella, Collo specchio la diletta Qual errante lodoletta. Egli solo ha il tristo vanto D’immitar di tutti il canto: Or sul ramo, ed ora al suolo, Invitando l’ussignuolo A goder dell’ombre liete, Lo circonda colla rete. Con chi rompe i lacci frali, Verso il Ciel battendo l’ali, Si trasforma il mostro fiero In figura di sparviero, E col rostro alfin lo pugne, E lo sbrana alfin coll’ugne. L’infelice si nasconde Tra i cespugli, tra le fronde. Ma lo scuote dalle tane, E l’addenta il fiero cane, O di piombo il crudel volo Fa che ei cada estinto al suolo. Fuga certa, asilo fido, Trova sol nel proprio nido. Per fuggir dal mondo rio, Voi fuggite in seno a Dio, Nido vostro, nido vero, Cui non giunge il mostro fiero. Ma lasciam l’allegoria, E parliam, cugina mia, Collo stile naturale, Che ad ogn’altro stil prevale. Quello stato benedetto, Che da voi vi avete eletto, Sano egli è dal tetto in su, Bello egli è dal tetto in giù. Lieta cosa è l’esser fuori Degl’impicci e dei rancori Dello stato coniugale, Ch’è sovente a noi fatale. Dato ancor che i coniugati Sian felici e fortunati, Mille doglie, mille pene Amareggian tutto il bene. I figlioli ed il consorte, I lor mali e la lor morte Pene sono tormentose Alle madri ed alle spose. E la suocera e la nuora, Che non stanno in pace un’ora, Fanno il dolce matrimonio Una pena da demonio. S’entra poi la gelosia Oh Dio buon! Cugina mia, Che tormento maledetto! Che rancor che sbrana il petto! Voi sapeste a ciò sottrarvi, Voi studiaste liberarvi Da quel danno, da quel tedio, Di cui morte è il sol rimedio. Né può dirsi che al periglio Tolto v’abbia altrui consiglio Questo velo, questo chiostro, Frutto è sol del desir vostro, I celesti vostri ardori Secondando i Genitori. Ite lieta al sacro Altare, Ecco, Dio giulivo appare. Fede e amore a lui giurate. Ite lieta, e giubilate. Ma perché sì mesta in viso Ite incontro al Paradiso? Perché andar turbata in faccia Dello Sposo in fra le braccia? Umiltate, è vero, insegna Il temer non esser degna Di quel ben che a voi concede Il Signor dell’alta sede; Ma il Profeta ne’ suoi canti Va dicendo ai cuor più santi Che l’uom giusto, che l’uom pio, Con letizia serve a Dio. Ite dunque, alma innocente, A sacrarvi all’ara ardente; Se donate al pio Signore Qualche lacrima d’amore, Se pregate per gl’ingrati, Deh piangete i miei peccati. Impetrate a me il perdono, Della grazia il santo dono; Dite spesso al vostro Dio: Raccomando il cugin mio.
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