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Carlo Goldoni Componimenti poetici IntraText CT - Lettura del testo |
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LA MASCHERATA Poemetto in occasione delle felicissime Nozze fra Sua Eccellenza il Sig. Lodovico Rezzonico e la Mobil Donna Cont.a Faustina Savorgnan.
Tutte le cose in sua stagion son belle. Bello è il goder la primavera, i fiori; Bel piacere al seren di chiare stelle È andar, l’estate, a temperar gli ardori; Fra pastori, l’autunno, e pastorelle, Meschiansi con piacer dame e signori; Godonsi nelle frigide giornate Giochi, feste, teatri e mascherate. Or che unisce Cupido a illustre sposa Fortunato, gentil, nobil garzone, Per sì bell’imeneo vorrei far cosa Che adattar si potesse alla stagione. Musa, tu che sai far la spiritosa, Trova per queste nozze un’invenzione. Siamo di carnovale; a tuo talento Studia qualche novel divertimento. Ma non vorrei che ti venisse in testa Di compor Dramma, o immaginar Commedia: Lasciami respirar da una tempesta Che tutto l’anno mi tormenta e assedia; E al teatro, lo sai, cura non presta La nobiltà, che di ascoltar si attedia, Quelli sturbando, che stariano attenti, Visite, cerimonie, e complimenti. Fa questa volta che inventar si provi Qualche cosa di nuovo il tuo cervello. Sterile tu non sei di pensier nuovi, E quel ch’è nuovo, suol passar per bello. Dirmi forse vorrai che più non trovi, Stanca dal faticar, pensier novello? T’insegno l’arte per uscir d’intrico; Puoi rinnovar qualche costume antico. Tempo già fu, nella mia verde etate, (Dir mi vergogno il numero degli anni) Che solevansi usar le mascherate, Ch’erano all’occhio deliziosi inganni. Compagnie si vedevano istoriate Con bizzarre divise e ricchi panni, E facean, gareggiando in tale impegno, Il buon gusto spiccare, e il bell’ingegno. Ora un nuovo sistema usa il gran mondo. Comodo e libertà ricercan tutti. Si è perduto fra noi quel brio giocondo Che producea dell’allegrezza i frutti. E pure, e pur delle ricchezze al fondo Gli uomini piucché mai sono ridutti: Che se in pubblico allor faceansi onore, Or la spesa in privato è assai maggiore. Ora costa una cena, un desinare, Quel che costava un carnovale intero. Par non si possa in compagnia mangiare Senza il cuoco francese e il vin straniero. Una conversazion non si può fare Che non rechi l’invito un gran pensiero. Tanto la soggezion salita è in su, Che la vera allegria non si usa più. Musa, la penna non ho presa in mano, Per criticar degli uomini il costume. So che fare da me si spera in vano Quel che non fa della ragione il lume. Suole dal mondo riputarsi insano Chi contro l’uso taroccar presume. Pensi dunque ciascuno a’ casi suoi; Non istiamo a impazzar, pensiamo a noi. E tornando a ridir quel ch’io dicea, Sembrami in occasion di nozze tali La mascherata graziosa idea Per uscir dalle cose universali. Al basso ingegno la virtù febea Vaglia col suo potere a impennar l’ali; Onde lo studio e l’invenzion sia grata A sposo egregio, e alla donzella ornata. Dodici ritroviam d’età conforme Giovanette vezzose, ed altrettanti Spiritosi garzoni. In varie forme Figurate le spoglie e i lor sembianti, Vadano a due a due stampando l’orme Per le pubbliche vie, fra suoni e canti. E sieno in lor di questi sposi egregi Simboleggiate le virtudi e i pregi. Reggasi innanzi, e al lieto stuol proceda, Macchinetta gentil di lauri ornata, In cui la Fama campeggiar si veda Coll’ali al dorso, e colla tromba aurata. Amor da un lato a’ piedi suoi risieda Coll’arco vuoto e colla face alzata, E da un coro di ninfe e di pastori Questi s’odan cantar carmi sonori. « Ecco la Fama, che d’intorno al lido Le vittorie d’Amor spande verace. Ecco, Vinegia, il vincitor Cupido, Che fatto ha il colpo, ed or riposa in pace. Amor non è lo seduttore infido, Non è più Amor l’ingannator mendace. L’arco mirate disarmato ancora; Ha fatto un colpo che il suo nome onora. Ferito ha il sen d’amabile donzella: Ferito ha il cor del cavalier più degno. Ecco sposa gentil, vezzosa e bella, Che di virtute e delle grazie ha il regno. Ecco sposo, che agli atti e alla favella D’onore ostenta il più verace impegno. Il saggio Amor le due bell’alme annoda, Onde fia che la Patria esulti e goda. Di Lodovico e di Faustina ai pregi Formate, o ninfe, e voi, pastori, il serto; Noti già son del loro sangue i fregi, Le ricchezze, gli onor, le glorie, il merto. Dell’Adria i geni ai nuovi sposi egregi Tesson di laudi nobile concerto. Ecco la Fama, che il bel nodo addita, Eccovi Amor, che la gran coppia ha unita. » Dietro la vaga macchinetta industre Siegua lo stuol per la bell’opra uscito. Veggasi in pria la Nobiltate illustre, E seco il Merto strettamente unito. A vicenda fra lor ciascun s’industre Rendere il proprio fregio in due partito, Donando al Merto Nobiltà il splendore, Ed il Merto accrescendo a lei l’onore. La Ricchezza succeda, e ad essa allato Siavi il Decoro che le regga il piede. L’una, il capo di gemme e il petto ornato, Mostri di providenza ampia mercede. L’altro, seguendo il suo costume usato, Porga la mano a chi pietà gli chiede; Ma il braccio annodi alla compagna in guisa Che lodata si vegga, e non derisa. Seguiti poscia la Bellezza anch’ella Per man guidata dal pudico Onore. Ella si adorni per parer più bella, Ed ostenti nel volto un bel rossore. L’una tempri d’Amor l’auree quadrella, L’altro colle sue man difenda il cuore. Quella al compagno suo parli all’orecchia, E rispondale questi: In me ti specchia. Mirinsi dietro a lor la Gioventute Ed il Consiglio passeggiare uniti. Questi per impedir le sue cadute Le regga il braccio, e il buon sentier le additi. Porgale un quadro, in cui della Virtute Tutti i pregi maggior sien coloriti, E in ogni passo che la giovin tenta, Faccia che stia nella Virtude intenta. Bella mostra dipoi faccia il Sapere, Dalla Prudenza accompagnato e scorto. L’uno ostenti ne’ libri il suo piacere, L’altra secondi il nobile diporto. Ma se più che non lice, ama sapere, Dicagli la Prudenza: Io nol comporto. Ed il libro sospetto oltramontano All’incauto Saper tolga di mano. Vadano finalmente uniti e stretti La Modestia e il Piacer, coppia felice; E spiegando il Piacere i suoi diletti, Non le vieti Modestia il ben che lice. Ma del vario desio, dei vari affetti Sia la bella Virtù moderatrice. Onde la man della Modestia accorta All’onesto Piacer serva di scorta. Chiuda la misteriosa mascherata Coro d’altri pastori e pastorelle; E la voce concorde all’aere alzata, Cantino i giovanetti e le donzelle: « O voi, che avete per la via mirata La compagnia delle Virtudi belle, Quelle Virtù con più verace aspetto Son di Faustina e Lodovico in petto. » Musa, il tempo sen vola, il bel disegno Più non si tardi a rendere compito. Le belle donne non avranno a sdegno D’intervenire al grazioso invito: E i giovanotti accetteran l’impegno, Avendo il merto degli sposi udito. Farà venir le genti di lontano Il Rezzonico nome, e il Savorgnano. A chi noti non sono i nomi loro? L’Italia nostra e la Germania il dica. Sparge la Fama sua dall’Indo al Moro De’ Savorgnani la famiglia antica; Ed il prisco serbando almo decoro Nell’Adria augusta, alle bell’opre amica, Degli avi illustri ai memorandi pregi Colle porpore eccelse accresce i fregi. De’ Rezzonichi il ceppo ha in più d’un ramo Nel bel terren di Lombardia fiorito. Nella patria di Plinio illustri abbiamo Memorie antiche del Lor sangue avito276. Or le radici dilatar veggiamo L’arbor felice sull’adriaco lito, E fra gli eroi del Veneto Senato Di vermiglio color tinto e fregiato277. Roma non men la bella pianta onora, E suo sostegno il Vatican l’appella278. Quella virtù che santamente odora, Fa la porpora sacra ancor più bella. La Chiesa, il Mondo e la sua Patria infiora L’eccelso ramo che con Dio si abbella. Padova fortunata, a cui star lice Sotto l’ombra di lui lieta e felice! Oh come il tralcio porporato immita Il ramuscel ch’ora è del Tebro in riva279! E la bella Vicenza oh come addita Di Lodovico la virtude attiva280 E la germana di bontà fornita, Che il sangue illustre Vidimano avviva281! E le altre due che han preferito il chiostro, Onor fanno al bel sesso e al secol nostro282. Ma dove, ah dove mi trasporta il zelo? Dove mi guida il mio desire ardito? Tanto poter non mi concede il Cielo Per far elogi a un merito infinito. Pone il rispetto alla mia mente il velo, E l’ignoranza alle mie labbra il dito. Canti di lor chi di sapere è adorno; A regolar la mascherata io torno. Ragunare possiam lo stuolo intero Di Canalregio agli ultimi confini: Ci daran luogo nel Palagio, io spero, Nobili e generosi i Bonfadini283. Poscia in ordin prendendo il bel sentiero, Si conduca la turba e si avvicini Alla magion signorilmente ornata, ’Ve la sposa sublime al mondo è nata. Ivi della Virtù si renda onore Alla gran donna che nutrilla in seno284; Diasi merito e lode al genitore, Di gloria vera e di splendor ripieno: Ch’ambi formar della donzella il cuore, E la mente felice, e il volto ameno. Diasi lode condegna ai zii sovrani, E ai generosi nobili germani. Colà supplito all’umile rispetto, Prendiam la via che a rinvenir conduce Della famiglia Vidimana il tetto, Ove gloria ed onor risiede e luce. E di Quintilia al venerando aspetto, In cui vera bontà dal cuor traluce, Poiché la cura del corredo ha presa, Canti ciascun la ben condotta impresa. Nel palagio alla fin vasto e pomposo, Che un albergo real pareggia e immita ’Ve il magnanimo cuor d’illustre sposo Ad eterno piacer la sposa invita, Entri la turba e il popol curioso, Dove il buon gusto maraviglie addita, Le stanze ammiri e i nobili apparati E da scelti pennelli i cieli ornati. Soddisfatto il piacer fra tai splendori, Passi a cantar nella gran sala il coro. La madre illustre e il genitor si onori, Esempi veri di virtù e decoro. Del figlio loro ai fortunati amori Della pace s’implori il bel tesoro. Ricchezza e nobiltà diletta e piace; Ma condisce ogni ben del cuor la pace. Vada poscia lo stuol lieto e ridente Nella gran Piazza a terminar la festa, E del veneto suol la folta gente Corra giuliva a vagheggiarlo, e presta. E dal canto, e dal suon, che dolcemente L’allegrezza comun nel popol desta, Sian resi al fine i spettator contenti Da tai sonori musicali accenti: « Adria felice, rasserena il ciglio; Ecco il bel nodo che ha formato Amore. Verrà, verrà, da sì bel nodo il figlio, Che alla tua reggia accrescerà l’onore. Se prese Amor dalla Virtù il consiglio, Sperar non si potea gloria minore. Odi la Fama, che d’Amore il grido Sparge con dolce suon di lido in lido.» All’occidente declinando il sole, Sen vada altrove a gareggiar l’ingegno. Fra liete danze ed agili carole Segua lo stuol dell’allegrezza il segno. Musa, col ballo, terminar si suole Nel carnevale il più giulivo impegno. E il pensier nostro, che tai sposi onora, Qui può finir la mascherata ancora.
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276 La Casa Rezzonico nobile, antica, della città di Como. 277 Il fu Eccellentiss. Signor Cavaliere e Procurator di San Marco D. Aurelio Rezzonico. 278 Il Regnante Pontefice Clemente XIII, in quel tempo Cardinale. 279 L’Eminent. Cardin. Nipote di S. S., in quel tempo Prelato. 280 L’Eccellentiss. Sig. Don Lodovico Rezzonico, ora Cavaliere e Procuratore di San Marco, era stato poco prima Podestà di Vicenza. 281 Donna Quintilia Rezzonico Contessa Widiman. 282 Due Nobil Donne Sorelle Rezzonico, Monache in Santa Caterina, la prima delle quali è Abbadessa. 283 Congiunti e grandi amici della Casa Rezzonico. 284 L’Eccellentiss. signora Marina Canal Savorgnan. |
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