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Carlo Goldoni Componimenti poetici IntraText CT - Lettura del testo |
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CAPITOLO Scritto da Bologna a Sua Eccellenza il signor Paolo Baglioni, in occasione delle sue nozze can Sua Eccellenza la sig. Elena Diodo.
Signor, io so che l’Eccellenza Vostra Ricolmo ha il cor di cortesia per tutti, E il lieto viso del bel cor fa mostra; E quei lo san che n’han ricolti i frutti, Ed il sezzaio non son io fra tanti, Che han vosco i giorni in allegria condutti. Ancor sovviemmi di que’ dolci canti A desco molle, e al margine del lago, E dei piaceri non goduti innanti. E tanto in mente il vostro Massanzago291 Emmi restato, che a stagion novella, S’ i’ nol riveggio, non sarò mai pago. Ma non sol questo a inviar m’appella A voi, signor, questo mio scritto; io sono A farlo mosso da cagion più bella. Parvemi udir d’allegre voci il suono Dir: Paolo è punto dal fanciul Cupido, E il giovin saggio alla catena è prono. È ver che lungi dall’adriaco lido Menai la vita dieci lune in giro, E tardo giunse a penetrarmi il grido; E meco stesso del destin m’adiro, Che d’altra parte giungami l’avviso, E non da voi, cui di servir desiro. Ma il duol per poco scolorimmi in viso. Tutt’altro cesse al subito pensiere: In gioia stassi il mio signore, e in riso. E se il tempo e le forze al buon volere Rispondesser del pari, farei seco, Bene o mal fosse fatto, il mio dovere. Volano i giorni, e da per tutto ho meco Cure moleste, e col mio canto appena Sul Ren poss’io ai Vinizian far eco. Incontro vassi a riaprir la Scena, E in certo ginepraio entrai quest’anno, Che ho, per uscirne, a faticar di schiena. Vonno i maestri di color che sanno, Che più bell’estro a poetar ci spinga, Se l’alma è scevra da molesto affanno. Né pensate, signor, ch’io sogni o finga, Se quella gioia, che v’innonda il petto, Mi ravviva, mi desta, e mi lusinga. Poiché s’è ver, com’è vero in effetto, Che amistà diasi fra i distanti gradi, E fra il servo e il padron verace affetto, E per lo spazio d’ottocento stadi, Onde Bologna da Vinegia è lungi, Amor il lago dell’oblìo non guadi, Ma cresca, come da vicin, da lungi Sul mobil dorso dell’alato veglio Amor, non nato, come nasce i fungi, Vero sarà, che con più forza e meglio M’allacci il nodo che sol morte spezza, A voi che siete di bontà lo speglio; E l’odierna genial dolcezza, Di cui v’ha colmo il fanciullin Cupido, In me svelga ogni seme d’amarezza. Elena saggia, che alla dea di Gnido Può contrastar nella tenzone il pomo, Venere bella dell’adriaco lido, Quella che vostra vincitrice io nomo, Poiché col dolce raggirar dei lumi Punsevi il core, dall’amor non domo: Quella che per beltà, vezzo e costumi Fa lieve il nodo che a tant’altri è duro, Quando amor mesce fra le rose i dumi, Elena, nata di quel sangue puro Che diè al Senato, ai secoli vetusti, Eroi che gloria della Patria furo, E di valore e di scienza onusti Serban gli esempi nell’età presente Del tralcio antico nei novelli arbusti: E voi, signor, poiché il destin consente De’ pro Baglioni e Barbarighi il sangue Unir de’ Diedi alla cospicua gente, Quell’avito splendor che in voi non langue, Chiaro vedrete pullular nei figli, Schiacciato il capo dell’invidia all’angue. Prole dianvi gli Dei che a voi somigli Nel buon costume, nel bel cor sincero, Nel chiaro lume dei miglior consigli. Apransi i voti miei l’agil sentiero Delle nubi e de’ cieli, e al trono accolti Sieno dal Rege dell’eterno Impero. Più dir vorrei, ma i miei pensieri avvolti Stansi soverchio in comici lavori Che saran tristi, ma sudati e molti. A voi, signor, consolator de’ cuori, Scopro la tela che ho finora ordita E che tesser destino a più colori. Udite omai, se l’intrapresa è ardita292. La prima sera sul Parnaso monte Il biondo Dio le Nove Suore invita; E le Sorelle obbedienti e pronte Offronsi ai cenni dell’amico Nume, Inebbriate dal castalio fonte. Clio, che l’istoria favorir presume, Sorge primiera, ed offerir s’impegna Del Macedone invitto il ver costume293; Ed al lepido il grave unendo, insegna In drammatici carmi ai spettatori Ch’è, qual noi, schiavo di passion chi regna. Tersicore del ballo i prischi onori Piange in tosco linguaggio, in terza rima, Deridendo i scorretti danzatori294; E Melpomene austera, all’alta cima Aspirando del Monte, invita allarmi La sua rival, che ha fra di noi più stima; E cogl’itali suoi tragici carmi D’Artemisia la fé, l’amore ostenta, Onde al re estinto consacrati ha i marmi295 Sorge Talìa, che favolette inventa, E punge, e sferza, e deridendo in prosa Gl’Innamorati, il suo desir contenta. E l’amabile Euterpe armoniosa Tragge dal canto il lepido argomento, E collo stil martellian fa glosa. Urania, che le stelle e il firmamento Ed i pianeti esaminar non pave, E faticar degli uomini il talento, Unir saprà di Zoroastro al grave Nome regal gli astronomi ignoranti, Mille tessendo armoniose ottave. Erato, madre d’amorosi canti, Dalla virtù di barbaro paese Trarrà il rossor degl’infedeli amanti. E lo sdrucciol, che un dì grato si rese, Ed or proscritto è dalle nostre scene, Scopo sarà di sue novelle imprese. Calliope ardita ad offerir sen viene Novelli carmi, non usati ancora, Il di cui metro col latin conviene. Ella gli epici vati è che avvalora, E l’argomento all’azion destina Trar da Virgilio, che l’Italia onora. L’ultima è quella che al bel dire inclina; Polinnia ha nome, e tratterà soggetto Grato alla donna ch’è del mar reina. Libero stile è al suo piacer diletto; E in vari metri, or vincolati, or sciolti, Spera l’impegno ai spettatori accetto. Parmi veder vario— dipinti i volti Di chi udirà tale progetto ardito, Dubitando talun se il vero ascolti. Ma di cinque l’incarco ho già compito. Restan le quattro, e se il concede il fato, Non mirar spero il mio desir fallito. Deh, signor, se talvolta io vi fui grato, Ite a soffrir la prima sera in scena D’Apollo i detti colle Muse allato; E colla sposa amabile serena, Che per vostro conforto il Ciel vi diede, Deh non vi spiaccia sofferir la pena: Il servo vostro per amor vel chiede.
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291 Villeggiatura di S. E. 292 L’autore narra al Cavaliere le cose teatrali che aveva preparate per far rappresentare in Venezia. 293 Gli amori d’Alessandro Magno. Tragicommedia. 294 Il maestro di ballo. Commedia in terza rima. 295 Artemisia. Tragedia. |
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