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| Carlo Goldoni Componimenti poetici IntraText CT - Lettura del testo |
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ANACREONTICA IN RISPOSTA AL SIG. AB. PIETRO CHIARI
O felicissimo Vate sublime, Che puoi dell’etera Toccar le cime Coll’istancabile Plettro divin, Se tal m’onorano Tuoi gravi carmi, Indarno m’agito Per teco alzarmi, Confitto al margine Del mio confin. Pur gratitudine Desio m’inspira Di trar la polvere Da la mia lira Che a tibia comica Fin or cedé. Se d’una vergine Per me tu canti, Se a me si volgono Tuoi lieti canti, Ch’io teco tacciami Dover non è. Fra innumerabili Vicende umane, Cui le tue pingono Rime sovrane, Questa concedimi Di rimarcar. Fra colte pagine. Fra lauri ascrei, Tuoi carmi onorano I carmi miei, Ch’io teco provimi Non sai sdegnar. Ma deh perdonami S’eguale al merto L’onor non recoti D’illustre serto, S’io non ti celebro Vate immortal: Poiché la critica Tacciar potria Che ad arte uniscasi Scaltra Talia Con vicendevole Talento egual. Sì. Tu sei l’aquila. Io la formica. Tu voli all’apice Senza fatica; Mia Musa ai cardini Salir non sa. Prodigio sembrami Più d’una volta, Che in me si tolleri Natura incolta; Ed è giustizia Che a te si fa. Dall’omai sterile Sacro argomento Di sposa monaca Che or ti presento, Novella immagine Sapesti trar. Perché non cambiasi Di questa il nome, Oh come facile Sapesti! oh come, Vate fatidico, Di lei cantar! Tu ad arte mediti Che ogni donzella, Che al mondo involasi Per farsi bella Agli occhi amabili Del santo Amor, Gli affetti ingeniti Dal seno esclusi Cambiando gli abiti, Cambiando gli usi, Il nome veggasi Cambiare ancor. E che una vergine, Che santamente In Dio trasformasi Perfettamente, Uman vestigio Più in sé non ha. Onde per essere Nota ai parenti, Di sì gran perdita Egri–dolenti, Col nome solito Chiamar si fa. Il ver confessoti Con cuor sincero, Sì bella industria, Sì bel mistero Non m’era facile Di penetrar. Lieto consolomi Colla famiglia, Costretta a perdere Sì cara figlia. Se a nome chiamala, La può trovar. Però dell’inclito Suo genitore Conosco l’indole, Conosco il cuore, La madre celebre Conosco appien: So quanto l’amano, Quanto è lor cara, Ma so che il pungolo Di pena amara Lor non può affliggere Per questo il sen. Quel Dio medesimo Che a lor la diede, San che fra gli angioli Per sé la chiede, E a Dio la rendono Con lieto cor. Ché l’alme nobili Nutrir non sanno Delle più deboli L’usato inganno, Di se medesime Col folle amor. Che mai non fecero Con tanto zelo Affin che scegliere Fra il mondo e il Cielo Potesse libera Il suo destin? Poiché la videro Sprezzar la terra, All’alma docile Non mosser guerra. Fu duce ed arbitro L’Amor divin. A sì grand’opera Del santo Amore Tu sol puoi tessere, Sagro cantore, Di scelti numeri Serto immortal. Per ora i’ tacciomi, Che mal sostegno Teco la nobile Gara d’ingegno; Gara lodevole Ma non egual.
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