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Anton Giulio Barrili
Capitan Dodero

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V.

 

Ahi, ahi, che negozio è questo? Comincia male e vuol finir peggio. Imperocchè, già ve lo immaginate voi altri, mi risuonava ancora l'orecchio del discorso di maître Labsolu, e il ricordo del forte Tomanicanul, il Gran serpente che si svolge lentamente, al quale Urutucte aveva fatto quell'alto onore che sapete. Ero dunque capitato in mezzo a cannibali, a gente che si mangiava i prigionieri di guerra? Io non ero venuto a combattere il re di Ocuenacati; ma sì, darla ad intendere a lui che non avessi ad essere trattato come prigioniero di guerra pur io!

E questo pensiero, tornandomi incessantemente nell'animo colla molesta ostinatezza di una zanzara, mi faceva rabbrividire ad ogni tratto. Gli era un martirio, vi so dir io, da lasciarsi indietro i più sottilmente immaginati dagli antichi tiranni. Ed ero solo; e per tutto quel giorno rimasi solo, non vidi nessuno, salvo il cannibale che venne a portarmi il cibo, e parve adocchiarmi con voluttà da gastronomo.

Al cadere del sole, la tortura essendo troppo a lungo durata e la stanchezza potendo più del dolore, cominciavo ad assopirmi. Le narcotiche fragranze dei fiori tropicali ingombravano l'aria; si udiva in lontananza un suon di flauti e grida di selvaggi raunati a festa. A me pareva di essere la vittima inghirlandata di que' fiori, vittima rassegnata e quasi contenta purchè s'avesse presto a finire la orrenda cerimonia; quelle grida di gente assetata del mio sangue non mi facevano più paura; andavo tranquillamente incontro a quel morboso torpore che, assai più d'ogni altra maniera di sonno, è fratello della morte.

Un buffo d'aria più viva venne improvvisamente a rinfrescarmi la fronte e a farmi balzare sulla stuoia. L'uscio si era aperto, e nella pallida luce del crepuscolo mi venne veduta un'ombra d'uomo, nel quale, se non fosse stato ignudo, siccome era agevole scorgere dal contornarsi delle membra nel vano dell'uscio, avrei subito raffigurato maître Labsolu, così inarcato nel suo atteggiamento e così smanceroso nel muovere i passi.

Ed era egli invero, siccome tosto venne a chiarirmi la voce.

Ne craignez rien; c'est moi, Labsolu. Metto l'abito di gala nelle grandi occasioni, non già tutti i giorni, perchè si sciuperebbe troppo presto, e qui non c'è Humann per farmene un altro. Lo sanno i miei calzoni e la mia povera camicia, che mi sono ostinato a tenere indosso, e che se ne sono andati in brandelli pochi mesi dopo il mio arrivo in questa isola di Citera, se forse, considerando le foggie di vestire, non è più acconcio chiamarla il paradiso terrestre. En effet, me voici comme notre père Adam!

Paese dove vai, usa come trovi.

Hélas, oui, mon garçon; ma non in tutto. La cucina, verbigrazia, non mi va, e segnatamente certi bocconi.... non li ho mai potuti mandar giù.

— Ah, capisco! Gli è dunque vero? — esclamai io, afferrando il braccio del mio interlocutore. — Qui si mangia la carne....

Umana, sì certo quando si può; c'est à dire quando si combatte coi vicini delle altre isole e se ne fa prigione qualcheduno, o quando qualche disgraziato viene dal mare a dar del capo su questa spiaggia. Io ci son capitato come voi, e se non era la regina madre, la quale, non fo per vantarmi (ce qui n'est pas du tout dans mes habitudes), mi giudicò assez bon sujet per fare un matrimonio morganatico, se ella non era, dico, la graziosissima Nube del tramonto, e' m'avrebbero mangiato comme du boeuf à la mode. Faut dire aussi que je l'étais joliment, à la mode! Poi, che volete? mi son reso utile a questi popoli, e sto per dire necessario, dopo che l'educazione della giovine principessa Rugiada del mattino è stata commessa a me. Vedrete, vedrete, che fior di principessa, e come parla già bene il francese, avec une certaine mollesse d'accent qui ferait fureur à Paris.

Vedrò!... — interruppi io. — È presto detto, vedrò! Noi altri ci mangieranno senza tanti discorsi.

Mangieranno! — ripetè Labsolu con accento sarcastico. — Mangeranno! E se avessero già cominciato?

Dio santo! — gridai, balzando in piedi con uno sgomento che lascio immaginare a voi. I miei poveri compagni!... Voglio vederli.... vederli ad ogni costo! —

E così dicendo mi scagliai verso l'uscio. Il vecchio parigino mi rattenne.

, , mon garçon; siate prudente, o vi perderete anche voi. Pensate forse di salvare quelli che sono già morti.... e digeriti? Quel che è fatto è fatto, e non si torna più indietro. —

Io ricaddi allora come tramortito sulla stuoia, e mi diedi a singhiozzare come un bambino nelle braccia di Labsolu.

Pazienza, pazienza! — mi ripeteva egli — quegli infelici sono morti, e il vostro pianto non li risuscita.

— Oh, uccidano anche me, e la sia finita! Ma perchè aspettano ancora? perchè non m'è toccata la medesima sorte?

Perchè?... perchè? — borbottò il francese. — Prima di tutto perchè siete il capo, ed era naturale vi serbassero per l'ultimo, per far buona bocca....

Domani dunque.... domani toccherà a me?

Lasciatemi finire! E poi perchè non si poteva. Voi siete stato serbato in vita, la mercè di una scusa, en attente de mieux; e i gastronomi si sono chetati, sperando di avervi a mangiare per la festa del Kutkù.

— Che cos'è questo Cuccù?

— È il loro Dio, quegli che li ha creati e messi al mondo. Narra la loro Genesi orale che il Kutkù abbandonò un giorno il cielo, per venirsene a far la vita campestre ad Ocuenacati, dov'ebbe un figlio chiamato Tigil, ed una figlia chiamata Siduka, i quali si maritarono, come potete supporre, appena ebbero l'età da ciò. Kutkù e la sua moglie Ilkun (la quale non sanno dire donde egli l'avesse cavata fuori) si vestivano di foglie e si cibavano di frutta, imperocchè gli animali non erano anche stati creati ed eglino poi non avevano anche trovato gli ami e le reti per pigliar pesci. Et c'est peut-être à cause de ça che una notte Kutkù piantò moglie e figli, e se ne andò, che so io, in America; laonde nessuno sa che diavolo ne sia avvenuto.

— La è assai comoda questa Genesi, e molto più semplice di tante altre.

Comme vous voyez! Non si può immaginare cosa più assurda di questo loro Dio. Essi poi non gli rendono omaggio se non mangiando e bevendo, ed anco qui senza offrirgli un osso da rodere. Ma bisogna dire altresì che non gli domandano mai grazie, e parlano di lui senza cerimonie. Figuratevi che lo rimproverano di aver creato troppo gran numero di montagne, di burroni, di scogli, di secche; di non aver badato a quel che faceva, quando creò gl'insetti, mosche, tafani, zanzare, ed altri graziosissimi animaletti amici dell'uomo; di essere la cagion prima delle pioggie, della gragnuola e della tempesta, che mandano a male i raccolti ed ogni cosa più utile alla creatura. Insomma, per queste e per altre ragioni, gli dicono sempre un mondo di villanie, che hanno pure il loro lato piacevole.

— E celebrano poi la sua festa!...

— Sì, ma, come vi ho detto, gli è un bagordo, non una festa, e si danno pensiero di lui, come io del Gran Mogol.

— Ed io dunque....

— Voi siete destinato a far le veci di arrosto in quel banchetto, che si farà tra due mesi. La è stata una bella pensata della principessa.... per salvarvi, s'intende. Da cosa nasce cosa.

— Ma io non capisco.... Come c'entra la principessa?

— È il suo buon cuore che l'ha spinta. Ha avuto l'aria di consigliare, ed ha ottenuto una proroga; ora è stata lei che m'ha mandato da voi, per indettarvi d'ogni cosa, mon pauvre garçon. Ma non facciamo pasticci, e raccontiamo le cose con ordine.

— Vi sto ad udire con impazienza; — diss'io.

— Per non rattristarvi di soverchio, piglio il racconto da dopo la misera fine dei vostri compagni. Notato tuttavia che sono morti senza avvedersene, imperocchè i nostri valentuomini, il faut en convenir, ci hanno una destrezza meravigliosa a farvi le feste. Gente curiosa, questi cittadini di Ocuenacati! Essi ci avevano un gran problema da sciogliere; volevano sapere se, e quanto, la carne degli Europei sia più gustosa della loro. Qualche vecchio che si ricorda di un naufrago, mangiato cinquant'anni fa, la diceva saporitissima e prelibata; ma voi saprete meglio di me che un fiore non fa primavera; e poi i giovani, che se ne sentivano correr l'acquolina in bocca, volevano y mordre à leur tour. E lo so ben io, che parecchie volte fui minacciato d'essere fatto a spicchi, dopo la morte della regina madre; ma per ventura il re Urutucte si degnò di riconoscere che, vecchio e segaligno qual sono, non avrei servito gran fatto a dare un preciso concetto del negozio. —

Il vecchio ciarlone mi dava la corda, mi mazzerava lo spirito, con quel suo burlesco discorso in proposito di antropofagia. Finalmente venne al racconto.

— La giovine principessa Rugiada del mattino, che se ne stava dietro la stuoia della sua finestra quando siete entrati in queste Tuileries, epperciò vi ha veduto e guardato per bene, la giovine principessa, dico, quando seppe del disegno fatto dalla corte del re suo fratello, si messe in capo di salvare almanco uno dei condannati. Anch'ella ci aveva il suo problema da sciogliere; voleva sapere che cosa fosse quella novità della barba bionda, come fatta e perchè nata a quel modo. Eccovi, mon garçon, perchè ella s'è fatta a chiedere la vostra vita, ed ecco de quelle manière, aussi delicate que profonde, elle s'y est prise. Chiedere addirittura la grazia per voi, era forse troppo, e la principessa non chiese che una proroga; perchè voleva che si lasciasse in serbo qualcosa anche per lei; che era infermiccia oggi e non poteva pigliarsene una satolla; si conservasse dunque il più bianco dei quattro, che appunto doveva essere più gustoso degli altri, ed ella ne avrebbe mangiato uno spicchio tra qualche settimana, anzi, tra due mesi cadeva la festa del Kutkù, e quello (c'est-à dire vous même) era cacio sui maccheroni.

Divina principessa! — diss'io in un impeto di giusto entusiasmo.

C'est le mot! Divina principessa! E non crediate ch'ella venisse a capo del suo disegno così a prima giunta, che vincesse, come suol dirsi, senza combattere. Il primo ministro messe fuori certe sue considerazioni balorde; essere ottanta le bocche che dovevano mangiare; in tre uomini e non molto bene pasciuti, esserci appena tanto da aguzzar l'appetito, e che so io. — Ma Rugiada del mattino la sa lunga, e non ci ha la lingua in bocca per niente; ella essere principessa del sangue, ed aver diritto all'osservanza dei signori ministri; le sue voglie po' poi valere assai più dell'appetito dei sudditi, anco se uomini di corte e titolati. Donde avvenne che, volendo il primo ministro mettere qualche altra stecca, il re lasciò correre un potentissimo scapezzone sulla testa del primo ministro, che andò ruzzoloni per terra et ne donna pas même sa demission.

Bravo, perdio! gli è un re che merita di essere impagliato.

— Or dunque, — prosegui Labsolu, centellando le sillabepreparatevi a venire dalla principessa. Siete libero dalla prigionia, padrone di andare o venire per tutta quanta la città; ma io vi consiglio di non uscire dal castello, perchè al popolo potrebbe saltare il ticchio di sciogliere anche lui il problema..... mi capite? Del resto il castello è grande, e neppure vi metterebbe conto tentar di fuggire, perchè non andreste molto lungi e guastereste un negozio così bene incominciato. Io, per me, spero che lo condurremo a buon porto, e che voi diverrete un selvaggio di riguardo, come il vostro servo divoto. Sono vecchio, pur troppo, e mortale; mi spiacerebbe lasciare occupato il mio posto di civilizzatore, di pionnier du progrès. —

Così parlava il mio Mentore; ma io non badava già più ai suoi disegni pel futuro, e pensavo in quella voce, con un gran rimescolìo di sangue, a quella bella principessa che metteva così opportunamente il naso ne' fatti miei.

Noi uomini siamo tutti ad un modo. Una donna, anco ignota, che si dia pensiero della nostra persona, è certa di avere un posticino nell'anima nostra, come il pellegrino che suonava il corno alle porte di un antico castello era certo di trovare un posto alla tavola ospitale del castellano. E quella donna che si dava pensiero di me, era bella; maître Labsolu lo diceva, ed io poteva aggiustargli fede, avendo già veduto nel mattino commendevolissime testimonianze della bellezza delle donne di Ocuenacati. Qui, lo confesso, dimenticai lo stato mio miserevole, la perdita dei compagni, le loro ossa ancora calde, ogni cosa, insomma, dappoichè non ce n'è una che renda ciechi, sordi, insensibili per tutte le altre cose, come il pensiero d'una donna. Ne volete una prova? L'uomo è animale socievole, che ama la compagnia, e non può far senza degli agi della vita, che si trovano soltanto nel civile consorzio; ma fate che s'innamori, e addio uomini, addio bisogni, addio consuetudini; il suo sogno è di andarsene a vivere sulla cima del monte Fasce, il Chimborazo di Genova, insieme con lei, soltanto con lei.

Intanto tra quelle chiacchere che v'ho narrato, era scorsa la notte, e l'alba trapelava da tutte le fessure della capanna. Uscimmo fuori per respirare facendo quattro passi sulla riva del fiume; io poi, non contento dell'acqua salsa che m'aveva fradicio da più giorni, volli anche tuffarmi nella dolce; e vi so dir io che fu una dolcezza quale da lunga pezza non avevo provato. Mi pettinai la barba col pettine che ci ha dato la natura; la pettinai con amore, pensando che gli occhi della ignota principessa si erano fermati su queste lunghe fila d'oro (ahimè, oggi d'argento!); poscia andai ad asciolvere in casa del mio redentore, dove stetti sul bicchiere, un bicchiere di cocco, s'intende, fino all'ora consentita dalle costumanze selvaggie per la visita alla mia augusta protettrice.

— Non per di qua! — mi disse Labsolu vedendo ch'io pigliavo la strada maestra. — Passiamo per le viottole; se no, potrebbe vederci il primo ministro.

— E così, che cosa avverrebbe?

— Ah, fidarsi è bene, e non fidarsi è meglio. Costui è innamorato cotto della principessa, e gli innamorati sono come l'ortica; qui s'y frotte, s'y pique. Non credo tuttavia che col suo amor furibondo egli possa venire a capo di nulla. La principessa è...... ma zitto, ecco le sue fanti!

 




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