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Anton Giulio Barrili
Capitan Dodero

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VI.

 

Appunto allora avevamo scavalcato una siepe e scorgevamo dinanzi a noi una capanna di bella apparenza, e costrutta con assai più accuratezza e gusto architettonico di tutte le altre; imperocchè il pavimento era alto tre o quattro palmi da terra, e l'uscio, di ragionevole ampiezza, era alzato a dignità di portico da due gradini di pietra.

Due donne, le fanti che aveva accennato Labsolu nello interrompere il suo ragionamento, stavano sedute su quei gradini. Il mio condottiere barattò con esse alcune parole, ed esse entrarono tosto nella capanna. Erano costoro un po' più coperte delle altre donne che avevo veduto, ma ugualmente curiose, come mi tornò agevole scorgere dalle lunghe occhiate che mi diedero e dal voltarsi indietro e scambiare sommessi discorsi, in quella che andavano verso il fondo dell'anticamera.

— Sono damigelle de bonne maison; — disse Labsolu, al quale io avevo manifestati i miei pensieri intorno a quella specie di manto nel quale erano avvolte le due giovani donne. — Qui la nudità è innocente, e nessuno ci abbada più che tanto: la honte est une invention des tailleurs; e qui, dove non ce ne sono, non si conosce vergogna; soltanto i più ragguardevoli selvaggi usano coprirsi a mezzo di tessuti cavati da una pianta, e non già per decenza, ma perchè questi tessuti costano molta fatica, tutti hanno modo di procacciarseli. Vedrete il manto della principessa, e con che bel garbo essa lo porta avvolto intorno alla vita e facendosene ricadere un lembo sul petto! C'est qu'elle est coquette. Rosée de matin! Et ma foi, elle a bien raison de l'être, car elle est jolie comme les Amours. —

In quel mentre tornavano le ancelle e parlavano da capo con Labsolu. Intesi dai gesti che ci dicevano di entrare.

— Che lingua maledetta! — dissi all'amico. — Io non ne capirò mai un ette.

— V'ingannate; basteranno quattro o cinque giorni per far gli orecchi a questa pronunzia e indovinare le divisioni delle parole; il rimanente verrà in un mese. Vous y mordrez, mon garçon! Non potrete certamente far subito un lungo discorso, in questa lingua, ragionare di filosofia.... Mais à quoi bon? Qui nessuno la conosce. Io del resto mi metterò fin da quest'oggi a darvi lezione. Ma entriamo; la principessa ci aspetta. Coraggio, mon garçon, et que la vue du soleil d'Ocuenacati ne vous éblouisse pas!

Entrammo nell'anticamera; di le giovani donne ci introdussero nella sala, dove era la principessa Rugiada del mattino, seduta su d'una specie di lettuccio, dal quale si alzò con molta affabilità per rispondere al profondo saluto che io le feci e ai tre profondissimi inchini di Labsolu.

E qui, amici miei, lasciatemi fermare un tratto. Io ho veduto donne di molte in mia vita, e parecchie ne vedrò ancora, e potrò darne giudizio; chè le nevi della barba non mi hanno gelato il cuore, abbacinato la vista. Ma, potessi anco vederne le migliaia, ho fede che non mi abbatterò mai più in una così maravigliosa bellezza, come quella di Rugiada del mattino, la principessa di Ocuenacati.

Vi ricordate di que' disegni di Parigi, che si chiamano studi, e che rappresentano visi di donne, così voluttuosamente belli, che vi innamorano a guardarli? Certo i gran pittori vi offrono nelle loro Madonne una maggior purezza di contorni; ma in quei disegni, tirati giù colla matita, c'è una soavità di lineamenti, una leggiadria di movenze, che paiono di donna viva e innamorata. Io per me, non ho veduto cosa che più somigliasse a Rugiada del mattino di una allegorica figura dell'India, che fui sollecito a comperare e che allogai tosto al mio cappezzale. La carnagione appariva un po' bruna; ma più assai colorita che bruna, e il sangue si vedeva scorrere sotto quella epidermide, come il succo roseo sotto la morbida pelle di una pesca duracina. Così era Rugiada del mattino; Dio guardi i fiori che una siffatta rugiada avesse a toccare; imperocchè essi morrebbero abbruciati.

Nerissimi aveva i capegli e ricciuti; ma per lungo stare tirati lungo le tempie, si erano come rammorbiditi, e gli ondeggiamenti che ancora serbavano, pari alla poetica ala del corvo, mettevano riflessi d'indaco. Del colore dell'indaco erano gli occhi e le lunghe ciglia, che attraevano i desiderii sconfinati. Dio santo! io le vedo ancora, quelle ciglia, che a volte chinandosi mi nascondevano la profondità dello sguardo, a volte sollevandosi sprigionavano una scintilla che mi faceva andar tutto in fiamme, come una polveriera. L'immagine è grande, ma esprime il concetto.

Che dirvi dei contorni del viso? La fronte non era ampia, ma le sue prominenze testimoniavano un forte intelletto. Il naso non era così lungo, affatto diritto, come l'arte greca vorrebbe; ma la natura non poteva ripudiarlo, tanto era ben formato e leggiadro nella curva delle nari. La bocca poi, la bocca era, senza esagerazione poetica, una conca di perle orientali. Per l'anima mia! quando vidi quella testa e quella personcina aggraziata, rimasi estatico a guardarla e l'adorai come un pagano. Vedete? oggi ancora, al ricordarla, mi si rimescola il sangue.

La principessa era vestita in quel modo che mi aveva detto Labsolu, cioè semplicemente coperta di un manto di lino setoso, tinto di rosso vivo, vero miracolo d'arte per quel paese di selvaggi. Due capi di quel manto si rannodavano intorno al petto, formandovi il centro di molli pieghe che si andavano allargando fino a' piedi in un lungo strascico che conferiva maestà alla sua svelta persona, e un altro dei capi, girandole da tergo, le scendeva dall'omero a coprire una parte del seno. Ella, per tal modo, non appariva vestita che di quel manto, de' suoi neri capegli che le scendevano sul collo, e della sua stupenda bellezza; ed io vorrei dirvi tutti i soavi pensieri che quella casta splendidezza di forme mi fa' germogliare nella mente.... ma basta; acqua in bocca, e tiro innanzi da forte.

Ella si era alzata, siccome vi ho detto, per rispondere al nostro saluto; quindi si adagiò da capo, accennando a noi di sedere sopra due sgabelli, rozze imitazioni d'Europa, fatte da Labsolu, assai miglior profumiere e diplomatico che stipettaio o falegname.

Ma, il mio Mentore io approfittammo della cortese licenza, e Labsolu, da quel grande oratore ch'egli era, incominciò la sua arringa.

— La mia graziosa principessa permette che nel presentarle un mio confratello di Europa, io parli in quella lingua francese che Ella capisce e parla con tanta grazia?

Oui, Monsieur! rispose la principessa con un accento che mi parve celeste, in quella che le si tingevano le guancie di un amabile rossore.

— Orbene, — soggiunse il cerimoniere — io ho l'onore di presentare, a Vostra Altezza il nostro Caila lapi, come il vostro augusto fratello si compiacque chiamarlo, e il superstite dei quattro naufraghi, come sa la vostra rara bontà che lo ha sottratto da morte. Egli ringrazia....

Io qui volli interrompere l'oratore, per mettere in mezzo la mia parola; ma guardando la principessa perdetti addirittura la testa, e non mi venne fatto dir altro che queste parole:

Principessa, io vi ringrazio. —

Ma notate che, parlando, avevo posto la mano sul cuore, e col cuore si dicono molte più cose di quello non si faccia con mezz'ora di chiacchere.

Intanto Labsolu proseguiva:

Caila lapi, que vous voyez, è il terzo figlio....

Il terzo figlio di chi? Che diavolo dice costui? Queste domande io feci al vicino con uno sguardo che egli intese benissimo, poichè stese il braccio verso di me, in atto di chetarmi e ripigliò il filo del discorso.

— Egli, modesto com'è, non vorrebbe ch'io parlassi; mais moi, dans son interêt, je dois tout dire. Caila lapi è il terzo figlio del re di Genova, potentissimo Stato assai lontano di qui, dove si fanno delle piroghe cento volte più grandi delle nostre. Egli veniva su questi mari per studiare i costumi dei nostri paesi, e farne suo pro pel giorno ch'egli sarebbe stato chiamato a qualche trono vacante (in Europa ce n'è sempre, dei troni vacanti!), allorquando fu colto dallo sdegno di Kutkù, e la sua piroga si sprofondò nel mare con tutto il suo numeroso corteggio. Tre soli de' suoi sudditi afferrarono la riva insieme con lui, e Vostra Altezza conosce come siano andati a finire; ma egli è contento d'essere capitato qui, per andar debitore della sua salvezza....

— Ah! egli ha ragione! — gridai, buttandomi ginocchioni e baciando il lembo del manto alla bellissima Rugiada del mattino. — Non mi duole del naufragio.... della perdita del mio regno, se tutto ciò mi frutta di aver veduto una principessa come voi.

Entravo, come vedete, nei disegni di Labsolu, che aveva voluto crearmi di primo acchito principe reale. Ma chi è l'uomo che fuori di casa propria, non ami farsi un po' più grande del vero? Del resto io immaginavo, anco senza indovinare le cagioni, che Labsolu ci aveva il suo perchè a far di me un pesce grosso.

A quell'impeto di adorazione, la principessa sorrise, e il volto le s'imporporò più di prima. Ero giovine allora; non ero brutto; la bellezza incomparabile di questa donna mi scaldava il sangue, e le parole e gli atti miei da spiritato dovevano far senso.

Le prime parole di Rugiada del mattino al vostro povero servo, si doveva proprio starle ad udire in ginocchio. Porgendomi cortesemente la mano (ero un principe suo pari, non lo dimenticate) la bellissima donna così prese a parlarmi:

— La figlia di Nube del tramonto è lieta di vedere un uomo come Caila Lapi, venuto da lontane regioni. Egli non troverà qui nessuna cosa che possa rallegrarlo; che anzi ha già avuto da piangere, per la morte dei suoi fratelli bianchi. Ma il possente Kutkù ha fatto i costumi diversi. Qui l'uomo mangia l'uomo, e Rugiada del mattino non ha potuto vietarlo. Essa cionondimeno non lascerà morire Caila Lapi, affinchè egli, tornato nelle sue isole, possa dire alla donna dell'anima sua, che ad Ocuenacati ci sono donne di cuore gentile.

Le parole di Rugiada del mattino suonavano al mio orecchio dolci come una musica celeste. Esse non erano, a dir vero tutte giuste, e un maestro di francese che fosse stato manco insuperbito di Labsolu intorno all'opera sua, avrebbe notato di molti errori, sgrammaticature, e improprietà di vocaboli; ma che importavano questi nonnulla, se la soave mollezza dell'accento facea belli perfino gli errori?

Io poi, che non ero francese, e neppure molto addentro nei segreti di quella lingua, non potevo e non dovevo mettermi a scranna. Pensavo in quella vece alla mirabile facilità con cui quella figlia di cannibali diventava civile, senz'altro aiuto che quello di un profumiere parigino. L'uomo invero è manco maneggevole, e ci bisognano secoli per ingentilire il costume di un popolo mascolino, sempre bastano essi a temperare la veemenza delle passioni e a mutare le brutte pieghe della consuetudine; laddove la donna, creatura più delicata, e viva soltanto per gli affetti, si piega di leggieri all'esempio, s'imbeve del buono, si educa al bello, così facilmente come la cera si foggia a tutte le impronte più svariate in cui vi talenta di premerla.

Come la principessa ebbe finito, balbettai alcune parole di ringraziamento. Ella in quel momento era la donna colta, io il selvaggio.

Principessa, — dissi io — non ho donna che mi aspetti ansiosa al ritorno; ma se il cielo darà ch'io riveda la mia terra, tutti sapranno che la principessa di Ocuenacati è la più bella, la più gentil creatura del mondo.

Qui il candore della selvaggia rifulse; le lezioni del maestro parigino non ci avevano posto sopra l'intonaco della riserbatezza, misurata coll'archipenzolo.

— Che? Caila Lapi non ha una donna del suo paese, la figlia d'un capo che egli sposerà al suo ritorno, una bella bianca che attenderà con impazienza tra i rami del cocco e delle palme, guardando verso il mare se comparisca sull'orizzonte la sua piroga variopinta?

— No, principessa; Caila Lapi non ha nulla. Nessuna donna lo ama, e il suo cuore è muto come la morte.

Ah! la jeunesse de nos jours est bien serieuse!gridò Labsolu. — A' miei tempi non si stava nemmeno ventiquattro ore senza une amourette au coeur. La nature alors avait encore horreur du vide. Ma tanto meglio, in fin de' conti, tanto meglio! Voi sarete meno dolente di star lontano da casa, e potrete pigliar moglie in quest'isola di Cytère. Le donne qui sono bellissime; che ve ne pare?

— Sì, bellissime davvero!

— Ah! — interruppe la candida principessa. — Caila Lapi ha già veduto qui una donna che gli piaccia?

— Si..... no... cioè, mi spiego.... Ho guardato così di passata, ed ho veduto che il gentil sesso non la cede in bellezza alle donne de' miei paesi. E poi, in ogni parte del mondo, egli si può trovar quella che...

Insomma, non sapevo che dire; ero impacciato come un pulcino nella stoppia. La principessa, dal canto suo, era rimasta impensierita, guardandosi tra le mani un mazzolino di fiori candidi ed odorosi come le magnolie, di quella specie che imbalsamava l'aria tutto intorno al castello di Urutucte.

Ella guardava i fiori; ma io guardavo Labsolu, il quale avea profittato del mio silenzio per dire:

Eh bien! tant mieux, mon garçon. A quand la noce!

Manigoldo d'un Labsolu! ei si pigliava spasso de' fatti miei.

— Voi dimenticate, — gli risposi — che sono qui sospeso tra vita e morte, e che sto in piedi per grazia della leggiadra principessa!

Caila Lapi sarà salvo; io lo giuro! — esclamò Rugiada del mattino, alzando la fronte con atto regale. — Ma se egli poi vorrà... se non gli spiace di vivere ad Ocuenacati, mio fratello lo farà contento in ogni suo desiderio. —

Era bella, amici miei, parlando così; bella, in fede mia... non trovo più il paragone. I suoi occhi del color dell'indaco scintillavano di sotto alle lunghe ciglia; i denti bianchissimi risaltavano tra le labbra coralline. Basta, ho la barba bianca, e il fermarmi a parlare di queste cose sta bene a me come ad un orso il ballare. Immaginate voi tutto quello che vorrete; io continuo il racconto.

— Oh! no gridai, senza più sapere che cosa facessi, o dicessi. — Caila Lapi non desidera nulla; Caila Lapi non avrà nessuna donna, poichè non gli è dato aspirare a quella sola, unica tra tutte, che lo ha ferito nel cuore.

Mi fermai, sbigottito dal mio ardimento. Quella breve pausa che dovea scorrere tra le mie parole e la risposta della principessa, mi parve lunga un secolo, profonda, paurosa come un abisso che si fosse spalancato sotto a' miei piedi. Labsolu, il francese imperterrito, mi guardò con occhi sbarrati che pareano dirmi: Que diable! vous n'y allez pas de main morte!

Rugiada del mattino mi guardò con aria trasognata.

— E qual donna? Tutti qui obbediscono a mio fratello, al possente Rumore del tuono. Se egli vorrà qual donna di Ocuenacati ricuserà d'essere la sposa di Caila Lapi?

Principessa, voi non conoscete i nostri costumi. Da noi la donna si ama... si è amati da lei...

— Come qui!

— Sì, ma da noi non si ottien nulla per forza. La donna non è avvezza a questa legge d'obbedienza; e volesse pure tutto il mondo, se ella ricusa, non c'è altro a sperare. Allora, chi ama e non è amato, muor di dolore, o si abbrevia la vita colle proprie mani. —

M'ero un po' discostato dal senso delle mie prime parole, per rimettermi da quella commozione che le aveva dettate. La principessa, col suo candore e colla sua curiosità, mi trasse anche più lunge.

— E ricusano le donne, nei paesi di Caila Lapi, quando egli le vuole?

Santa semplicità! Quella, sì certo, era rugiada del mattino, e il sole non l'aveva anche tocca co' suoi baci infuocati. Labsolu era rimasto pensieroso e taciturno, cogli occhi a terra, come un uomo che si accorge d'esser terzo in un dialogo.

Io non sapevo che argomenti cavar fuori; ma ero costretto a parlare, e proseguii:

Principessa, se uno dei ministri del possente Urutucte gli chiedesse in isposa la soave Rugiada del mattino?...

Rugiada del mattino ricuserebbe! — gridò la giovane donna arrossendo, ma scuotendo fieramente la sua bellissima testa.

— Eppure, i ministri di suo fratello sono grandi, e i più potenti di Ocuenacati dopo di lui!

— Che importa?

Sta' bene; tutto ciò non rileva. Ed ecco appunto come anche una donna de' miei paesi ricusa la mano di un uomo.

Intendo, — soggiunse Rugiada del mattino. Essa ricusa... quando non ama.

E chinò il capo a guardar di nuovo i suoi fiori.

 




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