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Anton Giulio Barrili
La notte del commendatore

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CAPITOLO XIII.

 

La pecorella smarrita ritorna all'ovile.

 

- Alla salute dell'estinto! di Lazzaro... semestrale, che esce fuori dal monumento fet....

- Ohibò! Questi aggettivi a tavola?

- Ma se viene dalla tomba! Non si può dunque più dire che ha pigliato il selvatico?

- Ah, così traduci il faisandé, topo cruscaiuolo.

- È proprio un morto risuscitato. Vedete che cera!

- Ariberti, dove hai lasciato il lenzuolo?

- Non gli dite nulla, poverino! Avrà fiutato un creditore per via.

- Come? ardirebbero i vili avventurarsi a quest'ora nei nostri paraggi?

- Amici, io bevo al ritorno di Ariberti, e alla distruzione dell'empia sètta.

- Meglio ancora che bere, sarebbe ammazzare il vitello grasso.

- Perchè?

- Si fa celia? È venuto il figliuol prodigo.

- Benissimo; lasciate allora che lo ammazzi suo padre.

- Ammazzarlo suo padre! Tu proponi un parricidio.

- No, parlo del vitello, bestia!

- Bella scoperta! Signori, il vitello è una bestia.

- Spiritoso! Io volevo dire soltanto che il vitello... sei tu.

- Amici, - interruppe il Priore, - le celie e le metafore continuate non sono permesse dagli statuti dell'ordine. Viva Ariberti, che finalmente ci è reso. E quantunque meriterebbe una predica...

- Una predica? La faccio io.

- Chi parla, dietro a quel boccale?

- Luciano Valerga, dei minori osservanti.

- Il Segneri della brigata!

- La gloria dell'ordine!

- Parli Valerga! Parli! -

E un chiasso d'inferno, un nabisso, un diavoleto. Si intende che vociando e ridendo si seguitava a trincare. Già, diceva il filosofo, non c'è cosa che bagni l'ugola come il bere.

Luciano Valerga si alzò barcollando. Era una finzione, perchè il letterato della compagnia non si ubbriacava mai, e si diceva di lui che avrebbe potuto bere impunemente tutta l'acqua delle nozze di Cana, dopo fatto il miracolo. Ma tra i tre cavalieri di Malta era la moda di parer brilli al secondo bicchiere, forse per salvare le apparenze, coprendo la debolezza di quelli tra loro che pigliavano troppo facilmente la sbornia.

Valerga adunque si levò in piedi. Avrebbe voluto salire sulla tavola, ma c'erano i fiaschi di mezzo, e i gesti dell'oratore avrebbero potuto danneggiarli; perciò il nuovo Segneri fu contento a salir sulla panca, in mezzo a due accòliti, che, stando a sedere, la tenevano salda.

- Poco reverendo Priore, poco venerabili fratelli, - incominciò Valerga con voce piena d'unzione, - ecco qua la pecorella smarrita che ritorna all'ovile. E notate che il pastore non era andato a cercarla, sicuro com'era che gliel'avrebbe ricondotta un giorno o l'altro le vecchie simpatie, l'odore del chiuso, od altra qualsivoglia ragione, sempre che il lupo non se l'avesse mangiata. Nel qual caso noi tutti saremmo andati a rintracciare le ossa nel Ghetto e avremmo dato loro onorata sepoltura, metà presso un raffinatore di zuccheri, metà ad una fabbrica di animelle per le uose dei soldati, o per le mutande dei poveri diavoli, a cui la madreperla è contesa. Ma il Ghetto, direte voi, le avrebbe lasciate così inoperose? Io mi passo di rispondervi, perchè il lagrimevole caso fortunatamente non è avvenuto e la notizia è almeno prematura. La pecorella è tra noi viva e sana, e beve con avidità, sicut cervus ad fontes aquarum. Beve, e tra poco le verrà voglia di fumare la pipa. Ma la pipa non l'ha, e qualcheduno di voi, vergini prudenti, dovrà imprestare il suo tabacco e il suo rispettivo recipiente alla smemorata. Usciamo di metafora, o signori; tanti ci si vive a disagio. Il signorino s'è messo in eleganza, ha seguito le vie di Balial, è andato a corteggiare le donne di Moab, a far l'occhio lànguido su pei teatri e per le feste da ballo. Ma che dico io l'occhio languido? L'occhio, dovevo dire, del pesce fuor d'acqua. Infatti, tu, o giovine sconsigliato, sei rimasto per tutto questo intervallo fuori del tuo proprio elemento; hai risicato di perderti; chi sa? forse hai già il baco nell'anima. Peccato! Un giovane di così belle speranze! Ti sei dimenticato del precetto di Assur Adani Pal, vulgo Sardanapalo, che lasciò scritto sulla sua tomba: «mangia, bevi, il resto è nulla»; hai dimenticato che la vita è... A proposito, chi mi versa da bere? -

La domanda dell'oratore fu prontamente esaudita. Valerga tracannò il suo bicchiere tutto d'un fiato, si lisciò i baffi e proseguì l'omelia.

- .... Che la vita, dico io, è un sogno, una allucinazione, che tutto è apparenza quaggiù, tanto che Pirrone dubitava perfino di esistere e lo avrebbe fatto crepar dalle risa il signor Cartesio colla sua goffa trovata de! «Cogito ergo sum». Siamo noi dunque così sicuri di pensare? Io per me, o signori, e, m'immagino, anche voi, ne dubito forte. Donde io potrei per avventura, con un bravo sorite, di cui vi fo grazia, dimostrarvi che non sono. E vedete qua, il damerino; egli (lo dirò con un grande autore profano) «immagini di ben seguendo false» si mise sulla via di coloro «che trattan l'ombre come cosa salda», andando dietro alle chimere, alle gorgoni, alle prime donne, alle ceraste, alle anfesibene. Badi bene scusando la rima, che non gli avvenga di incontrarci nel basilisco, orrida bestia, se crediamo agli antichi! -

- Beviamo alla salute degli antichi!

- Che il Cielo li prosperi!

- E accordi loro anche cent'anni di vita!

- Siete un branco di sciocchi; - tuonò Luciano, vedendosi interrotto sul più bello dell'orazione. - E a proposito di sciocchi, ritorno a te, giovine fuorviato, Guerrin Meschino in traccia di un cuore. Va, cerca a tua posta, e troverai... Sai tu quello che troverai? Sepolcri imbiancati o cappe di camino da imbiancare, perchè la troppa fiammata le ha insudiciate di fuliggine. Fuggi le donne, ragazzo. Heu! fuge crudeles domnas, fuge litus avarum. Sant'Agostino ha detto... Che cosa ha più detto Sant'Agostino? A raccapezzarsi, in tutta la roba che ha scritto! Insomma, sappi che ne ha detto corna, e Tertulliano, ed Eusebio, e Prudenzio e Fidenziano del pari. Origène, che le conosceva a fondo, Origène, dico...

- Sì, raccontaci un po' la burletta!

- Nossignori, non la racconterò, poichè mi avete ancora interrotto. Lascio da banda altri dottori della Chiesa e Santi Padri, dei quali potrei farvene un mazzo, come di radici, e calo ai tempi moderni. Dove hai tu preso gli esempi? Forse tra noi? Parla; ci hai tu mai veduti fallire o semplicemente cadere in tentazione? mettere un paio di guanti? un cappello a staio? lasciare il cenacolo per l'essèdra, la cantina pel salotto? il giudeo pel banchiere? la selvaggia alterezza degli straccioni per gl'inchini d'anticamera e le mancie ai lacchè, noi che ci vergogneremmo di darne ad un garzone d'osteria? Se sì, accusaci al priore eminentissimo, che fuma come un Vesuvio in aspettativa; metti mano alle prove, nomina i testi; noi non attenderemo la sentenza, ci prostreremo a' tuoi piedi, gridando: «peccavi, Domine, peccavi et malum coram te feci». Se no, se tu non puoi dire tutto questo di noi, buttati in ginocchio, a marcia vergogna de' tuoi calzoni grigi chiari da cicisbeo; anzi no, poichè ti stanno così bene attillati alla gamba, fa quattro salti mortali, o paga la multa sussidiaria di una diecina di bottiglie. Infatti fàtti in qua, e prima di ricevere da me il bacio del perdono, versami un altra volta da bere.

- Tutti i salmi finiscono in gloria e tutti i discorsi di Valerga nel vino; - disse il Priore, in mezzo alle grida e agli applausi della brigata. Ariberti, che era giunto così rannuvolato all'osteria del Mago, si rasserenò prontamente in quella chiassosa combibbia. Strano impasto di contraddizioni è l'uomo, che quanto non può sulle fisime sue la ragione in un giorno di logica a tu per tu, lo può lo stravizio in un'ora. E pel nostro eroe non fu mestieri di andare tant'oltre. Mezz'ora dopo la sua entrata all'osteria, egli aveva già affogati i suoi sopraccapi, le sue gelosie, le sue bizze colle donne, e in pari tempo e i suoi propositi di non far più vita notturna coi cavalieri di Malta.

Il Priore, che gli aveva fatto quel tiro mancino nella sua sfida a Filippo Bertone, ridiventava il grande amico di prima. La ruggine era dimenticata a tal segno, che quella notte medesima (e potrei dire anche quella mattina, perchè le ore non erano già tanto piccole), andando attorno per le vie di Torino e indugiandosi nella occupazione gradita di accompagnarsi l'un l'altro, Ariberti gli raccontò tutto, dall'a alla zeta, quel suo nuovo intrigo amoroso.

Tristano lo stette a sentire con molta attenzione, quindi gli disse laconicamente:

- -Sapevamo tutto.

- O come, se tu sei il primo a cui ne faccio parola?

- Sì, sarà come tu dici; - rispose Tristano; - ma tu sai il proverbio: amore e tosse presto si conosce. Sei stato veduto, ed anche pedinato. Ragazzo mio, non si disertano impunemente gli amici. Del resto, a provarti che si sapeva ogni cosa, sta il discorso di Luciano Valerga, che ti ha toccato per l'appunto il tasto delle prime donne.

- Ma di grazia, che male c'è? - chiese Ariberti. - Io non vi piglierò mica sul serio, quando vi mostrate così ferocemente misogini!

- Misogini! Ecco una parola difficile, che mi farò spiegare dall'amico Valerga.

- Non c'è bisogno; te la spiego io: odiatori delle donne.

- Qui poi t'inganni, pigli un granchio a secco - gridò il Priore. - Non c'è odio, altro: c'è solamente un più giusto concetto di quello che valgono. Le donne, mio caro, vanno trattate alla leggera, com'esse trattano noi. Un capriccio, una galanteria, una fermatina sull'uscio; non dico di no. Ma gli amici prima di tutto, e i giuramenti e i sacrifizi non s'hanno a fare che per essi, I loro diritti sono incontrastabili, perchè con essi c'è la sincerità e il disinteresse, mentre colle donne, a dir poco, c'è sempre una posta al giuoco, e l'uno vuol guadagnare, l'altro s'industria a non perdere, e tutt'e due fanno ad ingannarsi un pochino. Dopo tutto, corri la tua posta, Ariberto; ma bada a me, non fare il collegiale, se no, sei fritto. La signora è di palcoscenico; ti vedo già sulla strada delle compiacenze giornalistiche, dei sonetti, delle corone, dei mazzi con sei braccia di nastro. Tutte belle cose, per non venire a capo di nulla. Ascia in pugno, e all'arrembaggio! La tua bella, m'immagino, avrà cantato nel Pirata....

- Amico mio, tu non la conosci; essa è un angelo. Figurati, il cavalier Roberti, quell'elegante vagheggino, quell'ardito cacciatore che sai, essa non lo può patire, appunto perchè ha voluto farsi innanzi a quel modo.

- Bravo! Te lo ha detto a te. Ma poi, se davvero non lo può patire per questo, o perchè non lo ha messo pulitamente alla porta? -

L'osservazione parve giusta ad Ariberti, il quale non seppe per che rispondere all'amico, e, peggio ancora, a stesso. Infatti, perchè mo la signora Giselda non aveva mandato a spasso il cavaliere? Se quel perondino era audace, doveva anche essersi mostrato poco rispettoso. Il ragionamento non faceva una grinza.

Tristano frattanto incalzava.

- Or dunque, fa a modo mio; se no, la ti mena pel naso fino al del giudizio, o a quello della sua partenza, che torna lo stesso; e tu sei un uomo perduto. Del resto, - soggiunse il Priore con una volubilità di pensiero, che poteva anche indicare la sincerità del suo animo, - è una cosa dolce l'amare, qualunque cosa ci costi, ed anche sapendo che può andarci alla peggio. Quel consacrarsi tutto ad una bella creatura, farsi di quella fragile personcina una dea, vivere in una atmosfera tiepida di fragranze sue, in un mondo incantato di pensieri suoi, essere indifferente il sacerdote del suo tempio, o il cagnolino del suo salotto, star nel sacrario ed accogliere i responsi, o sul cuscino di seta a custodire le pantofole a ringhiare a chi le si accosta un po' troppo, è, in certi momenti della vita, una gran voluttà! Non pensare che a lei, o per lei, non vedere che lei, o cogli occhi di lei, è una fusione di esistenze, che può far sentire il piacere di vivere. Infine, che cosa è la vita, se essa non è l'amore? E che ci staremmo noi a fare quaggiù, in questa caverna di leoni, se un raggio d'amore non vi trapelasse ogni tanto?

- Come parli bene! - esclamò candidamente Ariberti. - Tu sei poeta, Tristano!

- Alle mie ore. Già, ero nato poeta, e, per far torto al proverbio, non son diventato nemmeno oratore. Lascio questo contentino a Luciano Valerga. Caro mio, tu sai che viaggiando si vive di più. Ci ho i miei ricordi, amari e dolci, di quattro parti del mondo. E dopo tutto, che cosa mi resta? Fumo e cenere. Vedi la mia pipa? Così il mio cuore. Ma tu sei giovane e la fine del salmo non ti noia. Potrei mostrarti la cenere che scuoto dal bocciuolo della mia pipa e l'ultima boccata di fumo che si dilegua per aria; ma tu mi risponderesti: che importa? vo' fare anch'io la mia buona fumata. -

Lettrici (se tra coloro che mi leggono c'è una rappresentanza del sesso migliore) non badate ai paragoni, vi prego.

Pensate invece che il Priore, per solito accigliato e spaccone, non era stato mai così tenero. Egli si mostrava quella notte sotto un aspetto nuovo; Achille diventava Amadigi.

- Del resto, - proseguì Tristano, che sembrava aver preso a nolo quella comoda forma avverbiale, - forse non carico anch'io di bel nuovo la mia pipa di spuma di mare, come ho cambiato tante volte d'amore?

- Ah briccone... Tu devi averne avuto la parte tua, d'avventure galanti! E in India...

- Che! quello è il meno. In Asia, caro mio, furono amori di principesse, che in Europa non vorrei avere per birraie; ho nutrito la fantasia, avida di novità e di stranezze. In Ispagna e nell'America meridionale, è stato lo stordimento dei sensi. Ma il cuore.... il cuore non l'ho impegnato che al settentrione, in Inghilterra, in Germania, dove dicono che sieno le donne più fredde del mondo. Errore massiccio, di chi non ha mai viaggiato! Gli è invece appunto lassù che si incontrano quei granelli di pepe, che non sai se siano donne o demonii.

- Dev'essere così; - aggiunse Ariberti colla sua infarinatura romantica; - l'ondina e la villi, sono forme nordiche.

- Ed hanno certi occhi strani, - ripigliò il Priore, - in cui lampeggia tanto fuoco di dannazione! Ah vivaddio, almeno c'è passione, c'è lotta, novità, mistero! E intendo benissimo le tue smanie per questa polacca...

- Ungherese.

- Polacca, ungherese, è tutt'uno. Non è dessa una zingara dell'arte? E forse, chi sa? potrebbe anche essere uno di quei demoni che hai detto tu, calato a Torino in forma di donna per suggerti l'anima.

- Ah, lo credo ancor io!

- Se ti lascierai tutto in sua balia, certamente, ed io non darei più un soldo de' fatti tuoi. Misura vuol essere. E prima di tutto, appoggiati agli amici, che ti vogliono bene. Vedi un po'; dove le avresti trovate, queste ore di sollievo? Tu ne andavi a casa colla rabbia, e a quest'ora non avresti ancora preso sonno. L'innamorato è un animale che non dorme. Dunque, dico io, tanto fa che passi la notte all'osteria, in mezzo agli amici fedeli. In questi contrasti è la vita. Cogli amici ti ritempri e ti avvezzi a veder chiaro.

- Infatti, - disse Ariberti, - mi par di veder già l'alba.

- Ed anche questo ha il suo pregio. Non vai tu ora a letto tranquillo? Credi a me, è la solitudine notturna che matura i tristi pensieri. L'uomo che può far mattino con una mezza dozzina di capi armonici, non morirà mai suicida. E tra poco dormirai il sonno del giusto; dormirai saporitamente finchè ne avrai voglia. Poi ti metterai tranquillamente in arnese, e, già si capisce, andrai difilato da lei.

- Ella mi aspetta.

- Va benissimo; ma io non te lo ripeterò mai abbastanza, fatti valere per quello che sei e comincia a farti desiderare. Non c'è cosa che abbatta di più un uomo nel concetto di una donna, dell'esserle continuamente tra i piedi, tenero e rispettoso come un Caloandro fedele. Tu non devi essere con lei, timido, languido oltremisura; credi alla mia vecchia esperienza. Anche un pochino di gelosia, fatta nascere a tempo, non guasta. Mi hai parlato di una inglese, o nizzarda....

- Un po' dell'uno e un po' dell'altro.

- Bene; fa la tua corte anche alla nizzarda, all'inglese, a quel diavolo che sarà. Un'occhiatina a tempo, una parola che possa interpretarsi in due modi, un atto di galanteria, di delicata attenzione, non costano nulla e non debbono farti mica più povero di quello che sei. Pensa che ogni lasciata è persa. Se la donna è civetta alle sue ore, perchè l'uomo non sarebbe a sua volta un civettone? Lord Byron, l'autore che ti piace tanto, faceva per l'appunto così; lasciava in ogni salotto la strofa della sua penna e una foglia del suo cuore. Benedetto carciofo! Qualche volta egli ne dava anche due foglie in un colpo. Infine, si è in guerra, o non si è, e nella guerra d'amore è necessario esser disposti a far fronte da tutti i lati. Bisogna dunque, intendimi bene, che ogni donna, la quale t'incontra sulla sua strada a caso, possa credere che tu c'eri per lei, o che potresti andarci anche per lei. L'altra, la prediletta del giorno, deve credere intanto che ci sarebbe anche il pericolo di perderti. Alle corte, si vale o non si vale qualche cosa; e se si vale, bisogna spendersi ognuno pel suo prezzo. Il tempo di spendersi per quello che fa la piazza, fortunatamente per te, è ancora da venire.

- Che salto! - notò sorridendo Ariberti. - Poco fa eri tutto poesia; ora sei tutto prosa.

- Caro mio, è mestieri provarsi in tutti i generi. Qui, del resto, non si tratta di sognare, di andar sulle nuvole; si tratta di vincere. E per vincere, devi essere in armi darti moto; se no, te l'ho detto, sei bell'e ito, ci rimetterai la pace dello spirito, la salute del corpo e i denari della borsa, che, m'immagino, non saranno poi molti. -

A quella toccatina dei danari, Ariberti trasse un profondo sospiro.

- Or bene, che c'è? - chiese Tristano scuotendolo.

- Eh, che vuoi? C'è che tu mi hai fatto per l'appunto pensare....

- Che cosa? di' su!

- Che sono al verde, o quasi. Dante ha scritto il suo paragone per me:

 

Come procede innanzi dall'ardore

Per lo papiro suso un color bruno,

Che non è nero ancora e 'l bianco muore.

 

- Bravo! e perchè non dirlo prima?

- Ma... per dar noia agli amici...

- Caro mio, col denaro si fa la guerra. Si diceva una volta: pas d'argent, pas de suisses.

- Bella scoperta! Ma gli è proprio per questo che penso. E il pensare sarebbe il meno. Il guaio è questo, che penso... e non trovo.

- Nelle tue tasche, s'intende. Ma in quelle degli altri...

- Ah sì, parliamone, delle tasche degli altri. Tasche da studenti; i sarti hanno il maledetto vizio di farle sempre bucate.

- Chi ti parla degli studenti? Non c'è dunque più altro che studenti nel mondo? Capisco che fino ad un certo segno il nome può correre per tutti, perchè tutti si studia il miglior modo di arrivare alla fine del salmo. Ma anche per gli studenti c'è un Dio degli eserciti; anzi, dacchè egli non ha più Maccabei da proteggere, si può dire che ha preso in particolare considerazione i figli di famiglia del nuovo Testamento. Ridi eh? Ma di questo più tardi. Finora, ci son io e posso darti una mano, senza scomodare le dodici tribù. Vieni domattina da me; cioè, no, vieni stamane, perchè oramai siamo a domani, e soltanto il bisogno di dormire può confonderci un tratto il calendario. Vieni da me a quell'ora che ti fa comodo; ho da scrivere parecchie lettere e starò a casa fino a sera.

- Oh Tristano, amico mio!

- Con che tono lo dici! Alla larga! non son mica la signora Giselda.

- Giselda, ti prego... Ma gli è che tu mi sollevi da un peso... da un peso...

- La mia borsa non è quella di Rothschild, - interruppe Tristano, che forse voleva mettere, come suol dirsi, i punti sugli i; - ma infine che cosa ti occorre?

- Eh, non saprei. Già, se ripiglio la strada dell'università, non ho quasi bisogno di nulla, e alla peggio posso portare qualche debituccio fino al mese venturo. Dugento lire al mese me le passa mio padre; cinquanta me le manda mia madre di soppiatto... Capisci...

- Capisco; le mamme son tutte così.

- Poi, - continuò Ariberti, - una cinquantina di lire le strappo da un'altra parte, scribacchiando. Infine, che dirti? con queste trecento lire vivrei, ma raccozzando a mala pena l'oggi col domani. Figùrati, ci ho anche il sarto...

- Capisco anche questo. I sarti di provincia sono sempre in ritardo colla moda, e quelli della capitale corrono innanzi coi conti. Ma basta, non occorr'altro. Tu hai bisogno di fare la tua buona figura nel mondo aspettando tempi migliori.

- È così come tu dici.

- Bene; ed io che ti sono amico, io che son passato per la tua stessa trafila... A proposito, c'è un verso di Virgilio che dice a un dipresso la medesima cosa; ma io non ho più pratica col latino. Aiutami un po'; gli è un verso della regina Didone...

- Ah sì, non ignara mali, miseris succurrere disco. Tristano, tu hai proprio un cuor d'oro.

- Così avessi le tasche. Ma via, non ci lagniamo. Dunque, ecco l'uscio di casa mia; buona notte, e appena ti spunta l'alba, o più tardi, vieni da me; io vedrò di servirti. Sans adieu!

Ariberti strinse la mano al Priore e diede un'allegra volata sui tacchi per tornarsene a casa.

Che amico! che cuor di Cesare! andava egli intanto ripetendo tra . E potete anche immaginarvi come andasse leggero.

 

 

 




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