II.
- C'è poco da ridere, o signori; - incominciò
il poeta; - c'è piuttosto da sospirare. Concedano gli Iddii immortali che
giungiate tutti ad una tardissima vecchiaia; ma rifarvi giovani come allora, e
come queste belle dame che mi ascoltano, non potrebbero neanche gli Iddii. Ero
giovane, adunque, e innamorato, se non vi dispiace. Giovinezza e amore sono due
belle cose e stanno bene insieme, come la primavera ed il fiore. Madonna, poi,
era bella....
- Se non vi dispiace; - interruppe a mezza
voce il deputato.
- Oh, non farò di queste restrizioni, non
dubitate; - ripigliò tosto il narratore. - In certe materie il vero accordo tra
gli uomini è quello di non andare d'accordo. Madonna piaceva tanto a me, che
sarei stato il più felice degli uomini se non fosse piaciuta a nessuno. Ma io
desideravo, pur troppo, una cosa impossibile, poichè ella era una bellezza
stupenda: alta e di forme aggraziate, bianca rosata di carnagione, con due
occhi turchini, le labbra vermiglie, i capegli d'oro filato, a farvela breve,
una divinità antica. Fu una colonia greca, quella che popolò il territorio di
Massa? Certo, la donna amata da me era un miracolo di greca bellezza, e
meritava di essere effigiata nel marmo di quei monti, che guardavano la sua
villa dai soffi della tramontana.-
Inutile il dirvi ora per quali ragioni io
fossi tanto di frequente a Massa Ducale. Mettete pure che io mi fossi impegnato
a scrivere una dotta memoria sopra Alborico Malaspina, o che volessi sapere la
verità vera intorno alle gelose vendette di Veronica Cybo. Si va in un luogo
con un primo perchè; presto ce ne son due per ritornarci; a breve andare tre o
quattro, confortati da altrettanti pretesti, per diventar di casa e piantar
radici senz'altro. Massa Ducale non ha solamente un prefetto e un circolo di
Assise, ma tesori archeologici ed artistici di prim'ordine; il suo palazzo
Cybo, con due ordini di loggiati nell'interno, è veramente maraviglioso, anche
per chi abbia veduti i più sontuosi edifizi di Roma e di Genova; tutti gli
altri palazzi minori, elegantemente graffiti, che hanno fruttato alla gentile
città il suo nome di "Massa pinta" son degni di attenzione e di
studio, come bei saggi dell'arte del Risorgimento; infine, che dirvi di più? la
sua piazza degli Aranci è una cosa unica al mondo. Massa Ducale, città di puri
contorni, lieta di profumi, di colori e di sole, chi non ti ha veduta, vive
nella ignoranza di una cosa bella; chi ti ha veduta, e non ti ama, merita di
andar relegato.... a Montignoso.
La villa Madonna (permettete ch'io dica
Madonna, all'antica, non pronunziando il suo nome) sorgeva sul pendìo della
verde costiera, alle spalle della città e del castello di Alborico Malaspina.
Così com'era, con le sue alte mura di sostegno, i suoi colonnati e le sue
decorazioni superbe, pareva un avanzo di villa del magnifico Cinquecento; ma
forse non era che un bel principio, rimasto lì non finito, per la morte del suo
fondatore. Col signorile della fronte contrastava il rustico dei lati e
l'interrotto delle logge, che nella mente del proprietario e nei disegni
dell'architetto dovevano correrle intorno. Accanto al palazzo di quattro piani,
ornato di una facciata a buon fresco nello stile severo del Mantegna, sorgeva
da un lato la cappella; ma dall'altro, dopo un piccolo cavalcavia, sormontato
da un terrazzo, si dilungavano alcuni campi in colle, sostenuti ancora da muri
a secco. Infatti, la verde costiera si alzava proprio alle spalle del palazzo,
donde la divideva una fossa profonda e stretta, e di là risaliva fino alla gola
della Tambura, della fosca Tambura, il cui nome rumoroso accenna forse al
baturlo del tuono, che scende di lassù, in tutti i temporali di Massa. Credo di
avervi descritto abbastanza il luogo; ma, perchè s'intenda meglio ciò che debbo
raccontarvi, dirò ancora che al pianterreno del palazzo era il vestibolo, con
la cucina, i suoi annessi e connessi, e finalmente la cappella: che al primo
piano erano le sale di ricevimento, la sala da pranzo, e finalmente un
salottino da lavoro, donde per una porta finestra si riusciva sul cavalcavia,
fatto a terrazzo e sormontato da una fitta pergola di rose Bancsie. Il
campo in colle, che si stendeva di là dal terrazzo e sul suo medesimo piano, si
chiamava, con nome antico, il giardino; ma in verità non era neanche più un
orto. Incolto, insalvatichito, poggiava sopra un grosso muro di fabbrica,
coronato da un lungo parapetto; ma il campo superiore non era sostenuto che da
un muro a secco, rigonfiato dalle pioggie, e in più punti della sua lunghezza
minacciante rovina.
- Peccato! - Mi avvenne di dire una volta. -
Peccato non rifarne un giardino davvero!
- Perchè? - mi rispose il padron di casa. -
Il giardino c'è già, qui sotto, all'entrata della villa,
- Sì, ma che succede? Che di giù si passa per
entrare e per uscire, ma non ci si trattiene quasi mai. Ora, poichè la vita
della famiglia e le consuetudini della ospitalità si concentrano in questo
piano, un giardino potrebbe esser fatto qui, e tornar molto più utile, come
quello che sarebbe visitato più spesso. In fondo, non ha già il nome con sè? E
questo, ohe cosa significa, se non che in altri tempi lo era già stato? Vedete,
caro amico, che sarebbe proprio a due passi dal salottino dove lavorano le
signore. È una striscia di terreno, mi direte; ma è abbastanza larga, per
contenere due belle aiuole di fiori; inoltre, è così lunga, che riescirebbe una
stupenda passeggiata per le ore calde del giorno.-
Il mio ospite ascoltava sorridendo, come si
ascoltano per cortesia tanti vani discorsi di tavola; poi ci dormiva su.
Dormiva sempre un'oretta, dopo aver pranzato; e in quell'oretta, rispettando il
silenzio dell'anticamera, silenzio non interrotto che da una ritmica vibrazione
di mantici (scusate il particolare poco poetico, pensando che siamo tutti
mortali e soggetti alle infermità della creta), in quell'oretta, dico, Madonna
esciva sul terrazzino a respirare i profumi delle rose, mentre le due cognate,
due vecchie zitellone miopi e senza pretese, andavano e ritornavano dal
salottino al cavalcavia, facendo qualche cosuccia e prendendo una parte molto
discreta alla conversazione. Io passeggiavo, frattanto, ammiravo le rose
ond'eravamo circondati e la prospettiva della valle che si apriva davanti a
noi; qualche volta, rientrando nel salottino, contemplavo alcuni vecchi
ritratti di dame della famiglia; più spesso guardavo una giovane figura
originale, che spiccava, alta, bionda e rosata sul verde. S'intende che tutto
questo viavai, consentito dalla intimità delle abitudini e ristretto ad uno
spazio di pochi metri, non era senza fermate, nè sopra tutto senza chiacchiere.
Madonna rispondeva volentieri, se i discorsi erano tali da interessarci tutti;
altrimenti li lasciava cadere senza misericordia. Madonna era fatta così: le
frivolezze gli piacevano poco, i complimenti meno ancora, le galanterie niente
affatto. Quante volte, per conformarmi a quel suo temperamento singolare, e
sebbene si restasse lungamente soli, quante volte non mi è avvenuto
d'intrattenerla con ragionamenti di economia politica e perfino di diritto
amministrativo, con deliberazioni di Consiglio provinciale e discussioni di
Comizio agrario! Ero almeno sicuro di non darle noia, di sentirmi rispondere
frasi intiere e un pochettino più vive. Si trattava ordinariamente di semplici
domande, o di osservazioni giudiziose sulle cose esposte dal vostro umilissimo
servo; ma gli occhi accompagnavano le parole con un mite raggio di luce
azzurra; le labbra davano a quelle parole il colore vermiglio delle rose e come
una tiepida fragranza di maggio; perciò il discorso non mi pareva freddo, e
guardavo quegli occhi, e bevevo tacitamente non so quali emanazioni di luce e
d'armonia, non senza il commento di un profondo sospiro. Lei allora chinava gli
occhi e taceva; di rado, quando al sospiro ardivo sostituire una frase nulla
nulla più calda delle solite, mormorava arrossendo: "Che matto!" Era
molto, sapete; era per me il colmo delle beatitudini. Ma perchè non avevo sempre
occasione di escire in quelle frasi più calde, e perchè spesso erano presenti
le cognate, miopi sì, ma non sorde, e i discorsi volgevano allora sulla qualità
del refe, sul color delle lane, sulla finezza degli aghi e su altre cose di
eguale importanza, io solevo anche levarmi di là, far due giri sul cavalcavia e
andare a far le volte del leone sulla mia striscia di terra.
A poco a poco, quella passeggiata solitaria
divenne una vera abitudine. Già, avevo preso quella di andar là tutte le sante
mattine a prendere il fresco. Era anche il luogo donde, senza averne l'aria,
potevo spiare la discesa di Madonna dalle sue stanze del secondo piano, ovvero
del terzo, se vi piace di contare anche il terreno. La prima sua visita,
naturalmente era per il salottino da lavoro; di là non era meno naturale che
uscisse sul terrazzino, a vedere la gloriosa fioritura delle rose Bancsie;
ed io, venendo su per la striscia un po' curva del così detto giardino, o un
momento prima, o un momento dopo, vedevo la sua capigliatura bionda, illuminata
dai raggi del sole, che fiammeggiava allora sulla bianca merlata della rocca di
Alberico. Inutile il dirvi che accorrevo sollecito verso di lei, che ci davamo
il buon giorno e che una stretta di mano suggellava l'augurio. Madonna rimaneva
ancora un pochino davanti al parapetto, guardando verso la valle, ed anche se
il cielo minacciava burrasca, verso le nere gole della Tambura. Io qualche
volta mi arrisicavo ad offrirle un mazzetto di fiori salvatici, raccolti sulla
collina, e che erano detti allegramente i fiori del mio giardino, quantunque il
mio giardino non ne producesse neanche di quelli. Poi giungevano le cognate, e
si facevano altre poche ciarle sul più e sul meno; finalmente capitava il
padrone di casa, il mio ospite magro e segaligno, coi suoi eterni occhiali
d'oro sul naso.
- Che fa il nostro filosofo peripatetico? -
domandava egli immancabilmente.
- Ah, buon giorno! Son qui che medito.-
E tutti i giorni, bisogna dirlo ad onor mio,
trovavo nuove ragioni di meditare.
Così passarono settimane che tanti anni dopo
osai credere noiose, mentre furono le più belle, forse le sole belle, della mia
giovinezza. Un sorriso, una stretta di mano, poche parole, dette a fior di
labbro, sotto il pergolato delle rose Bancsie; che cosa si domanda più, se
tutto ciò avviene tra due anime che s'intendono? Ma le noie inseparabili da
quei lieti momenti, le cognate, gli occhiali d'oro.... Ahimè! Non è tutto
bello, non è tutto eccellente, nel libro dell'esistenza. Per giungere ai bei
passi, bisogna leggere molte pagine noiose; almeno almeno tutte quelle che non
è dato saltare.
Settimane belle, ma niente più di settimane
staccate, purtroppo! Perché, come vi sarà facile immaginare, io non potevo
restarmene sempre a Massa Ducale, a Massa pinta, a Massa fiorita, fragrante,
paradisiaca. Le necessità della vita mi richiamavano spesso ed imperiosamente a
Pisa, dove ogni mattina la campana dell'università, nel quarto d'ora così
molesto agli abitanti del Lungarno di destra, suonava anche per me. Quante
infedeltà gli ho fatte, a quella povera campana della scienza, per correre al
campanello della stagione! Torre del Lago, Viareggio, Pietrasanta, Serravezza,
Massa! Signori, chi scende? Restassero pur tutti; scendevo io, e prima che
venissero i frenatori a girar la maniglia, avevo aperto io lo sportello, col
manico del bastone fatto ad uncino. Che amore per gli studi archeologici!
L'autore della Tavola Peutingeriana non se lo immaginava mica, che mille
novecento anni dopo di lui un cuore avrebbe dovuto battere così forte per la
stazione di Taberna frigida! E neanche il buon prete Salvioni, a cui
auguro cent'anni di vita, s'immagina adesso che il suo modesto e dotto
libriccino sulle chiese di Massa sia stato letto con tanta diligenza, per dare
ad un erudito di seconda mano la infarinatura necessaria.
L'ospite non mi concedeva tuttavia il nome di
archeologo; sotto altro aspetto gli apparivo io; sotto l'aspetto di filosofo,
per quelle mie eterne passeggiate di là dal terrazzino.
- Ah, ecco qua il nostro peripatetico! -
gridava egli, stendendomi la mano. - Avete fatto bene a venire da noi a
portarci un pochino di buon umore. C'è tanta noia, in questa valle del
Frigido!-
Ci s'annoiava, lui, capite? ci s'annoiava.
Ah, come è vero il detto del filosofo, che gli uomini passano accanto alla loro
felicità senza conoscerla! Ed egli non ci passava soltanto; ci stava da mattina
a sera, da sera a mattina! Povera valle del Frigido! Ci sarei vissuto io ben
volentieri, in quell'angolo di mondo. Conoscevo la felicità, che era fatta per
me; non avrei conosciuta altrimenti la noia.
Intanto, riprendevo per una settimana le mie
passeggiate, fingendo di studiar problemi storici, ma sopra tutto almanaccando
e sperando. Che cosa speravo? Che mi fosse dato di aprir l'animo mio, anzi il
mio cuore, a Madonna; che ella mi ascoltasse pietosa, e mi dicesse pure:
"Sì, t'amo, ma vattene!" Certo dell'amor suo, sarei andato in capo al
mondo, a nascondere il mio dolore e la mia gloria.
Sono sinceri questi patti, che l'uomo
innamorato è così facile a immaginare e a proporre? Certo essi scaturiscono
dall'intima vena del cuore; ma chi ci vede, là dentro? Le acque sotterranee
passano per tanti strati, così diversi di composizione e di temperatura, che
tutto è possibile allo sgorgo della fontana, anche uno zampillo d'acqua fresca
e purissima.
Aspettando il momento, ragionavo qualche
volta sul mio medesimo desiderio. - "Non saresti tu in errore? Ciò che
aspetti di sapere da lei, non ti è forse già noto? Che tu la vedi volentieri,
troppo volentieri, glielo dice abbastanza questo spesseggiar di visite alla
patria del cardinale Alderano. Che ella veda volentieri te, non te lo dice
abbastanza il sorriso che illumina il suo volto, quando tu giungi, lontano
parente, alla sua cara presenza? Bada, amico, non chieder altro; conténtati di
un: "che matto!" mormorato dalle sue labbra divine, e non turbare,
con le tue curiosità feroci, la pace serena del suo spirito."-
E un certo senso di precoce esperienza
aggiungeva: - "Non andare più in là, se quella donna ti è cara. Il meglio
del fiore è la vista o il profumo; il meglio dell'amore è il primo turbamento
che non si spiega, la tenera sollecitudine a cui non si dà ancora un nome, la
galanteria dei principii, che si ama confondere coi doveri della conversazione,
e che fa passare sotto quella vecchia bandiera tanto contrabbando di speranze
da una parte e di promesse dall'altra. Speranze, promesse: ecco il fior
dell'amore."-
Andate a pensare queste cose proprio a dieci
passi di distanza della donna che amate, e poi figuratevi un prigioniero che canta
la libertà, stando con gli occhi rivolti alle sbarre del carcere. Il
prigioniero misura a brevi passi i metri della sua celletta; io misuravo a
passi più lunghi i trenta metri della mia fruttaglia incolta, di là dal
terrazzino che sapete.
- "C'è uomo più disgraziato di me, sotto
le apparenze della fortuna? Vengo a mia posta; sono accolto benissimo, ma come
sarebbe accolto ogni altro mortale. Lei buona, cortese, amabile con tutti, è
come una santa nella sua nicchia, che sorrida a quanti le s'inchinano in
chiesa, e un giorno dell'anno, se occorre, tirata fuori di chiesa e portata in
processione per le vie, sorride egualmente al popolo e al comune. E Madonna non
sente che inferno è la vita per me? Non sente che limbo è per lei? Tranquilla,
serena, passa il suo tempo accanto a quel vecchio dalla parrucca rossiccia e
dagli occhiali d'oro, come se fosse accanto ad Un Apollo. E lo sarà stato anche
lui, un Apollo; non dico di no; ma quando egli era giovane e forse anche bello,
Madonna non era ancora nata. Ed ora, che si fa? Si dice male dell'ospite,
nell'atto di calpestare la sua terra? Sicuro, la sua terra che egli non ama, e
di cui non si cura. Vedete qua; il campo più vicino alla casa, è trascurato
come.... come tutto il rimanente. Io qui ci farei tanto volentieri un giardino,
con la sua bella piantata d'aranci, o di limoni, che corresse di qua fino in
fondo."-
Così pensando, mi ero fermato a guardare il
muro a secco, che sosteneva il campo di sopra. Due occhietti vivi ammiccavano
da una pietra sporgente. Il luccichio di quelli occhi mi attrasse, e guardai.
Miracolo della moltiplicazione! gli occhi non erano più due, ma quattro, e due
erano invece le teste, graziose, mobilissime, d'un bel verde giallo, con due
gole di color canerino, che si dilatavano e si stringevano alternamente,
secondando il respiro.
Erano due ramarri, come voi già avrete
indovinato. Io stavo immobile, quattro passi discosto; ed essi, appaiati in
tranquilla postura sul margine della pietra uscente di squadra, mi guardavano
fissamente, muovendo la bocca ed ansando alla guisa dei cagnolini.
A tutta prima mi parve strana quella
sicurezza in così sospettose bestiole. Ma pensandoci meglio, mi capacitai della
cosa; quei due ramarri, che io vedevo allora per la prima volta, avevano il
loro covo nella macìa, e certamente erano stati ad occhieggiarmi un centinaio
di volte, lontano e vicino, intento alle mie meditazioni, dalle quali non mi
distoglieva punto il guardare sbadatamente qua e là. Ero dunque una vecchia
conoscenza, per quei due giovani e felici amanti, dell'ordine dei saurii.
- Dafni e Cloe, miei piccoli amici! -
esclamai. - Ho tanto piacere di vedervi. Non siete dunque come gli altri
ramarri, fratelli vostri, che fuggono così rapidamente all'appressarsi
dell'uomo? Voi dunque avete fiducia in questo bipede implume, in questo didelfo
monoginio, che gli animali delle specie così dette inferiori debbono avere
classificato tra le bestie feroci? Ciò è bello da parte vostra, e mi esalta
nella mia propria considerazione. È anche bello questo amarvi che fate. Ah,
ramarri miei dolci, beati voi che ve ne state lì a soleggiarvi sull'uscio di
casa, l'uno al fianco dell'altro, innamorati e felici. Uno di voi sicuramente
appartiene al sesso gentile, e l'altro,... non porta parrucca nè occhiali. Del
resto, non sareste voi certamente che rimarreste uniti, seccandovi, come
succede a noi, bestie privilegiate di ragione, armate di leggi, decorate di
consuetudini, letificate di sbadigli. Giovani e belli, verdi di spoglie e di
speranze, iridati d'amore, sciogliete il gran problema della vita col metodo
più spiccio, che è quello di non averne nessuno. Serbatevi fedeli a questa
norma sicura, custodite in cuor vostro questi nobili sentimenti, mantenetevi
saldi in questa invidiabile condizione di ramarri. Essa è filosofica in grado
superlativo, e voi sapete, o noi sappiamo per voi, che nella massima filosofia
risiede la massima felicità.-
Mandato dal profondo dell'anima questo saluto
ai due saurii, mi allontanai, proseguendo la mia strada. Tre o quattro passi
più in là mi rivolsi indietro a guardare. Essi erano sempre immobili sul
margine della pietra, con le testine erette e rivolte dalla mia parte.
Brillavano gli occhietti arguti, guardandomi; le nitide gole palpitavano verso
di me, dando ritmici lampi di giallo tenero, che mi penetrarono il cuore di
soavissimi sensi.
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