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Anton Giulio Barrili
Uomini e bestie: racconti d'estate

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  • I DUE RAMARRI.
    • III.
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III.

 

Quel giorno non fui più solo nelle mie passeggiate. La mia Tebaide aveva due compagni, il mio dolore due testimoni discreti. Dopo colazione, vedendo che l'ospite sonnecchiava dietro gli occhiali d'oro e che Madonna indugiava ad escire sul terrazzino, trattenuta com'era dai discorsi delle miopi cognate, ritornai nel giardino, brancicando nella tasca il pane che ci avevo ficcato, con dedica particolare agli amici ramarri. La pietra sporgente era deserta; i due saurii si erano forse ritirati nel covo a schiacciare un sonnellino, o forse erano esciti in caccia lungo le rive del campo. Approfittai della loro assenza, per deporre il mio pane sbriciolato sul margine della pietra, e tosto mi allontanai, per ripigliare il filo delle mie meditazioni e delle mie passeggiate. Al mio ritorno davanti al covo, vidi i ramarri, o ritornati allora in casa, o usciti sulla soglia al rumore dei miei passi. Comunque fosse, mi parvero contenti della mia venuta, e grati del presente, che avevano incominciato ad assaggiare.

- Ah, bravo! - avevano l'aria di dirmi. - È Lei che ci ha fatta questa bella improvvisata? Senta, a dirle la verità, noi non si usa mangiare il pane; o non perché ci dispiaccia, ma perché non c'è caso di vederne, e ci si adatta male ad un cibo che non si conosce. Grilli, larve, lumachelle, mosche ed ogni altro genere d'insetti, sono il nostro pascolo quotidiano, questa essendo l'imbandigione che ci è fatta dalla madre Natura. Il suo pane, del resto, è buonino, e noi la ringraziamo del gentile pensiero. Non vorremmo abusare della sua grazia; ma se ci avesse anche qualche cosa di dolce, lo apprezzeremmo volentieri. Amarini, per esempio; ed anche cantucci di Prato, dei quali si dice tanto bene.

- Amici miei, - risposi, - e il dolce e l'amaro, e ogni cosa mia vi darò. Sento che vi piacciono le mosche. Orbene, anche di queste io vi potrò regalare. Ci fu un tempo che mi saltavano al naso, e un altro che d'ogni mosca facevo un elefante; oggi poi me ne rimangono le mani piene. Voi, ospiti di questa casa, conoscendo il mio segreto, dovreste saperne il perchè.-

Movendo la testa e ammiccando con gli occhiotti arguti, i due ramarri mi davano l'illusione di un sì. E forse non era soltanto un'illusione, la mia. I ramarri son bestie intelligentissime; studiano poco, è vero, ma per contro osservano molto, e una certa pratica d'uomini la debbono avere acquistata.

I miei due amici mi lasciavano accostare sempre più al loro osservatorio, senza dar segno di timore. Il giorno dopo, avevo fatto una piccola provvista di biscottini e portavo loro le briciole. Essi erano ad aspettarmi, ma forse presumendo troppo della loro forza morale. Infatti, mi lasciarono avvicinare alla pietra; ma quando io stesi la mano per offrir loro il biscotto dell'amicizia, diedero volta e si rintanarono prontamente. Rimasi mortificato, lo confesso, da quella prova di sfiducia; ma deposi tuttavia l'offerta e mi ritirai un passo indietro. Di certo si vergognarono della loro paura, poichè, subito dopo aver tirato dentro lo code, misero fuori le teste, e rinfrancandosi a poco a poco ritornarono all'aperto. più, dopo quella fuga, mi diedero prova di sospettare delle mie intenzioni, ed io mi sentii felice di aver loro ispirato un pochino di confidenza. Madonna, così ne avessi ispirato un briciolo anche a voi! Ma questa era tuttavia una vana speranza. Incominciavo a parlare, e voi mi mozzavate le parole in bocca col vostro placido sorriso, o con la vostra solita frase: "che matto!" frase dolcissima, non lo nego, soave, delicata, ma fredda, come un gelato di Napoli.

I miei due ramarri, in capo a tre giorni, erano pienamente addomesticati; prendevano grilli, mosche e briciole di pane dalle mie stesse mani. Ammiravo la loro gentilezza, i bei colori metallici del loro dorso, l'intelligenza che lampeggiava dai loro occhietti neri. Uno di essi fu tanto cortese da lasciarsi accarezzare, facendomi provare alle dita la piacevolissima sensazione di chi tocca un guanto di Svezia, teso sulla mano morbida di una bella signora.

Quei graziosi animaletti insettivori, diventavano frugivori ed onnivori per opera mia. Trionfava la teorica della evoluzione, senza passare per lo stadio terminale della filantropofagia. Scusate, signori, la novità del vocabolo; così vorrei io che fosse chiamata l'antropofagia intelligente e cosciente, l'antropofagia, dirò così ragionata e sociale. Del resto, il vocabolo nuovo si può difendere, anche senza bisogno di andare a tanta raffinatezza di significati. Che cosa sono i viaggiatori geografi, gli scopritori, e tutti in complesso i boscaiuoli della civiltà? Filantropi, se non erro. E i cannibali, che mangiano i filantropi, non possono chiamarsi, con maggior precisione di parola, filantropofagi? Aggiungete ancora, per un terzo significato, che nella civiltà moderna, tra amarci e morderci a perfetta vicenda, siamo un po' tutti a volta a volta filantropi ed antropofagi, e che perciò una savia contemperanza di nomi deve rispondere ad una ben proporzionata connessione d'istinti. Vi capacita? Io non aspetto neanche la risposta, e ritorno alla mia narrazione.

La scoperta di quei nuovi amici e le conseguenti cure per la loro felicità, mi trattenevano più del solito nella fruttaglia insalvatichita. Era giusto che quella piccola variante nelle mie abitudini fosse notata da una donna. Un'altra novità, che era il mio rimanere in campagna più a lungo delle altre volte, doveva essere notata dall'ospite, ed io stesso mi ero affrettato a darne una spiegazione sufficiente.

- Faccio la visita di santa Elisabetta; - avevo detto ridendo. - Ma c'è un documento, nel capitolo del Duomo, che si riferisce al cardinale Alderano Cybo, e questo documento è importantissimo, per la mia memoria sui Marchesi di Massa. Non vorrei andarmene senza avere ottenuto il permesso di copiarlo.-

La risposta non poteva essere che una: - Restate, siete qui come in casa vostra.-

Quanto alla novità delle mie abitudini campestri, Madonna un giorno mi disse:

- Si può sapere che cosa fate laggiù? E perchè vi ficcate sempre il pane in saccoccia? Avreste per caso degli orfani da mantenere?-

Io già aveva una voglia matta di confidarle il mio segreto e di associarla a quell'opera di carità.

- Due graziose bestiole; - risposi; - un piccolo idillio sul margine d'una pietra. Venite a vedere.

- Dev'essere una cosa interessante; - diss'ella. - Verremo.

- No, vi prego, venite sola. Le mie bestiuole non avranno timore di voi; potrebbero averlo.... di un maggior numero di persone.

- Ma infine, - riprese ella, dopo un istante di pausa, - che bestie sono?

- Riderete, signora; si tratta di due ramarri.-

A quella notizia, ella fece un gesto di ribrezzo.

- Perchè? - le dissi. - Sono tanto carini!

- Sono rettili; - osservò.

- Anch'io avevo questo pregiudizio, - risposi, - ma me ne sono facilmente liberato. Giungo perfino ad accarezzarli.

- E vi lasciano fare?

- Sono bestie e bisogna compatirle, se mi vogliono bene; - diss'io allora sospirando.

- Che matto! - esclamò Madonna, facendosi tutta rossa nel viso.

Io prevedevo l'esclamazione, e l'aspettavo proprio quel punto; ma non avevo egualmente preveduto quell'amabile color di fiamma che le tingeva la guancia.

- Venite a vedere; - incalzai.

- Più tardi; - mormorò ella, dopo aver pensato un pochino. - Mi sono seduta appena ora al telaio, e voglio avviare questo ricamo.-

Poco stante capitarono nel salottino le due cognate e si piantarono accanto a lei, per aiutarla nel suo lavoro. Io stetti alcuni minuti a chiacchiera; poscia mi alzai per andare a passeggio nel giardino. Mi avvenne di ritornare un paio di volte sul terrazzino; ma le cognate erano abbarbicate al posto, dipanando certo matasse di lana così arruffate, che erano una disperazione a vedere; e frattanto ragionavano di cento cose, nelle quali io non avrei potuto metter bocca; come a dire della funzione fatta in chiesa il giorno innanzi, e della veste nuova che indossava per quella circostanza la signora tal de' tali. Le cognate erano miopi, ma per riconoscere una nuova abbigliatura avevano trovata la vista delle linci. Già, non è da fidarsi troppo dei miopi; anzi bisogna creder pochissimo alla stessa miopìa. I miopi, generalmente parlando, son quelli che ci vedono solo quando vogliono.

Finalmente, le due cognate si alzarono. Era tempo che smontasse la guardia.

- Vieni? - disse una di loro. - Misuriamo la stoffa per le cortine della cappella.

- Andate; - rispose Madonna. - Io verrò tra poco. Voglio finire questa rosa.-

Le cognate se ne andarono, come Dio volle. Io, che stavo seduto sul terrazzino, mi mossi e poco dopo rientrai.

- Venite dai vostri pupilli? - mi chiese ella placidamente.

- No; - risposi; - ero andato a passeggio sulla collina.-

Veramente, per uno che era stato sulle alture, ricomparivo troppo a tempo nel salottino. Ella mi rivolse un'occhiata, che pareva volesse cogliere al volo la mia piccola bugia.

- Con questo sole! - diss'ella poscia. - A quest'ora non ci son fuori che le cicale.... e i ramarri.

- Giusto, venite a vederli. Avete promessa loro una visita.

- A loro? Non mi pare.

- Se non a loro, a me, che torna lo stesso; io sono il loro curatore.-

Ella rise, e mi parve disarmata.

- Andiamo, via; - mormorò ella, deponendo l'ago e le forbici; - visitiamo questo serraglio.-

E si alzò, ma non per venir subito dalla parte mia; disparve anzi dall'uscio del salottino vicino, donde si andava nell'anticamera dell'appartamento, vicina alla sala da pranzo. La cosa mi dètte un po' di noia, perchè, passando di , Madonna avrebbe potuto interrompere i sonni al padrone di casa e procurarmi l'apparizione, non desiderata per allora, dei suoi occhiali d'oro. Intesi per altro dove fosse andata, quando la vidi ricomparire col parasole tra le mani.

Mi precedette sul terrazzino, si fermò un istante a respirare i freschi profumi delle rose Bancsie, poi mise il piede nel campo inselvatichito.

- Avete ragione; - mi disse; - è una vera grillaia. Bisognerebbe coltivarla, questa terra, rinverdirla un pochino.

- L'ho detto a vostro marito, signora, e ricorderete benissimo l'accoglienza che ha fatta alla mia umilissima proposta.

- Ah, sì, ridendo, non è vero? - ripigliò la signora. - Egli bada all'utilità, e non ha poi tutti i torti. Agli uomini il pensiero delle grosse spese; a noi donne quello delle piccole economie.

- Ma infine, - replicai, - qui non si sarebbe trattato di una spesa inutile, quantunque di puro ornamento. Ci vuole un pochino di poesia, anche nella vita comune; non vi pare?

- Ah, di questa, il meno che sia possibile! - gridò ella, con un gesto di terrore, a cui faceva contrasto il sorriso.

- Come! - esclamai. - La credereste pericolosa anche voi?

- Sì, e questa volta vi parlo senza ridere.

- Allora.... - mormorai, chinando la testa.

- Allora, che cosa?

- Allora, signora mia, date un esempio solenne.

- In che modo?

- Cessando di essere così....-

E mi fermai un'altra volta, non osando finire, ma sperando di essere inteso. Ella aspettava, forse indovinando l'aggettivo, ma non volendo parere.

- Così.... - ripigliai, esitando. - Come ho da dire?

- Non dite niente, se è una cosa brutta; - rispose.

- No davvero; - replicai. - È anzi il suo contrapposto.

- Allora è una esagerazione, e non va detta nemmeno; - sentenziò la mia dama, facendosi seria. - Ma dove sono i vostri ramarri?

- Laggiù, vedete, dove il muro a secco esce più in fuori.-

Il campo in colle andava curvandosi via via nel verso della costiera; e noi, chiacchierando, ci eravamo abbastanza inoltrati. Madonna si volse indietro e non vide più l'entrata del terrazzino.

- In verità, - diss'ella, - non credevo che fosse un campo così lungo. Da ott'anni che vivo in questa casa, non avevo mai posto piede quassù.

- Una vera vita monacale! - mormorai.

Ella mi seguì, senza risponder parola. Fatti alcuni passi, incominciammo a vedere i ramarri che stavano , al solito posto, certamente aspettandomi. Madonna non volle accostarsi alla pietra; ma quel tanto che si era avvicinata bastò per farli fuggire nel covo. Lei presente, li chiamai con voci carezzevoli, ed ebbi il piacere di vederli comparire, abbastanza rassicurati.

- Vedeteli, come son belli! - le dissi. - Questo è Dafni e quella è Cloe.-

Sicuramente, chiamando Cloe la bestiuola più appariscente, facevo prova di galanteria, a danno della verità zoologica. Tra gli animali inferiori, si sa, il maschio è sempre il più bello; solo nella specie umana è più bella la donna. Per compenso l'uomo è più bestia.

- Eccovi, signora Cloe, una persona amica; - ripresi. - Anzi, a dirvi le cose come stanno veramente, non una persona, ma un angelo di bellezza e di bontà: "colei che sola a me par donna", direbbe in questo caso il Petrarca.

- Che matto! - esclamò la signora. - Cloe non capisce i vostri inni.

- Lo credete? - diss'io, con accento assai triste. - È proprio vero che ella non debba capirmi?-

Madonna non credette necessario di rispondere alla domanda, e si affrettò invece a cambiar discorso.

- Sapete che è una cosa strana! - mi disse. - Non avrei mai creduto che si potessero addomesticare i ramarri.

- La cosa è rara, infatti, ma non è altrimenti impossibile; - risposi.

- E siete venuto voi....

- E sono venuto io, e come Cesare ho veduto ed ho vinto. Vedete, signora? Iddio mi ha dato questo potere; ma ohimè, solamente sui ramarri.

- È già qualche cosa.

- Sicuro, e varrebbe meglio non aver nulla. È doloroso, signora mia, senza fine doloroso, meditar grandezze, sognar fortune inaudite, e dover poi restringere la propria azione a così piccole vittorie.

- Siete voi tanto smanioso di vincere?

- No; vorrei perdere, anzi, esser fatto prigioniero ed essere tenuto come uno schiavo.

- Che cos'è uno schiavo volontario? - diss'ella, accettando per un istante battaglia. - Dovrebb'essere, a parer mio, uno che è contento di obbedire e tacere.

- Purchè gli sia dato di baciar la propria catena; - risposi, facendomi coraggio e afferrando la sua mano.

Madonna si affrettò a ritirarla. Io chinai la testa confuso.

Una voce conosciuta risuonò in quel punto dalla parte del terrazzino.

- Son qua; - rispose Madonna, che aveva udito proferire il suo nome.

La parrucca rossiccia e gli occhiali d'oro comparvero poco stante sul campo. Brillò attraverso quelle lenti un lampo, che parve rischiarare Dio sa quali recessi di un'anima. Era un lampo, per altro, e come tutti i lampi si spense.

- Ah, il nostro peripatetico! - esclamò l'ospite avvicinandosi a noi. - Avrebbe egli fatta in questo campo una scoperta archeologica?

- No; - risposi fremendo; - solamente zoologica.

- Una cosa stranissima, sai? - soggiunse la signora. - Egli ha addimesticato due ramarri.

- Che stravaganza!

- Vieni e vedrai, come ho veduto io. Eccoli, su quella pietra sporgente. Si lasciano perfino accarezzare.

- Bene! Così perde il suo tempo, il nostro egregio amico? Vediamo anche noi questo miracolo di educazione.-

Il marito di Madonna si avvicinò alla pietra; ma, come potete immaginarvi, appena videro lui, Dafni e Cloe fuggirono lesti, si rintanarono fra i sassi. L'apparizione del personaggio drammatico scompigliava a dirittura l'idillio. Fors'anche è da dire che, quantunque amici dell'uomo, i ramarri non ne gradiscano egualmente gli occhiali.

Il nuovo venuto mi parve scontento di quella fuga, che poteva parere una mancanza di riguardo degli ospiti verso il padrone di casa. Del resto, dispiace sempre di apparire un guastafeste, che con la sola presenza mette in fuga le genti, come se fosse la versiera. Cionondimeno i ramarri li aveva veduti, ed era innegabile che stessero tranquilli, vicino a noi, prima che egli giungesse a spaventarli.

- Anche tu sei venuta a vedere questo grazioso spettacolo? - diss'egli allora, rivolgendosi a Madonna.

- Mi pareva incredibile! - rispose ella. - Anzi, ero venuta a cercarti, dianzi, perché lo vedessi tu pure. Ma non ho ardito svegliarti; dormivi così bene!

- Infatti.... - borbottò egli; - con questo caldo! Che fare?

- Amico mio, - entrai io allora, seccato dalla sua confessione, com'ero stato sconcertato dalla sua apparizione, e non meno scontento di aver saputo perchè Madonna fosso andata nell'anticamera, - bisogna correggere questa abitudine.

- Sarebbe a dire?

- Che il dormire fuor d'ora può farvi male. Viene dalla noia, lo capisco; ma la noia si combatte, prendendo l'uso di qualche occupazione.

- Trovarla! - diss'egli, pensoso, ma alquanto rabbonito. - Ho commesso l'errore di lasciar troppo presto il servizio. Giovinotto mio, se entrate nella via degli impieghi, badate a non escirne, e fate di morirci. È veramente una pericolosa illusione, quella che ci prende talvolta, in mezzo alle così dette fatiche dell'uffizio. La libertà, la quiete, la campagna!... Io l'ho conquistata, la libertà; l'ho avuta, la quiete; la godo, la campagna; e nessuna noia è più vasta della mia.-

E Madonna era , daccanto a lui, bella come il sole che risplendeva alto, accendendo in lumi di smeraldo, di malachite e di cromo, i verdi tutti della vallata e delle circostanti colline; era , sorridente e rosea nella mite penombra dell'ombrellino, che si disegnava come una larga aureola intorno ai suoi capegli d'oro; e lo ascoltava, il suo signore e padrone, e tendeva gli occhi pietosi e reclinava mollemente la testa, come chi voglia dar segno di cura amorevole, se non di pieno assentimento, al racconto dei piccoli mali di una persona amica.

Uomo sconoscente e scortese, mostro d'ingratitudine, vero serpente dagli occhiali, ti avrei così volentieri strozzato con le mie mani!

Faceva caldo; sudava egli, sudò anche lei, per condiscendenza domestica, e diede il cenno di rientrare. Come si fu nel salottino, Madonna si allontanò, per attendere alle piccole cure della casa, ed io rimasi un bel pezzo ad ascoltare gli sfoghi di malumore del capo-divisione, che ha domandata troppo presto la sua pensione di riposo.

Evidentemente, egli si era ammogliato troppo tardi; e subito dopo commesso l'errore (sarei quasi per dire l'anacronismo) aveva provato il rovello di tutti gli uomini attempati, che debbono passare molte ore del giorno in uffizio, mentre a casa aspetta, o passeggia per le strade, o va a far visita alle amiche, una moglie giovane e bella. Quegli uomini hanno cercato nel matrimonio la pace, la pensione di ritiro del cuore, la giubilazione dei capricci e degli svaghi di un celibato che nella sua stessa libertà, dava le illusioni d'un prolungamento di gioventù. Questa giubilazione, questa pensione di ritiro, questa pace, ad essi tanto gradita e fors'anche necessaria, vorrebbero imporla ad una creatura giovane, piena di vita, ardente di desiderii, e chi più n'ha ne metta, anche senza escire dai confini del lecito, e dell'onesto. Chi è che dice che la tortura è stata abolita, nel nostro mondo civile?

Quel giorno, a tavola, il mio ospite parlò a lungo di Pisa e de' miei studi legali. Io li avevo finiti, e già facevo le pratiche; ma se anche non li avessi finiti, quella oramai era stagione di vacanze e la campana universitaria taceva, con grande soddisfazione di tutti gli abitanti della riva destra dell'Arno. Io avrei dunque potuto lasciarlo parlare a sua posta della dotta Alfèa, dove non mi richiamava nessuna ragione di lavoro o di studio. In quella vece, non so come mi venne detto che ero rimasto a Massa oltre i termini del convenevole e che qualche cosuccia, ricordata allora, richiedeva la mia presenza a casa. L'ospite mi lasciò andare, senza pregarmi troppo.

- Capisco, - diss'egli, - capisco; voi altri giovanotti siete sempre in faccende. Andate dunque, e se vi ricordate di me, cercatemi da un libraio qualche buon trattato di agronomia. Poichè faccio la vita del contadino, debbo averne anche le cognizioni. Farò l'ortolano e il giardiniere, e sarà un modo anche questo per ammazzare il mio tempo.-

Era anche per me un modo sufficiente, un buon pretesto per ritornare tra non molto. Partii la mattina seguente da Massa, dopo aver data un'ultima manata di mosche ai miei cari pupilli.

L'amico si era alzato quella mattina meno ingrognato del solito. Egli fu tanto cortese da volermi accompagnare fino alla stazione di Massa. Io mi schermii, ma egli incalzò; era proprio risoluto di darmi l'ultimo saluto.

- L'ultimo saluto! - dissi tra me. - Crepi l'astrologo.-

Ma egli evidentemente accennava ad un ultimo saluto relativo, risguardante quella mia recentissima visita, che in verità, lo riconoscevo ancor io, era stata troppo lunga.

- Sono contento che avrete un buon viaggio, - mi disse, entrando con me sotto la smilza tettoia della stazione. - La mattina è fresca e questo po' di brezza marina vi accompagnerà fino a Pisa. Ah, come vi accompagnerei volentieri ancor io!

- Chi ve lo impedisce?

- La famiglia, mio caro; noi siamo le vittime dei doveri di famiglia.-

E fece qui un lungo sproloquio sulle noie che la famiglia arreca ad un uomo, vissuto libero por tanti anni e padrone di . Grandi noie, davvero! La società era ingrata e sconoscente con lui; non gli teneva nessun conto del sacrifizio che aveva fatto, a sposare una donnina così bella e ad accettare l'uffizio di suo carceriere, vita natural durante!

Volevo rispondergli per le rime. Se la famiglia era per lui un inferno, che cosa si pensava d'esser egli? Un paradiso, forse? A farla grossa, si poteva vedere in lui un equipollente del purgatorio. Me ne astenni a fatica, desiderando che venisse la vaporiera per levarmi di pena. E venne finalmente, e balzai lestamente in carrozza.

L'amico rimase immobile davanti al montatoio, per darmi fino all'ultimo momento il grato spettacolo de' suoi occhiali d'oro.

- Buon viaggio! - mi disse, quando i frenatori passarono, chiudendo gli sportelli e gridando: partenza! - Non dimenticate di mandarmi i libri.

- Potete dubitarne? Li cercherò subito.

- E, s'intende, - riprese egli, - che mi manderete insieme il conticino.

- Pensate anche a queste piccolezze?

- Certamente; le commissioni son commissioni, ed è già molto che vi prendiate l'incomodo di cercare per me. Addio, dunque, e statemi sano.

E niente arrivederci! Ma glielo volli dir io, perchè tanta durezza mi aveva rivoltato lo stomaco.

- I miei ossequi alle signore; a rivederci! - gli gridai, mentre la macchina dava la stratta al convoglio.

- Grazie! L'agronomia, mi raccomando....

- Sì, caro, e il diavolo che ti porti.- Perdonatemi questa chiusa, niente cortese per un ospite. In quel momento ero fuori dei gangheri. Del resto, intenderete benissimo che l'asprezza del saluto era corretta dall'amabilità del sorriso, e soffocata dal fragore di un treno in moto.

 

 

 




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