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Anton Giulio Barrili
Uomini e bestie: racconti d'estate

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  • I DUE RAMARRI.
    • IV.
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IV.

 

L'amore contrastato è una mala cosa, da cui prego che il cielo vi scampi, in ogni età e condizione. Quando si ama così, la vicinanza è un tormento, ma la lontananza è un morire. Povero cuor mio di ventitrè anni! Perchè ero innamorato di buono, a quel tempo, e solo il ricordo della potenza di quell'amore, mi sembra una scusa sufficiente della sua illegalità. Ragionerò male fin che volete; ma se un grande scrittore ha potuto dire che non si ama col calendario alla mano, io potrò modestamente soggiungere che non si ama neanche consultando il Codice civile.

Io ci ritornai, al codice, nella pace forzata della dotta Alfèa, e certamente ebbe principio di il profondo disgusto che mi fece abbandonare assai presto quel genere di letteratura, in cui Giustiniano è Omero, e Papiniano Orfeo. Per intanto, memore della commissione che mi aveva dato il mio ospite, feci una visita ad Ulrico Hoepli, sul Lungarno Regio, per chiedergli se avesse libri d'agronomia, e quali stimasse migliori.

- Niente di meglio, - mi disse il suo giovane di bottega, - che la Biblioteca dell'Agricoltore pratico. Ecco qua la raccolta: potete scegliere.-

E scelsi, pensando al bisogno dell'ospite; scelsi l'Agricoltura teorica e pratica del Lechartier, la Fisiologia vegetale del Pierre, non dimenticando il trattato sugli Animali domestici del Wesckerlin, il manuale delle Costruzioni rurali del Bona. Mandai subito i quattro volumi a Massa, e con essi la nota del libraio. L'ospite mi saldò il conticino a volta di corriere, ringraziandomi della premura che gli avevo dimostrata e conchiudendo coi saluti di tutta la casa. Erano molto superficiali quei saluti; sapevano di formulario, ricordavano troppo la chiusa di tutte le lettere; ma nel caso nostro erano pur sempre qualchecosa, e a me parve di vedere attraverso le linee l'angelico profilo di Madonna. Si erano dosati i suoi occhi sul foglio? Nell'incertezza e nella speranza del fatto accostai dìvotamente il foglio alle labbra.

La lettera aveva un poscritto. L'ospite di Massa mi raccomandava di trovargli qualche altro libro, di viticoltura e di orticoltura in ispecie; ma con mio comodo, perché intanto ci aveva già molto da fare con quei primi che gli avevo mandati.

Cercai subito, come potete immaginarvi. Per la viticoltura scelsi l'opera del Dubreuil, e per i vini il trattato pratico del Machard. Quanto all'orticoltura, mi crebbe facilmente la materia tra le mani, poichè essa si divide in due rami importantissimi, cioè a dire la coltivazione degli alberi e quella dei legumi, anche senza venire a quell'altra e maggior varietà di trattati, di manuali e di studi intorno alle piante d'ornamento e alla famiglia infinita dei fiori. Misi da parte una piccola libreria: da quindici a venti volumi, non prendendo che il necessario. E scrissi, ma dopo un sapientissimo indugio al mio ospite: - "Ho trovati i libri che fanno per voi; ma sono un po' troppi e farebbero un grosso involto. Li porterò io, per maggior sicurezza, perchè tra non molto debbo andare per certe faccende mie a Milano, e sarà questa una eccellente occasione per farvi una piccola visita".

Ero dunque già agli espedienti della bugia? Ahimè, signori, quella è per l'uomo innamorato la provvista di riserva, provvista scarsa e che presto si consuma!

Se quella donna mi avesse amato, figuratevi, lo avrei trovato ben io, il modo di vederla più spesso, e senza bisogno di mendicar pretesti, e senza il fastidio di passar sempre sotto la visuale degli occhiali d'oro. Conosciuto com'ero in quei luoghi, avrei cansato perfino il pericolo di smontare alla staziono di Massa. Anche vestito da carbonaio, dai passi del Cimone, o del San Pellegrino, avrei valicate lo Alpi Apuane, mi sarei calato dallo gole della Tambura fino alle rive del Frigido. Ma a queste belle pazzie non si poteva far capo senza il permesso di Madonna; e per ottenerlo era necessario anzi tutto di parlare con lei, di persuaderla, con le ragioni o coi pianti. Ora vi ho già raccontato come mi fosse andata a male la prima occasione di un breve colloquio. Io mi ero scoperto intiero, ed ella non aveva detto nulla; se anche il mio ardimento le era dispiaciuto, il tempo le era mancato per dimostrarmi la sua collera, essendo allora allora sopraggiunto il marito. Io, perciò, non sapevo nulla dell'animo suo, rimanevo al buio come prima.

Un passo, per altro, era fatto: mi ero scoperto, non aveva più da aspettare, da cercare l'occasione di scoprirmi. Ella ricordava di certo le mie ardenti parole; ricordandole allora, nelle lunghe giornate di solitudine campestre, doveva anche pensare che io, costretto a vivere lontano da lei, se non ero un uomo volubile, avrei cercato con ogni cura, e se non ero uno sciocco, avrei finalmente trovato il modo di rivederla, per ripigliare la conversazione interrotta.

Così infatti era venuto il pretesto della gita a Milano. Sicuramente, dal dominio degli occhiali d'oro, la mia lettera era passata sotto il lume sereno degli occhi azzurri, e Madonna aveva facilmente indovinato il mio piccolo artifizio. Ah, un sorriso al mio primo apparire, solamente un sorriso di quelle labbra divine, mi avrebbe detto che ero stato inteso, mi avrebbe premiato del mio ardimento e dato animo a parlare, a chiedere, ad implorare una grazia, senza la quale non era o non mi pareva più possibile il vivere.

Avevo disposto ogni cosa per la mia partenza, e stabilito di rimanere un giorno solo a Massa. Un viaggiatore diretto a Milano non poteva convenevolmente fermarsi di più. Pregato e ripregato, sì certo, avrebbe concesso anche due giorni agli amici, e magari promesso di fermarsi un altro poco al ritorno. Ma io non facevo assegnamento su queste fortune; speravo poco di essere bene accolto; temevo perfino che mi dovesse mancar l'occasione di trovar Madonna sola, e di trattenermi per dieci minuti a colloquio con lei. Perciò avevo preparato una lettera, per farla scorrere, in caso di estrema necessità, nel suo canestro da lavoro. "Non resisto più alla lontananza (dicevo); debbo vedervi ad ogni costo, od essere il più infelice degli uomini. Abbiate compassione di me, se credete che io ne sia degno. Quando avrete letto questo foglio, leggerò anch'io nei vostri occhi il mio destino. Spezzatemi il cuore, se veramente non sono e non debbo esser nulla per voi; partirò, non rassegnato alla mia sventura, ma obbediente alla vostra volontà." Queste ed altre follie conteneva la lettera; e la busta, fino al momento in cui potessi consegnarla, doveva posarmi sul cuore.

L'ospite, frattanto, non aveva risposto all'annunzio della mia visita. Questo era forse un buon segno; ma io mi feci forza, m'inflissi il ritardo di qualche giorno, per lasciargli argomento di credere che non fosse in me un gran desiderio di correre a Massa. Poveri artifizi, per addormentare la vigilanza sospettosa del Cerbero, e agevolare una visita, che poteva esser l'ultima! Finalmente, mi armai di coraggio e partii.

Nessun biglietto, nessun telegramma, mi aveva preceduto sulle rive del Frigido. Con che commozione risalutassi le Alpi Apuane e la ròcca di Alberico biancheggiante a mezza costa, immaginatelo voi. Scesi a Massa, lasciai alla stazione la mia valigia in deposito, presi la mia sacca da viaggio, l'involto dei libri, e montai sul trespolo che doveva condurmi alla bella città de' miei sogni, alla luminosa valle de' miei desiderii. Attraversai la gran piazza, proseguii fino al borgo, e con un forte batticuore rividi la villa antica su in alto, sorridente al sole meridiano. Alcune figure bianche si muovevano lente lungo il muro di sostegno, dove io sapevo che correva il viale d'entrata, prima d'internarsi in una piccola selva d'aranci. Tra quelle figure, che si fermavano allora, perché forse avevano veduta la carrozza apparire allo sbocco della strada, riconobbi Madonna, al portamento elegante, al modo in cui teneva il suo ombrellino. Le cognate erano certamente con lei; passeggiavano insieme, dopo l'ora della colazione, e l'uomo dagli occhiali d'oro senza dubbio era rimasto nell'anticamera, a schiacciare il suo sonnellino in un angolo del divano giallo.

Non mi ero ingannato, rispetto alle dame; mi ero invece ingannato, rispetto al signore del luogo. Stava anch'egli all'aperto, col suo parasole di tela bianca, foderata di verde, in atto di dare alcuni ordini ai suoi manovali. Lo vidi subito, appena giunto in capo al viale, e feci, come potete immaginarvi, buon viso alla mala ventura. Egli, del resto, mi accolse bene; mi ringraziò molto dei libri che gli avevo mandati, e veduto l'involto che avevo portato con me, soggiunse ridendo:

- Tutta scienza per me? Sarà troppa.

- Poca cosa; - risposi; - il puro necessario, nei limiti di ciò che mi avete indicato voi stesso. Vi sono serviti gli altri?

- Moltissimo, e più particolarmente il trattato del Bona. Mi son dato alle costruzioni; ho il male del calcinaccio.

- Un brutto male! Ma almeno, non vi annoiate più?

- Sì e no; la va secondo i giorni; - mi rispose. - Ma infine, ammazzo il tempo, e questo è l'essenziale. E voi, - soggiunse, piantandomi addosso i due fuochi luminosi de' suoi occhiali d'oro, - andate a Milano, o ne ritornate?

- Ci vado; - diss'io.

- Ah! E così, ci lascerete presto?

- Domani; - replicai.

- Meno male! - esclamò egli. - Avrò tempo a passare in rassegna tutta questa libreria.

- E a dirmi se c'è altro che vi possa occorrere; - ripigliai. - A Milano mi sarà facile di completare la vostra raccolta.

- Ah, fermiamoci qui. Non voglio rovinarmi coi libri; - diss'egli, ridendo ancora. - S'intende acqua e non tempesta.

Si era entrati nel famoso salottino. Le signore andarono a sedersi presso la finestra, intorno al tavolincino di Madonna, e niente parve mutato nelle vecchie consuetudini della casa.

- Andate nella vostra camera, poichè certamente avrete bisogno di ripulirvi; - mi disse il mio ospite. - L'ora del pranzo è sempre la stessa, alle cinque.

- Oh, non mi occorrerà di rimaner tanto; - risposi. - Una risciacquata, una spazzolata, e sono all'ordine.

- Bene; vi aspetto allora in giardino. Quando sarete uscito dal portone, volterete a destra. Laggiù, dopo il loggiato, ho messo mano a fabbricare una piccola stufa. Lavoro già per l'inverno.

- Come una savia formica; - soggiunsi, ridendo. - Verrò ad ammirare il vostro disegno.-

Salito nella mia camera, mi diedi in fretta una ripulita, e mezz'ora dopo ero già fuori, ma non per andare in giardino, e neanche per scendere al pian terreno. Voltai, come già avrete indovinato, dalla parte del salottino. Madonna era , intenta al suo ricamo, e tutta sola per miracolo.

Il cuore mi batteva forte; era quello il momento che avevo tanto desiderato e così poco sperato.

- Lavorate sempre! - le dissi, avvicinandomi.

- Sempre; - rispose ella, senza levar la faccia dal suo ricamo. - Perché dovrei mutare?

- Avete ragione, signora; è una brutta cosa il mutare. Voi qui almeno non vi annoiate.

- No, davvero. Esser contenti del proprio stato è già un principio di felicità.

- Felicità nella quiete! - esclamai.

- È l'unica vera, per quanto vi sembri modesta. Tutte le altre son torbide, fugaci.... e trovate voi gli altri aggettivi che occorrono.

- Non lo farò, signora. Ne avete già detti due così spaventevoli! Piuttosto vorrei protestare contro il secondo di essi.

- Rimarrà il primo; - diss'ella.

- Ed anche su questo bisognerà intenderci; - replicai. - C'è torbido e torbido; c'è quello, per esempio, che deriva dalla agitazione. Ora, nell'agitazione è la vita. Il nostro cuore non riposa mai; anche quando tacciono le passioni, è commosso e turbato come un mare in tempesta.

- Mi fate paura; - rispose Madonna. - Se egli ha già da faticar tanto, per conservare la nostra vita, perchè aggravarlo ancora con nuovi tumulti? Non vi pare che sia un errore?

- Ah, signora! - diss'io, sospirando. - Si ragiona così, quando si è calmi e contenti. Avessi il vostro segreto!

- La cosa è meno difficile che non sembri; - rispose ella placidamente. - Basta pensare a coloro che stanno peggio di noi...

- Sì; - replicai; - per esempio, a me, quando sono.... altrove!-

Madonna non rispose parola. Io ero già per metter mano alla lettera; ma lo spediente mi parve puerile, mentre potevo parlare. Poi, per domandare una grazia, come quella che accennavo nello scritto, avrei dovuto sapere se Madonna nutrisse nel cuore un pochino di benevolenza per me. Ed ella, per allora, non aveva anche risposto alla mia allusione, così calda e diretta, che mi sembrava non desse adito a girare il discorso, a levarmi di scherma. Tacqui, aspettando, e contemplavo frattanto l'amabil rossore che le tingeva le guance.

Pur troppo non era cosa da guardarsi con calma. Anch'io, a breve andare, mi sentii un grande rimescolo nel sangue, e tratto un profondo sospiro dal petto, mi alzai, movendo verso l'uscio del terrazzino. Così avevo già fatto altre volte, e per più lievi cagioni. Nel passarle daccanto, mi parve che ella si commovesse all'atto improvviso; perciò fatti due passi, mi volsi, e vidi ancora i suoi begli occhi alzati a mezzo, ma pronti a chinarsi da capo sul telaio da ricamo. Misi un altro sospiro, più forte del primo, ed uscii tosto all'aperto.

Mi tornarono alla mente i due ramarri. Poverini! Chi si era occupato di loro, per tutto quel tempo che era durata la mia assenza? Ah, essi almeno mi avrebbero riveduto con gioia.

Andando oltre sul campo, vidi il terreno incolto segnato da orme frequenti. Lungo la traccia apparivano anche talune strisce di bianco, che io non ricordavo di aver vedute prima. Che novità era quella? Proseguendo il cammino, le chizzate di bianco crescevano. Mi volsi a guardare dalla parte del monte, e il muro a secco mi apparve tutto bianco. I vani tra pietra e pietra erano turati, intonacati di calce; e giù giù, era bianco, turato, intonacato a quel modo. Più in , dove il muro a secco esciva di piombo, era stato fabbricato uno sprone.

Rimasi stordito, come se avessi ricevuto un colpo improvviso, nella testa o nel petto. E chi aveva potuto far ciò? E perchè, poi? Che bisogno c'era di aggiustare quel muro, che era stato dimenticato tanti anni? L'avevano coi ramarri? Ah, poveri ramarri, sepolti vivi dentro! Era lui, l'assassino, il serpente dagli occhiali, il tiranno del Frigido, che aveva compiuto l'eccidio.

Gridai, si capisce; tanto ero fuori di me! Se in quel punto mi fosse capitato tra' piedi quell'uomo, quel malfattore, quel mostro, non so chi mi avrebbe tenuto dal prenderlo per il collo, sbatacchiarlo contro il muro e rompergli i suoi occhiali d'oro allo sprone.

Un passo frettoloso risuonò alle mie spalle. Mi volsi e diedi a Madonna lo spettacolo delle mie furie. Era lei, di fatti, era lei che accorreva, pietosa e triste al mio fianco.

- Avete veduto? - gridai, accennandole il muro. - È stata una vera crudeltà, un atto di barbarie inaudita.

- Che ci volete fare? - diss'ella, abbassando la voce. - È il padrone.

- E non avete tentato di sconsigliarlo? Perché, infine, tutto ciò è stato fatto in odio mio.

- Se così credete, intenderete ancora che io non potevo oppormi al suo disegno. Ma se pure lo avessi potuto, il tempo mi sarebbe mancato; - rispose Madonna. - Il lavoro fu incominciato, senza che io ne fossi avvertita.

- Strano! - esclamai. - E non sono passati di i muratori?

- No; se voi vorrete guardare lassù, troverete il sentiero donde sono discesi; ed anche la fossa dove è stata sciolta la calce.-

Ero fuori di me dalla rabbia, stringevo i pugni, digrignavo i denti e borbottavo parole di minaccia. Ella mi si accostò e mi pose amorevolmente la sua mano sul braccio.

- Temevo questo momento; - mi disse; - fin da quando fu annunziato il vostro prossimo arrivo. Ieri soltanto avevo incominciato a sperare che non sareste venuto.

- Perchè? È crudele ciò che dite.

- Non mi fraintendete, vi prego; altrimenti non parlerò più.

- Ah! - gridai io, riaprendo il cuore alla speranza.

- E non mi fate dire più ch'io non devo; - soggiunse ella, col suo accento pacato. - Speravo che non sareste più venuto, per ora; ma solamente più tardi.... quando il pensiero dei ramarri vi fosse uscito di mente.

- Credete che io sia capace di dimenticare? - le chiesi.

- Non ho voluto dir questo, e non lo penso neanche. Penso cionondimeno che il tempo è un gran medico, e che può lenire molti dolori.

- Felice voi che lo pensate! - risposi. - I miei dolori non hanno rimedio dal tempo.

- Allora sarete infelice; - diss'ella, sospirando.

- Lo so. Lo ero già tanto a Pisa! E volete saperne il perchè?

- Non oso domandarvelo, e in questo momento mi parrebbe stoltezza il fingere d'ignorarlo. Vi dirò una cosa sola, amico mio: abbiate pazienza.

- Aver pazienza! È molto facile, a voi!

- Vi risponderò con una vostra frase: felice voi che lo pensate! - replicò ella con tristezza. - Ma badate, non posso star qui a disputare di queste cose. Sento laggiù la voce delle mie cognate. Andiamo, via, siate ragionevole! Ma qui si va di male in peggio. E adesso, perchè piangete? Non è da uomo.

- Perchè? Me lo domandate? Perchè soffro. Perchè mi fate male. Perchè mi odiate. Ma non piangerò più, avete ragione; non è da uomo. L'uomo ha da sfogare altrimenti il dolore e la collera.

- Amico mio, ecco una parola più del bisogno; - rispose ella; - ed è una brutta parola, che non voglio udire da voi. Non la merito, se è diretta a me; posso chiedervi di non dirla per altri, se è vero.... quello che avete dichiarato poc'anzi.

- Spero bene che non dubiterete ora de' miei sentimenti più intimi.

- Or bene, per questi sentimenti vi prego, aspetto un piccolo sacrificio da voi. Dimenticherete questa, che vi è parsa una cattiveria, non è vero?

- Mi chiedete l'impossibile.

- Ma almeno, non ne direte nulla.... con lui?

- Non dirò nulla; - risposi, vinto dal suo sguardo e dal suo accento supplichevole. - Soffrirò già tanto a guardarlo in viso!-

Ella non mi disse altro; chinò la testa, e con un gesto mi accennò di seguirla. Movemmo taciturni verso il terrazzino, donde giungevano a noi le voci delle cognate, vecchie zitelle, molto buone, ma anche molto noiose, e particolarmente in quell'ora. Tutto ad un tratto ella si fermò, per cogliere un fiorellino selvatico.

- Prendete; - mormorò ella, stendendo la mano verso di me, senza levar gli occhi a guardarmi. - Esso vi ricorderà un giorno gli amici, che sono dolenti di avervi contristato, e vi dirà il loro rammarico.-

Presi il fiore e lo recai alle labbra; quindi, cavata una busta di lettera, lo riposi dentro.

- Lo custodirò qui, - le risposi, - accanto ad una lettera, che avevo scritta per voi e che non ho ardito consegnarvi. In essa io vi dicevo le mie tristi smanie e le mie folli speranze.

- Il fiore, - diss'ella, - sarà una risposta alla lettera.

- Che non avete letta, badate!

- C'è bisogno di leggere? C'è bisogno di scrivere? - riprese ella, animandosi un istante. - Gli occhi parlano e il cuore indovina. Ma poi, - soggiunse, reclinando la testa, - l'animo riflette, e la ragione condanna.-

Rientrammo sul terrazzino, e di nel salotto, come due persone ritornate allora dalla più tranquilla, dalla più amena, dalla più igienica delle passeggiate possibili. Madonna, secondo l'uso, era calma; io dovevo essere molto rannuvolato.

Proprio allora mi capitò dall'altra parte il mostro, il serpente dagli occhiali, il tiranno del Frigido; e rabbruscato, Dei immortali, rabbruscato anche lui!

- Vi ho aspettato! - mi diss'egli, fermandosi sull'uscio, con un'aria da Luigi XIV, che mi diede maledettamente sui nervi.

- Ah! - risposi io. - Me ne rincresce davvero. Ma che volete? L'uomo propone, e l'orario dispone.

- Che ci ha a fare l'orario?

- Moltissimo, quando l'uomo riveste la qualità di viaggiatore. Rileggendo in camera mia (mia, così per dire!) l'orario delle strade ferrate, ho notato una cosa importante. Il treno diretto di domani, col quale facevo conto di ripartire, passa da Massa.... scusate la rima!... alle cinque e venti del mattino.

- Ebbene?

- Mi è venuta alla mente una considerazione naturalissima. Romperei il sonno a tutta la vostra gente, vi metterei la casa sottosopra, per partire a quell'ora. E ciò non è bene, ed io non debbo darvi un incomodo di questa fatta. Leggendo più attentamente l'orario, ho veduto indicato un altro treno diretto, quello che passa stasera alle undici e quaranta.

- Non lo sapevate?

- Non ci avevo badato. Poco male, del resto, poichè non è neppur quello il treno a cui darò la preferenza.

- Perchè? - domandò egli, sconcertato da tutto quello sfoggio di notizie ferroviarie.

- Perchè, giungendo a Milano domattina intorno alle dieci, passerei la notte in viaggio, dormendo poco e male.

- E allora, come avete risoluto di fare?

- Di partire oggi stesso, col treno delle cinque.-

Il mio ospite fece un gesto di maraviglia. Evidentemente, quella risoluzione inaspettata sconcertava tutte le sue idee intorno alla mia visita.

- Delle cinque! - ripetè egli trasognato.

- Delle cinque, sicuramente. Non ce n'è altro, che mi permetta di passar la notte a Genova. Sarò verso le undici di sera e darò una buona dormita.-

Egli stette alquanto sopra pensiero, meditando forse sulle cagioni del mio cambiamento.

- Che pazzia! - mormorò poscia. - E che strana cura delle vostre comodità!

- In questi casi non è mai troppa, la cura; - risposi.

- E frattanto rinunziate al pranzo.

- Mangerò un boccone per via; - replicai.

L'ospite si strinse nelle spalle.

- Sia come volete; - diss'egli. - Ci avete fatto una visita da medico.

- Quella che v'ho annunziata. Dovevo passare di qua, e approfittavo dell'occasione per consegnarvi io stesso i libri che chiedevate.

- Non avrò tempo a dar loro un'occhiata.

- Che importa? Li passerete in rassegna con tutto il comodo vostro. Ora, se permettete, mando a cercare la carrozza.-

Il tiranno del Frigido si era fatto serio, e mi dava occhiate sospettose dietro il cristallo de' suoi occhiali d'oro. Certamente qualche cosa era avvenuto, per suggerirmi quella alzata d'ingegno, ed egli non giungeva ad intenderlo.

- Resta con la voglia! - pensai. - Non mi dispiace che tu non capisca, in questo momento della tua vita. Così fosse per tutti gli altri!-

Madonna taceva, e gli occhi del suo signore e padrone andavano spesso da me a lei, cercando la chiave dell'arcano. Ma io ridevo, e sul mio volto c'era poco da leggere; Madonna, poi, teneva gli occhi bassi, e non ci si leggeva affatto.

- Ho recitata bene la mia parte? - le chiesi, in un momento che egli aveva dovuto allontanarsi per far prendere la mia sacca da viaggio.

Ella alzò gli occhi al cielo, e mormorò:

- Non fate follie, ve ne supplico.

- No; - risposi; - comunque finisca il dramma del mio povero cuore, vi avrò amata bene, da cavaliere, e voi non serberete un tristo ricordo di me. Addio, signora; - ripresi ad alta voce, udendo il passo di lui, che ritornava nel salottino; - vi auguro fresco e lieto l'autunno. Se posso esservi utile in qualche cosa, comandatemi; a Milano per questi pochi giorni, e quindi da capo a Pisa, sarò sempre agli ordini vostri.-

Così presi commiato; ed era tempo, perchè soffrivo profondamente, e già stava per cadermi dal volto la maschera. Il tiranno seguitava a guardarmi, e a non intender nulla di nulla. Voleva accompagnarmi fino alla città, ma io non accettai, ricordandogli l'ora del pranzo, che non era lontana.

- Restate, - gli dissi, - restate qui ai vostri lavori.

- Mi duole che non li abbiate veduti; - balbettò egli. - Anche lassù, in quella striscia di terreno, dopo il cavalcavia, ho fatto qualche piocolo cambiamento....

- Ah! Qualche piccolo cambiamento?

- Sì, ho fatto aggiustare quel muro a secco, che minacciava di cadere un giorno o l'altro.

- Bravo! Mi rallegro con voi. Era infatti un lavoro urgente, urgentissimo! Dio guardi, se cascava la montagna!-

Schiattavo dalla rabbia, e l'ironia prendeva intonazioni feroci. Mi spiccai finalmente da lui, per saltare in carrozza. Dietro alle sue lenti, il tiranno del Frigido mi volse un'ultima occhiata. Che cosa pensava egli in quel punto? Sentiva rimorso dei due sepolti vivi? O godeva di aver sepolto un affetto in due cuori? Non saprei dirvelo, neanche per via di congettura. Che volete? Ormai sono invecchiato la parte mia, e ancora non son riuscito a leggere una volta, una sola volta, nell'anima della gente che porta gli occhiali. C'è sempre sui cristalli quel maledetto guizzo di luce!

 

 

 




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