Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Anton Giulio Barrili Uomini e bestie: racconti d'estate IntraText CT - Lettura del testo |
|
|
IV.
Sollevai la testa dal guanciale e tesi l'orecchio. Era proprio l'amico che aveva gridato, e non mi pareva possibile che in così, breve spazio di tempo egli dormisse già così fitto da parlare sognando. - Finiscila! - esclamai, rifacendogli il verso. - Che cosa? - No, ti dico, - riprose egli, - finiscila! È uno scherzo.... di cattivo genere. - Ma che ti gira? - gridai alla mia volta, tirandomi su e mettendomi a sedere sul letto. - O non sei tu che m'hai fatto leva di sotto? - Io? Questa è nuova di zecca. Come sentirai dalla voce, son qua, molto distante da te. - Ma dianzi? - Dianzi come ora; non mi son mosso di qua. - Per tutti i diavoli! - brontolò egli. - Eppure, mi pareva.... - Sì, ti pareva.... - ripigliai. - È buono, il trebbiano, ma qualche volta dà al capo.- Egli tacque, segno evidente che non aveva più nulla da rispondere. Ed io avevo già rimessa la guancia sull'origliere, quando tutto ad un tratto sentii qualche cosa io, come se qualcuno facendo arco con le spalle sotto le asserelle del letto, tentasse di sollevarmi. Era uno scherzo a me noto. Qualche anno prima, trovandomi io con una brigata d'amici in campagna, ed essendo nella mia camera, sul punto di prender sonno, un amico, che aveva due spalle d'Ercole, era venuto carponi sotto il mio letto, e lavorando con quelle spallacce a mo' di leva, si era preso il gusto di farmi ribaltare col saccone e le materasse in mezzo alla camera. - Finiscila tu, ora! - gridai, ricordando il brutto giuoco e le conseguenti ammaccature. Ma quell'altro non mi rispose parola. - Cesare! - ripigliai, alzando ancora la voce d'un tono. - Dove sei tu in questo momento? - Che cosa? - gridò egli turbato, come uno cho si svegli di soprassalto. - Non eri tu? - diss'io allora, più turbato di lui. - Infatti, parli dalla tua camera. Ah, diavolo!- L'esclamazione era cagionata dal fatto, che mentre sentivo lui rispondermi da lontano, continuavo a sentire il mio signor me sollevato con lenta progressione dal letto. Balzai a terra sbigottito. L'amico faceva lo stesso in quel punto. Io allungai la mano, per afferrare i fiammiferi; ma non presi la misura giusta, urtai la scatoletta e la feci cascare. - E ora, - pensai, - quell'altro che sta sotto il letto mi agguanta!- Ma ad ogni modo io dovevo trovare i fiammiferi, e andavo brancolando sul pavimento verso la parte da cui mi pareva di aver sentito cadere la scatola. Cesare Pascarella, più fortunato di me, aveva trovato il fatto suo, e già strofinava un fiammifero contro lo scabro dorso arenoso della scatola. Un raggio di luce penetrò nella mia camera; intravvidi il prezioso argomento delle mie ricerche, lo raccolsi prontamente e accesi anch'io la lucerna; poscia mi chinai a guardare sotto il letto. Non c'era nulla. Mi volsi a guardare tutto intorno; nulla di nulla. Nè altro, che potesse darci sospetto, si vide nella camera dell'amico Cesare, o nella sala dove avevamo cenato. Eravamo soli, nel nostro appartamento, ben soli. Naturalmente, erano ombre quelle che ci avevano dato noia, e le ombre hanno il pessimo costume di farsi vedere soltanto quando piace a loro. Ma per intanto le ombre eravamo noi, ridotti al più intimo fra tutti i capi di vestiario, se pure non è più giusto il dire che le ombre le disegnavamo noi sulla parete, al fioco lume delle nostre lucerne romane. Ci guardammo nel viso, allora, ci trovammo a vicenda, ridicoli, e ci abbandonammo ad uno sfogo di matta ilarità. - Sai? - mi disse l'amico. - Abbiamo scherzato un po' troppo con quel vino traditore. - Ed anche con le storie di apparizioni notturne; - risposi. - Che si direbbe di noi, se si venisse mai a sapere che abbiamo perduta la testa in tal modo? - Lascia correre! Si direbbe che l'avevamo; la qual cosa, come puoi immaginarti, ci farebbe onore al cospetto della posterità.- Dopo queste ed altre chiacchiere di questa fatta, risolvemmo di tornarcene a letto. Per quella volta, grazie a Dio, non ci avevamo più fumi al cervello, e non c'era caso di altre perturbazioni. Ci ficcammo tra le lenzuola e spegnemmo da capo i lumi. Io, per altro, obbedendo ad un sentimento di legittima prudenza, misi la scatola dei fiammiferi sotto il guanciale. Pensavo frattanto alla stranezza di quella sensazione provata in due, e al costrutto che si sarebbe potuto cavare da un caso simile, discorrendo del carattere contagioso di certe allucinazioni. Ma anche questi dotti pensieri cedettero alla stanchezza delle fibre cerebrali, ed io già stavo per addormentarmi, quando mi parve che il gioco ricominciasse. - Sì, spingi! - dissi tra me. - Oramai ti conosco, mascherina!- E per liberarmi da quel resto di allucinazione, diedi volta sul letto. Ma anche stando sull'altro fianco, mi sentii sollevare. Era un moto lento, regolare, ma vigoroso, quello che mi mandava in alto. Lo spirito invisibile aveva gagliardi i muscoli; io premevo in giù, e lui in su. Allora mi spaventai senz'altro. Ma non volevo gridare, perdio, non volevo gridare! Balzai in piedi, abbrancando la scatola, che questa volta non doveva fuggirmi di mano; accesi il lume ed osservai il letto misterioso. Era là, il tormento dell'anima mia, ora là, perfido nella sua bianchezza, pauroso nella sua immobilità. Sudavo freddo, solamente a guardarlo. Allontanai dalla sua sponda il seggiolone su cui avevo gittati i miei panni, e mi vestii in silenzio. Poco stante anche l'amico Cesare diede segno di vita. - Ma che stregoneria è mai questa? - gridò egli, saltando a terra, como avevo fatto io un minuto prima. - Qui certamente hanno ammazzato qualcuno. - Anche tu hai sentito? - gli dissi, muovendo verso l'uscio della sua camera. - Sicuro! Qui non si dorme più, in fede mia. Anima sofferente, che cosa vuoi? Debbo farti celebrare un paio di messe? O denunziare un delitto alla giustizia? Parla ti prometto ogni cosa fin d'ora.- Nessuna voce rispose a quel caldo scongiuro. - Crederesti?... - mormorai all'orecchio dell'amico, non sapendo neanch'io che diavolo mi dicessi. - Eh, che vuoi ch'io creda! - rispose egli stizzito. - M'ero già addormentato, quando è tornata quella diavoleria a battermi nei fianchi. - Ed anche a me, sai? Anche a me. Pensi tu che gli assassinati sian due? E non può darsi piuttosto che qualche briccone si prenda giuoco di noi? In questi castelli abbandonati, sai pure, c'è sempre la sua banda di falsi monetarii. - Ma che monetarii? Ma che falsi? Qui c'è una certa roba che non intendo, e oramai sono più disposto a credere che si tratti di spiriti. - E tu ridi di me, ora; te lo permetto. Intanto, io fo quello che hai già incominciato a fare tu stesso. Mi vesto, e buona notte! - Così potessimo dire buon giorno! Sono a mala pena le due.... Anzi, no, il tocco e trentacinque minuti. Il tempo è assai lento, stanotte! - Già! Per inavvertenza, il vecchio orologiaio si sarà dato della falce nell'ali. - Se almeno avessimo un mazzo di carte! Si potrebbe fare due partite a briscola.- Ridevamo, ma d'un riso asciutto e sottile, che non veniva dai precordii. Avevano ben altro da fare, i precordii. Io, poi, ero feroce contro me stesso. Che diavolo mi s'era attaccato ai nervi, che mi faceva batter i denti e tremar le giunture? Avevo finito di vestirmi alla meglio. Anche l'amico aveva indossata la giacca, e tutt'e due eravamo rimasti lì, sulla soglia, appoggiati agli stipiti dell'uscio di comunicazione, guardandoci in viso e non sapendo che pesci pigliare. Il mio orologio segnava le due meno un quarto; il suo, invece, le due meno venti minuti. Ci volevano ancora quattro ore buone, prima che avessimo a vedere l'aurora. - Sai che cosa succederà? - mi disse l'amico. - Che cosa? - Che tra un'ora, o giù di là, si spegneranno i lumi. - È vero, perbacco! Salviamone uno; lo accenderemo, quando l'altro ci mancherà. - Hai ancora delle idee, tu? - Che vuoi? La necessità affina l'intelletto. Ed eccoti per l'appunto un'altra idea. Portiamo i lumi nella sala da pranzo; ci leveremo da questa anticamera dell'Erebo.- Detto fatto, ce ne andammo in sala, con le nostre lucerne, una delle quali fu spenta. Ci si vedeva un po' meno; ma non si correva il rischio di passare una parte della notte al buio. E ci sedemmo nei capaci seggioloni, fasciati di cuoio, ed anche, se vi piace, sfasciati parecchio e sbrendolati, accanto alla tavola di quercia, su cui si vedevano i tristi avanzi della nostra cena; gusci d'ova nei piatti, minuzzoli di polenda, due bottiglie vuote e un fiasco agli sgoccioli. - Ce n'è ancora tanto da bagnar l'ugola; - dissi, versando quel po' di trebbiano nei bicchieri. - Beviamo!- Ma avevamo tutt'e due la bocca amara, e non finimmo neanche quel resto. - Fumiamo, invece! - disse Cesare Pascarella, disponendosi a ricaricare la sua nobil pipa di Gessèmani. E fumammo, ma senza gusto, come se il nostro moro fosse di punto in bianco diventato foglia di castagno. Io, per giunta, sentivo qualche brivido di freddo. - Se ci fosse un camino! - esclamai. - Se ci fosse un camino, - rispose l'amico, - ci mancherebbero ancora le legna. - Eh, per questo, non mi sgomenterei mica troppo! Brucierei la tavola, io.... ed anche il fusto del letto. - Del letto infame! - brontolò egli scuotendo la testa. - Come ti darei volentieri una mano! - Senti, se occupassimo il tempo a distendere quei benedetti colori!... - Sì, buona idea! Va a prendere le cassette. - Vai tu! - Io? E perchè proprio io? - Perchè.... - balbettai. - Perchè sei tu che hai commesso l'errore di portarle là dentro. - Là dentro! - ripetè il mio compagno, con voce sepolcrale. - Come è ben detto; là dentro! Infatti, chi oserebbe chiamarle due camere da letto?- Non mi vergognerò di confessarlo; a nessuno di noi due garbava di rimettere il piede in quelle camere misteriose. Ci eravamo alzati ambedue, muovendo verso la buia regione dei nostri terrori, ma solamente per tirare a noi i battenti dell'uscio, che erano rimasti spalancati. Io respirai, quando fu compiuta la memorabile impresa. - Sai, - dissi all'amico, - che è una triste cosa aver paura? - Lo credo; - mi rispose egli; - ma ci vuol anche un bel coraggio a confessarlo. - Coraggio, o vergogna che sia, - replicai, - questa è la verità, e la verità bisogna saperla dire. Dammi un nemico, fatto di carne e d'ossa come me; dammelo alla luce del sole, armato fino ai denti; ed io, senza dirti che ci avrò un gusto matto a giuocar la pelle con lui, ti assicuro che la giuocherò, senza sciocca baldanza, come senza sciocca viltà. Ma io non mi sento questo coraggio temerario e vano, di affrontare un pericolo invisibile, contro il quale mi sento inerme, di andare incontro ad una insidia soprannaturale, dove non c'è il sugo della vittoria possibile, nè il gusto della onorata sconfitta. Perchè qui siamo nel soprannaturale.... - O nel buio; - soggiunse l'amico. - Sia pure nel buio; l'effetto è il medesimo. Quando manca la luce, gli spiriti, le potenze occulte della natura, prendono il sopravvento. Si ha un bel negare gli spettri, in nome della scienza! Che cosa può dire, che cosa può asseverare la scienza di tutto ciò che non ha ancora veduto, essa che tutti i giorni è costretta ad ammettere, a registrare cose nuove e straordinarie, dichiarate il giorno prima impossibili? Avrei voluto veder qui un paio di scienziati, mezz'ora fa, distesi in questi due letti del malanno, o sentirsi ripetutamente sollevare da una forza invisibile, e senza poter accusare la magia bianca dei fratelli Dawenport, nè altra giunterìa di spiritisti da teatro! Una cosa è da sperare, piuttosto; perchè fors'anche in questi misteri la scienza vedrà chiaro, un giorno o l'altro; cioè che si scoprano le arcane relazioni tra certi fenomeni e la luce. Infine, tu ne sei stato testimone; soltanto quando eravamo al buio si ripeteva il fenomeno del sollevamento. - È vero; non abbiamo provato a dormire col lume acceso. Quasi quasi sarebbe da tentar l'esperienza. - Troppo tardi! Come vedi, questa lucerna si spegne fin d'ora. - Hai ragione; accendiamo l'altra.- Ma l'altra, a farlo apposta, non aveva quasi più olio. Abominazione della desolazione! E il mio orologio, che anticipava di cinque minuti sull'orologio di Cesare Pascarella, segnava le due e quaranta. Ancora tre ore da aspettare, prima di vedere la luce del giorno! Acceso l'altro lume, ci rannicchiammo nei nostri seggioloni, restando silenziosi a contemplar l'aureola fumosa che circondava la fiamma. Indi a non molto il lucignolo prese a far moccolaia; a mano a mano s'inaridì, incominciò a gemere, a stridere; finalmente, scoppiettando dalla rabbia, si spense. - Dormiamo! - disse romanamente l'amico, reclinando la testa sull'omero, contro la spalliera del suo seggiolone. Io feci altrettanto, ma senza sperar troppo nell'arrivo di Morfeo. Per ammazzare il tempo, incominciai un esame di coscienza in piena regola; dalle prime memorie dell'infanzia fino a quel giorno, anzi a quella notte diabolicamente lunga; evocai tutte le scioochezze della mia vita, gli studi cincischiati e le grammatiche logorate senza frutto, gli amori incominciati e lasciati a mezzo, o finiti male, i dispetti vani, le ire, i versi cattivi, le prose pessime, e via via una infilzata di delitti letterarii, il cui ricordo mi faceva arrossire nell'ombra. Ah, critici dell'anima mia, se le aveste vedute, quelle fiamme, come io le sentivo salirmi alle guance! Frattanto, pensando a voi, mi ero addormentato da senno; tanto è vero che a questo mondo non nasce nulla d'inutile. Un rumore improvviso mi svegliò. L'amico Cesare si stiracchiava le braccia e faceva scricchiolare il seggiolone. Apersi gli occhi e vidi un barlume d'alba, che entrava dalle finestre. - Finalmente! - gridai, balzando in piedi, per isgranchirmi le membra. - Ecco il mattino! - Bell'alba è questa; - esclamò tragicamente il mio compagno, affacciandosi al verone. - In sanguinoso ammanto oggi non sorge il sole. Di Gelboè son questi i colli.... e noi, caro amico, siamo abbastanza ridicoli. - Mi pare che tu abbia ragione; - risposi; - quantunque tu guasti i versi dell'Alfieri.- A farvela breve, tornata la luce, avevamo vergogna di noi. Pure, quello che ci ora accaduto quella notte, non si poteva negare. Aprimmo l'uscio, l'uscio tremendo che metteva alle camere fatali; i due letti erano là, come li avevamo lasciati, con le lenzuola arrovesciate e i segni dell'ultima gomitata con cui ci eravamo aiutati per calare a terra. Mostravano il candore dell'innocenza, i due perfidi! Ma andate a fidarvi dell'apparenza! - Che diavolo sarà stato? - domandò il mio compagno. - Ma!... Io ci perdo il mio latino. A buon conto, ritiriamo le nostre cassette e prepariamo le tavolozze. - Ah, non mi parlare di colori! E pretendiamo di dominar la natura, noi che non siam buoni a indovinarne i segreti? - Senti, Cesare! - gli dissi. - Tu ridi, ma sei ancora sotto l'impressione di questa notte. - Se ti dicessi che sono tranquillo, verrei meno all'usata sincerità. Appunto per questo domandavo a te: che diavolo sarà stato? - Allora stendo i colori e ti faccio il ritratto.- Così ci studiavamo di ridere, quando si aperse l'uscio dell'appartamento, ed entrò nella sala il castaldo. - Buon giorno a lor signori! - ci disse. - Stavo per escire, quando li ho sentiti muovere, e sono entrato a vedere se hanno bisogno di qualche cosa. Hanno fatto davvero una buona levata. - Dite una levataccia. Abbiamo dormito su questi seggioloni. - Come? Non sono andati a letto? - Siamo andati, ma non abbiamo potuto restarci. Anzi, egregio ospite, voi ci farete un grosso favore, se ci vorrete dire che diavolo c'è nei vostri letti. - Ah, capisco! ci hanno avuto le cim.... - No, non parliamo di questi interessanti emitteri, decorati del nome di cimex lectularius; e neanche del pulex irritans, di cui si narra che faccia ottanta volte la propria lunghezza in un salto. Ci abbiamo avuto di peggio.- E raccontammo allora al nostro ospite tutto quello che ci ora avvenuto, dopo pochi minuti che eravamo entrati nel letto. A tutta prima il brav'uomo era rimasto un po' sconcertato; ma, dopo essere stato alquanto sopra pensiero, aveva levata la mano e si era dato un colpo della palma sulla fronte, come se avesse finalmente penetrato l'arcano. - Ecco qua; - diss'egli; - siamo in aprile, cioè nel mese in cui figliano le martore. - Che c'entrano le martore? - esclamai. - C'entrano, infatti, perchè amano stare al caldo. Se ne trovano qualche volta nei pagliai; più spesso nei fienili. Qui, poi, dove non erano molestate, avranno fatto il covo nei sacconi. Davvero mi rincresce di non averli rovistati, iersera! Ma chi poteva immaginare una cosa simile? - Sicuro! Chi poteva immaginarla? Non l'avete immaginata voi, caro amico; figuratevi noi, che non conoscevamo questi usi della mustela martes, nobilissima parte della gran famiglia delle mustèlidi! - Ah, diamine, diamine! - mormorò Cesare Pascarella. - Ma anche a saperlo, che avevamo da fare con questa razza d'animali, non ci sarebbe parsa la più gradevole compagnia per la notte! E ci saranno ancora, non è vero? - Certo, - rispose il contadino, - se lor signori non le hanno vedute fuggire. Ma ora, lascino fare a me; ci metteremo buon ordine. - Troppo tardi per noi; - brontolò il mio compagno d'insonnia.
|
Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License |