II.
Siamo dunque a Loano, città del sole, che fu
anche dei Doria e dei Fieschi, e che porta nello stemma un castello a due torri
con un ovo ritto sui merli. Donde è venuto quell'ovo? Assai probabilmente da una
somiglianza di suono tra il nome ligure del paese e il nome ligure dell'ovo.
Loano si dice in vernacolo Loeua (pronunzierete Loeu alla
francese e aggiungerete un'a); ovo si dice oeuvo. E tanto bastò
perchè s'inventasse la storia d'un convento di frati, che era murato sulla
collina e che aveva il suo pollaio alla spiaggia, dove le galline deponevano le
ova sulla rena, e ogni tanto i frati andavano a raccoglierle. Scioccherie, come
sembreranno anche a voi! Ma io, che ho sempre riso di quella etimologia, non
saprei qui su due piedi trovarvene un'altra.
A Loano, cinquant'anni fa, i passatempi erano
scarsi e la gioventù spartiva le sue giornate tra la loggetta e l'uccellare.
L'uccellare sapete che cos'è; la loggetta era, ed è tuttavia, una sala a
pianterreno, una vera bottega, presa a pigione in parecchi, arredata alla
svelta, con una tavola nel mezzo, una dozzina di sedie tutto in giro, una
damigiana in un angolo, un vassoio con dodici bicchieri in un altro, un mazzo
di carte e quattro o cinque giornali presi in abbonamento, secondo le opinioni
dei soci. Ivi, nelle ore calde del giorno, si giuocava a briscola, si
giudicavano gli uomini pubblici, ministri e sindaci, e si almanaccava sulle
combinazioni diplomatiche svelate al giornale amico da qualche ambasciatore in
disponibilità.
Giovane e pieno di fuoco, il mio Tommasino
non sapeva stare alle mosse. La politica europea gli andava poco, la briscola
niente affatto; più volentieri, fatta una breve apparizione nella loggetta,
prendeva il suo fucile da caccia e s'inerpicava pei monti. Un giorno, tornando
per l'appunto da caccia....
Ma qui bisogna aprire una parentesi. Loano è
un paese lungo lungo, formato da due file di case, le quali corrono, o stanno,
come vi parrà meglio, in mezzo a tre vie; una delle quali, la maggiore, nel
centro, una al monte, e l'altra alla marina. Le case che guardano alla marina
hanno due entrate, una sulla strada maggiore, l'altra sul corso della marina,
davanti all'arenile, dove son tirate in secco le barche dei pescatori e dove di
tanto in tanto, per non perdere l'abitudine, si costruisce un brigantino a
palo, e magari una nave. Le famiglie, anco le più agiate del paese, passano le
loro giornate in alcune camere del pianterreno, umiliate col nome di magazzini,
forse perchè i loanesi, essendo la maggior parte negozianti, serbano in quelle
camere l'olio, il grano, il vino, le pannine, i ferrami, e tutte l'altre
materie dei rispettivi commerci. Accanto alla sala del magazzino è lo scrittoio
per gli uomini, la stanza da lavoro per le donne, la sala da pranzo, la cucina
e la dispensa. Là dentro si vive, e si ricevono le visite che entrano
liberamente da una parte o dall'altra; solamente alla sera, finita la veglia,
si prende la famosa lucerna romana, di ottone, o d'argento che sia, e si sale
al pian di sopra, per andare a dormire.
Ed ora che avete sottocchio la carta dei
luoghi, ritorniamo al nostro biondo amico, che scendeva, col suo fucile ad
armacollo, sulla via della marina, per ritornarsene a casa. Il cielo si era
coperto di nuvole; un'aria fredda e umida spirava da mezzogiorno, e riccioli di
spuma biancastra correvano sul mare, vasta superficie di azzurro carico, che
incominciava a volgere in color cenerognolo.
- E da capo col libeccio! - mormorò il
giovinotto, dopo aver dato al cielo e al mare l'occhiata rapida e sicura del
marinaio esperto. - Anche i gabbiani si calano alla riva.-
È uso dei gabbiani di accostarsi alla terra,
quando il vento rinfresca; forse perchè anche i pesciolini, di cui si cibano,
vengono, incalzati dai flutti, alla spiaggia.
Quella mattina il nostro cacciatore aveva
fatto cinque o sei miglia di strada per monti e per valli, senza vedere neanche
uno scricchiolo. I gabbiani volavano a tiro, calandosi lenti da una parte, per
risalire dall'altra. La tentazione era forte, per un cacciatore che non aveva
avuto ancora l'occasione di sparare un colpo; e Tommaso, colla medesima
lentezza dei volatori, che parevano sfidarlo, levò il fucile dall'omero. Che
capriccio, direte, di tirare ai gabbiani! Va bene che nei tempi andati questi uccelli
marini si usava mangiarli, e nella cucina inglese passavano anche per un
boccone squisito. Ma si trattava di piccoli gabbiani; laddove quelli che
volavano stridendo sul capo di Tommaso erano gabbiani già adulti, e direi quasi
in possesso dei diritti politici, se queste delizie dell'uomo moderno fossero
consentite ai gabbiani.
Ma il cacciatore non bada sempre a queste
piccolezze. O fosse per bizza, come vi ho detto, o per far prova di valentìa,
Tommaso accostò il calcio del fucile alla guancia, puntò il gabbiano che volava
più a terra, e lasciò andare la botta.
Spaventati dall'insolito fragore, i gabbiani
volarono via, dileguandosi dalla parte del mare. Ma uno di essi, che pure aveva
tentato di seguire i compagni, volava male, e, dopo pochi secondi d'inutili
sforzi, cadde a piombo, stridendo disperatamente e sbattendo le lunghe ali
acuminate nella polvere della strada.
Il cacciatore corse ad impadronirsi della sua
vittima, e riconobbe di avergli rotto un'ala. Il povero gabbiano appariva
ancora giovane, dalle macchie bigie ond'era picchiettato il suo mantello
biancastro. Apriva e chiudeva per lo spasimo il becco stretto ed aguzzo, e i
suoi occhietti, dalle iridi dorate, guardavano il cacciatore con una strana
espressione di dolore e di paura.
Tommaso era là, inginocchiato sulla polvere.
Alla soddisfazione del tiratore succedeva un senso di profonda pietà per quella
bestiuola che soffriva. Avrebbe voluto essergli utile, ma non sapeva da dove
incominciare. In quel mentre, l'invetriata di un magazzino si aperse, e una
fanciulla apparve nel vano dell'uscio.
- Buon giorno, Caterina! - diss'egli, che al
rumore aveva levato gli occhi e riconosciuta la fanciulla.
Signora e signorina erano titoli fuori d'uso
a que' tempi. Si dava del voi a tutti, uomini e donne d'ogni ceto, e il nome di
battesimo bastava ai bisogni della conversazione. Si era in un paese dove tutti
si conoscevano, senza praticarsi molto, ed anche senza praticarsi affatto. Da
bambini, uomini e donne avevano giuocato insieme sulla spiaggia, o nei chiassuoli;
cresciuti in età, si guardavano a mala pena, ed era rarissimo il caso che
scambiassero parole per via.
Caterina Rocca, bellissima bruna dagli occhi
neri e profondi come la notte, non si curò nemmeno di rispondere al saluto.
- Povera bestia! - diss'ella invece, con
accento di compassione per il gabbiano e di rimprovero per il cacciatore. -
L'avete ferita!
- Ve ne dispiace? - domandò il giovinotto.
- Sicuro che me ne dispiace! Che cosa vi
aveva fatto, quel povero gabbiano? Con la vostra passione per la caccia, siete
tutti eguali, voi altri!-
L'amico mio, in quel punto, avrebbe mandato
il fucile a tutti i diavoli. Si contentò, non potendo far altro, di appoggiarlo
in un angolo, tra il muro e una stia, che era collocata al sole, presso l'uscio
del magazzino. Quindi, entrato in una botteguccia lì presso, si fece dare un
po' di pece, che applicò in forma di cerotto al gabbiano, sulla attaccatura
dell'ala, donde spicciava il sangue.
- Vediamo se la scampa! - esclamò. - Darei un
occhio, per non avergli fatto quel male.
- Bravo! - disse la fanciulla, con accento
sarcastico. - Conservatelo per piangere, come fa il coccodrillo, dopo aver
divorato un uomo.
- Perdinci, a che bestia mi paragonate! Ve ne
prego, Caterina, datemi qualche cosa, uno straccio, un po' di stoppa, per
metterci questo poveretto a riposare.-
Caterina Rocca rientrò subito nel magazzino;
afferrò i primi pannilini che le vennero alla mano, e li portò fuori, per
comporre il giaciglio al ferito.
Il gabbiano aveva lasciato fare senza
muoversi troppo. Caterina lo accarezzò leggermente e lo adagiò nella sua cuccia
presso la stia.
Tommaso ripigliò il suo fucile e disse alla
fanciulla:
- Scusate, Caterina! Porto quest'arma a casa,
donde non escirà più.
- Ah! - esclamò essa, fissandolo co' suoi
grandi occhi neri.
- Sicuramente; non andrò più a caccia; non
tirerò più a gabbiani, nè ad altra specie di animali.
- Farete bene; - diss'ella brevemente,
rendendogli il saluto con un cenno del capo.
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