III.
Quel giorno il mio Tommaso fu di cattivo
umore. Diede una capatina nella loggetta, dove si criticava la politica
dell'Inghilterra e si meditavano le conseguenze della "quadrupede
alleanza"; ma non prese parte alla disputa, neanche per collocare una celia,
come qualche volta faceva.
- Ti senti male? - gli disse il suo amico
Giuseppe Carli. - Vieni al fiasco dell'amicizia, e beviamo.
- No, Pippo, ti ringrazio; sono stanco dalla
camminata, e me ne vado a casa.-
Escì, come aveva detto, ma non andò
altrimenti a casa. Attraversò la via maestra, infilò un vicolo e andò ad
appostarsi dietro il muro di un orto, che era alla marina, famoso per un ceppo
di vite, i cui tralci coprivano un pergolato lungo una quarantina di metri. Di
là poteva vedere la stia e il giaciglio della sua vittima. Vide anche la buona
Caterina, che era escita sulla soglia e si chinava presso il ferito; ma lo
prese il timore di essere veduto da lei, e se la svignò lestamente verso la
fiumana. Rientrò poscia in paese, e questa volta per andarsene davvero a casa,
dove stette a recitare il paternostro della bertuccia.
Per un gabbiano! direte. Sì, ed anche per il
dispiacere d'essere stato colto in flagrante di ferocia cinegetica, da Caterina
Rocca.
L'amava egli, forse? No; l'aveva osservata
qualche volta a passeggio, o in certe solennità, lungo la salita di Monte
Loreto. Caterina Rocca era una bella bruna, come ho già avuto occasione di
dirvi, ma della sua bellezza egli non aveva fatto a tutta prima un gran caso.
Non era una di quelle bellezze bofficione e sgargianti, che dànno nell'occhio e
fanno pensare alle Madonne dei quadri. Inoltre, vestiva con molta semplicità.
Aveva centomila lire di dote, e andava a messa, le domeniche, con un fazzoletto
di seta annodato sotto il mento. Ma quella mattina, veduta là, davanti al
magazzino, col suo bel viso dipinto di tanta malinconia.... Insomma, vi ho
detto che egli era di cattivo umore, e credo non ci sia altro da aggiungere.
Quella notte dormì poco e male. Ebbe anche
certi sogni!... Figuratevi che vedeva un prete con la cotta e la stola, ritto
davanti all'altar maggiore della chiesa parrocchiale. Lui entrava in chiesa
vestito di nero; Caterina Rocca gli veniva accanto, vestita di bianco.... Ma un
gabbiano passava tra loro, stridendo dolorosamente e sbattendo le ali sanguinanti.
Ed egli non vedova più Caterina, nè il prete. Maledetto gabbiano!
La mattina seguente si arrisicò fino alla
spiaggia. Il libeccio non soffiava più, respinto dalla tramontana, che scendeva
dalle gole di Toirano e di Ranzi; il cielo era sereno, il sole splendido,
l'aria tiepida e pregna di fragranze, rapite agli aranceti della collina.
Tommaso ritornò dalla spiaggia, piegò a destra fino all'orto della vite
smisurata, battè in ritirata, si diede cinque o sei volte dello stupido, e
finalmente ripigliò l'offensiva. Quando fu per mancargli il coraggio, non era
più in tempo di darsela a gambe; Caterina Rocca appariva sull'uscio, e aveva la
faccia rivolta verso di lui.
- Buon giorno! - le disse, avvicinandosi.
- Buon giorno! - rispose la fanciulla.
- Ebbene? - riprese allora. - Come va il
poveretto?
- Vedetelo qua; - replicò ella, sorridendo,
ma non a lui, che ancora non era degno di tanto.
Tommaso si accostò e vide il ferito, che si
trascinava a stento verso il beccatoio delle galline.
- Vuol mangiare; - continuò la fanciulla,
sempre sorridendo di compiacenza al gabbiano; - buon segno, non è vero?
- Buono, sicuramente, come è vero che siete
buona voi.
- E voi cattivo! - ribattè ella prontamente.
Tommaso rimase un istante perplesso.
- Parlo, o non parlo? - diceva egli tra sè.
Finalmente si fece coraggio, e le mormorò
all'orecchio, mentre ella guardava il gabbiano, che stava attaccando col rostro
aguzzo il becchime dei polli:
- Proprio mi odiate, Caterina?-
E fatta la sua confessione, stette tremante
ad aspettare la sentenza.
Caterina si volse, levò lentamente i suoi
grandi occhi neri, lo guardò con aria di stupore, e rispose:
- Non ne so niente.-
La risposta vi parrà forse evasiva. Ma era
sereno lo sguardo di Caterina e pacato l'accento; si rispecchiava nella frase
tutta la tiepida calma di quel giorno di sole. Tommaso si sentì scendere una
insolita dolcezza nel cuore. Tanto per fare qualche cosa, si era chinato per
accarezzare il gabbiano.
- Non lo toccate! - diss'ella, battendogli
del dito sulla mano. - Non lo toccate ancora!-
Ancora! Soavissimo avverbio, denso di
promesse arcane! Il giovinotto ci pensò tutto quel giorno.... e la notte
appresso,
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Infin che il novo sol nel mondo uscìo. */
La storia del gabbiano si era sparsa per
tutto il paese, e molti erano andati alla marina per vedere il ferito, che
viveva accanto alle galline dei Rocca e mangiava nel loro beccatoio, come se
fosse un pollo, o un colombo. Per una quindicina di giorni il gabbiano andò
saltelloni dal suo nido alla stia; poi cominciò a provar le ali; un mese dopo
svolazzava qua e là, dalla casa alla spiaggia, e finalmente da un capo
all'altro del paese.
Caterina appariva sull'uscio, e il gabbiano
ritornava ad ali distese verso di lei. Bastava che ella lo chiamasse, col nome
che gli aveva imposto fino dai primi giorni: Ciurillo!
Era un nome formato per onomatopèa, poichè il
grido del gabbiano rendeva il suono articolato di Ciurì.
Quando capitava Tommaso davanti alla soglia
del magazzino, Ciurillo spiccava il volo, ed erano necessarie le voci più
tenere di Caterina, per farlo ritornare almeno sullo spigolo della stia, ad una
rispettosa distanza dal nuovo venuto.
- Vedete? - diceva lei, col suo accento
malizioso. - Non vi vuol bene.
- Ditegli che non lo farò più! - rispondeva
il giovinotto, chinando la fronte in atto di preghiera, e dando alla sua voce
le più soavi inflessioni.
Caterina abbassava i grandi occhi neri e non
ribatteva più altro.
Frattanto, poichè si era nel cuore
dell'autunno, gli amici della loggetta cercavano Tommaso per condurlo a caccia.
Gli uccelli di passo abbondavano; i lucherini calavano a sciami; i cardellini e
le cingallegre venivano a stormi, a legioni; i palombi volavano alti, di
pendice in pendice, come invitando i cacciatori ai colpi difficili. Ma lui
duro: non voleva guastarsi con la buona Caterina dai grandi occhi neri e
profondi come la notte. Sulle colline avevano vedute le quaglie, dal volo basso
e ineguale; nelle forre avevano sentito cantare le pernici; nei campi avevano
visto ballar le lepri; nel bosco avevano scoperto il covo della volpe; ma
invano; Tommaso non si lasciava smuovere; sorrideva o rispondeva:
"Andateci voi; quanto a me, ho rinunziato alla caccia."
Giuseppe Carli, il suo migliore amico di quei
tempi, non si sapeva dar pace di quella rinunzia. Se Tommaso fosse stato un
politicante, pazienza. Se fosse stato un giuocatore di briscola, pazienza
ancora. Ma era sempre stato un cacciatore, anzi il più appassionato, il più
feroce dei cacciatori, al cospetto di Dio. Che voleva dir ciò? Era forse innamorato?
E di chi?
- Vuoi saperlo? - gli disse un giorno
Tommaso, messo alle strette dalle sue insistenti domande. - Il giorno che ho
ferito quel povero gabbiano, ho promesso a Caterina Rocca che avrei posto il
fucile in un angolo e non lo avrei più toccato.
- Ah, diamine! Ed è per questo?
- Per questo.
- Sei forse innamorato di lei?
- No; ma ho promesso ad una donna, e una
promessa fatta ad una donna bisogna mantenerla.
- È giusto; - disse Giuseppe Carli. - Ma tu
mi avevi già spaventato, lasciandomi credere che tu fossi innamorato. La Rocca
non è bella.
- Oh, questo poi! Ti par brutta forse?
- Brutta neanche, ma così così. Se almeno
fosse più bianca!-
Le parole di Giuseppe Carli erano cadute come
uno spruzzo di acqua diacciata sull'incendio nascente del cuore di Tommaso.
L'amico mio ci meditò sopra un giorno e una notte. Il giorno dopo vide ancora
Caterina, e, scambio di farle qualchedun'altra delle sue confessioni, stette
lungamente pensoso a guardarla.
- Sì, - disse tra sè, quando fu solo, - è
bruna; ma, come dice il poeta, "il bruno il bel non toglie, anzi accresce
le voglie". Ci ha poi i capegli così neri! Gli occhi paiono a dirittura
carbonchi. Forse per questo ella sembra più bruna che di fatto non sia.-
L'inverno volgeva al suo fine. Ciurillo di
giorno in giorno volava sempre più lontano da casa. Una mattina si avventurò
fino al Borghetto e alla torre di Santo Spirito, donde ritornò, ma tardi, al
suo beccatoio, sulla spiaggia di Loano. Un'altra mattina andò lungi, verso la
spiaggia di Albenga; ma non fu più visto ritornare.
Caterina lo aspettò tutto quel giorno, ed
anche il giorno seguente; poi si stancò e mise il suo cuore in pace. Per altro,
non ne parlava senza un po'd'amarezza.
- Vedete che ingrato! - diss'ella a Tommaso,
che era andato, secondo il solito, a chiedere notizie dell'infedele. - Gli
abbiamo ridata la vita, e ci lascia.
- Non lo giudicate troppo severamente,
Caterina; - rispose il giovanotto. - Forse quei del Ceriale gli avranno tirato.
Ci sono dei cattivi, nel mondo, che quando hanno un fucile in mano.... e non
hanno un angelo che li rimetta sulla buona via....
- No, no, - interruppe Caterina, girando
largo intorno alla dichiarazione di Tommaso, - la colpa è sempre sua, d'essere
andato così lontano. E poi, mio padre ha detto che questa è la stagione in cui
i gabbiani spariscono.-
Il padre di Caterina ragionava benissimo. Il
gabbiano comune (larus ridibundus di Linneo) conosciuto anche sotto i
nomi di mugnaio, froncolo gaimone, corvo bianco, viene in autunno alle coste
italiane, e ci resta fino ai principii di primavera; passa quindi alle isole
del Tirreno, ed anche alle coste d'Africa, dove fa il nido in luoghi bassi,
accanto agli estuarii, e depone le uova di un colore olivigno carico,
spruzzolate di macchioline brune e nerognole.
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