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Anton Giulio Barrili
Uomini e bestie: racconti d'estate

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  • IL GABBIANO
    • V.
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V.

 

La caccia di quella mattina fece gran chiasso in paese. Per una settimana non si parlò d'altro; per mesi e mesi fu in tavola ogni giorno; per anni ed anni fu ricordata ad ogni stagione di passo; ci sono oggi dei vecchi che ne parlano ancora. Che si fa celia? Seicento ortolani, in una mattinata, e in un solo paretaio, costituiscono un fatto

/*     Di poema degnissimo e di storia. */

E Ciurillo, frattanto?

Quel giorno (un po' tardi, perchè aveva avuto da ingabbiare tutto un battaglione di prigionieri) quel giorno Tommaso andò alla marina, per vedere il gabbiano e la sua bella e buona protettrice. Caterina era , ritta sulla soglia, guardando ora da un lato, ora dall'altro, come se aspettasse qualcuno. Di certo aspettava il suo protetto, che indugiava a venire.

- Orbene, e Ciurillo? - chiese egli, dopo aver salutata la fanciulla.

- Ciurillo non si è più veduto da iersera. Dev'essere andato via; - rispose Caterina.

- Così presto? - esclamò egli. - Ma già, capisco; ora ci ha i figli da educare. Tornerà un altr'anno, con la seconda nidiata.-

Caterina tentennò il capo, e torse il labbro ad un amaro sorriso.

- Purchè non l'ammazzino questa volta davvero! - diss'ella. - Ci sono tanti cacciatori impenitenti nel mondo!-

Il giovanotto prese una scossa, come se fosse stato toccato da una torpedine. Parlo del pesce, non dell'arnese di guerra.

- Non io; - si provò a dire. - Il fucile è sempre al suo posto. Anzi, domani lo voglio regalare, per levarmi l'impiccio di casa.

- Farete bene; - disse Caterina, fissandolo con quei grandi occhi ohe sapete, sempre neri e profondi come la notte. - A proposito, quanti no avete presi stamani, di ortolani?

- Ma io.... veramente.... - rispose il giovinotto, annaspando. - Non era poi caccia di polvere.

- Di polvere, o di rete, o di pania, è sempre caccia; - ribattè ella severamente.

- Ma chi è venuto a raccontarvi?... con tanta fretta?...

- Non volete altro? Ve lo dico subito. Il mio fidanzato.

- Fidanzato! - esclamò Tommaso impallidendo. - E chi è.... questo fortunato tra gli uomini?

- No, non si chiama Fortunato; - rispose Caterina; - si chiama Giuseppe.... Giuseppe Carli.

- Che questa mane doveva venire appunto in paese, a prendere una risposta! - gridò il giovanotto, stringendo il pugno con atto rabbioso.

- Già; - replicò Caterina. - Non sapevo risolvermi. Ma finalmente, poichè siamo condannate a dire una volta il gran sì.... l'ho detto a Giuseppe Carli, quest'oggi. È vostro grande amico, Giuseppe Carli, non è vero?

- Ah sì, amico, amicone! - gridò il mio pevere Tommaso, facendo la schiuma. - Buon giorno, Caterina, e che il cielo vi dia bene, come io di gran cuore ve l'auguro.

- Grazie! - rispose ella tranquillamente. - Ed anche a voi, sapete? Anche a voi.-

Egli si sentiva scoppiare il cuore; era sul punto di spargere le prime lacrime della sua vita; ma non volle farsi scorgere da lei, che dell'anima sua ne aveva veduto già troppo. E se ne andò, maledicendo alla caccia, agli ortolani, agli amici in genere, e al signor Giuseppe Carli in particolare. Quel Carli! Quell'impostore, che per trovarla bella l'avrebbe voluta più bianca! E se la prendeva nera, il briccone! Ma infine, pensandoci su, Tommaso dovette convenire che Giuseppe Carli non aveva nessun torto con lui. Dal bel principio egli, Tommaso, gli aveva detto di non essere punto innamorato; altra volta era più occorso di tornare sull'argomento. E il Carli non si era infinto con lui, non aveva mentito mai; soltanto aveva tenuto il suo giuoco coperto, come è diritto di ogni giuocatore, ed obbligo di ogni uomo che vuol fare la sua strada nel mondo.

Un anno dopo, Ciurillo, o Ciurilla che vogliam dire, tornò alla spiaggia di Loano con un'altra nidiata, per farla vedere a Caterina Rocca. Ma trovò Caterina Carli, che gli rese la cortesia, facendogli vedere a sua volta un amorino di ragazzo, il primo di una nidiata di Carli, maschi e femmine, che Iddio conservi e prosperi, essi e i loro discendenti, fino alla decimaquinta generazione.

Questo è anche l'augurio del mio povero amico, le cui ciglia si inumidirono più volte; quando egli mi stava raccontando la catastrofe del suo primo ed infelice amore.

- Consolati! - gli dissi. - Ella non ti amava abbastanza, se ha potuto andare in collera a quel modo per una scappata al paretaio. E tu, dolce amico, col tuo umor vagabondo, così simile al mio, l'avresti poi fatta felice?-

Il mio Tommaso scosse la testa e rispose candidamente:

- Non lo so, in fede mia! Son certo, se ci penso, che ella avrebbe fatto felice me. Ma non ci penserò, e sarà il meglio che io possa fare.

- A proposito, e il gabbiano?

- Il gabbiano? Ce n'erano due, di gabbiani. Uno, Ciurillo, tornò per tre anni alla fila, e poi non si vide più, andò a finire molto probabilmente dove vanno a finire i gabbiani quando hanno compiuta la loro giornata terrestre. L'altro gabbiano, il maggiore, lo vedi qua; è il tuo povero amico, che un anno o l'altro....

- Ah, per gli Dei immortali, non parliamo di queste malinconie, "nell'ora all'amicizia sacra". Andiamo a cena, piuttosto. Come sai, anche gli antichi Romani cenavano. Anzi, è voce comune che quest'uso lodevole ci venga per l'appunto da loro. Eccellenti Romani! Quanto hanno fatto por noi, pronipoti degeneri!


 

 

 




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