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Anton Giulio Barrili Uomini e bestie: racconti d'estate IntraText CT - Lettura del testo |
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III.
Immagini il lettore che senso di dolcezza mi venisse da quelle parole amorevoli di un tant'uomo. - Amico! - ripetei. - Vorrete dire uno scolaro. - E sia; - ripigliò, stendendomi la mano. - Non sono gli scolari i migliori tra gli amici? Nelle scuole del Medio Evo non si stringevano per l'appunto questi dolci vincoli tra il maestro e il discepolo? Qui dovete cercare la chiave del gran profitto che gli scolari facevano, e del gran nome che i maestri ottenevano. - È vero; - notai, mentre mi si affacciavano allo spirito le immagini d'Irnerio e di Bartolo, di Roscellino e di Abelardo, circondate da quelle dei loro intenti discepoli. - Ma voi, maestro, non mi avete detta ancora la ragione che vi ha condotto a me, divotissimo scolaro e ammiratore fervente. - Eccola; è una triste istoria, che io stringerò in poche parole. Ero a Napoli; una piccola eredità fatta da mia moglie mi costrinse a chiedere un salvacondotto per ritornare in patria. Hanno del pudore, qualche volta, i signori dell'Impero, e ottenni subito quanto chiedevo. In pari tempo, dovendo provvedere alle spese di questo viaggio, scrissi al Dentu, mio editore, che mi facesse trovare duemila lire a Genova, dove io mi sarei fermato due giorni. E mi imbarcai sul Flavio Gioia, con la giovane compagna della mia vita: giunsi a Genova, e mi recai ad alloggio al Piccolo Torino. Un alberguccio, come vi dice il nome, ma ben tenuto, una vera pensione di famiglia. Poi, capirete, sono modestissimi, i gusti dell'esule. Appena smontato all'albergo, vado alla posta; niente dal mio editore! Aspetto un giorno, ne aspetto due, ne aspetto tre; niente! Mando un telegramma al Dentu; nessuna risposta. Finalmente, stanco di aspettare, e ridotto anche agli sgoccioli, chiedo notizie ad un vecchio amico. La sua risposta eccola qua, terribile nel suo laconismo: "Dentu a fait faillite." - Che cosa mi raccontate! Fallito il Dentu? Uno dei primi editori di Francia? Con tutti i quattrini che deve aver fatti dalla Question romaine! - Eh, che volete! È proprio così; Dentu, l'editore, il libraio dell'Impero, fallisce come ogni altro misero mortale. È un indizio, un prodromo, le commencement de la fin. - Tuttavia, è strano! - osservai. - Ed ecco frattanto una notizia che potrà far senso, quando sarà conosciuta. - Potete darla liberamente; - mi rispose Augusto Barbier. - Il fallimento doveva essere dichiarato oggi, al tribunale di commercio della Senna. - Ne prendo nota; proseguite. - Ecco qua. Ero venuto fino a Genova, si può dire, coi denari contati, sicuro del fatto mio. Che fare, davanti ad un simile disastro? Andare al consolato di Francia? Ricorrere agli agenti dell'Impero? - No, davvero! - esclamai. - Quantunque, per una combinazione fortunata, c'è anche là della gente di cuore. - Ah, non vi fidate di quella gente là. - Conosco un monsieur Bouillon, - risposi. - È una garbatissima persona, che ho combinata parecchie volte in casa d'una bella e graziosa polacca, alunna di Tersicore. - Ah, sì, è una qualità che non si può negare ai nostri Francesi. Urbanità, galanteria, tutte le doti esteriori le possiedono. Qualche volta (e qui sarebbe proprio il caso) hanno interesse a cattivarsi l'animo di un avversario; ma intendiamoci, di un avversario come voi, che non avrà mai bisogno di loro. Fate che ci vada Augusto Barbier, l'autore dei Giambi e delle Satire, per chiedere a mala pena un posto di seconda classe su d'un battello dello Messaggerie francesi! Salteranno su con gli obblighi dell'ufficio, con la necessità di chiedere istruzioni. Poi verrà un dispaccio di Billault.... che so io? di Thouvenel, di Baroche, o d'un altro fra tanti grandi uomini che decorano la nostra povera Francia moderna, e mi ricuseranno ogni cosa; "Désolé, monsieur; l'ordre nous vient de Paris". - Avete ragione; - mormorai, chinando la testa. - Ho piacere che lo riconosciate. E allora, io mi son detto: che si fa? Qui vi saranno amici nostri, come a Napoli, come a Palermo. E mi parve stamane di trovarne uno, leggendo il vostro giornale, con un articolo stupendo sulle cose di Francia. Dovete averci nel giornale un profondo conoscitore della politica francese. Arrossii, sentendomi lodare a quel modo. - Voi mi giudicate con troppa benevolenza, - gli dissi. - Che? l'articolo era vostro? Ve ne faccio i miei complimenti. Avete una rara cognizione della Francia e dei suoi uomini principali. Già, avrete passato del tempo a Parigi. - No, non ci sono mai stato; e certo non ci metterò mai piede, fino a tanto... - V'intendo, v'intendo. Siete una bell'anima. La cosa - diss'egli, sorridendo - non va troppo d'accordo con la politica; ma infine il y a, quelquefois des natures hors ligne. Son proprio felice di avere seguita l'ispirazione mia, anzi quella di mia moglie. Le donne, in verità, ci hanno un sesto senso che le guida. - Malvina! - pensai tra me. - A quella bionda divina son debitore della visita di Augusto Barbier?- Egli frattanto continuava il discorso. - Animato dalle sue esortazioni vengo a voi, direttore d'un giornale amico, per dirvi: Giovine fratello, potete voi aiutare in questo frangente il vecchio atleta della rivoluzione? La mia vita è nelle vostre mani.- Un senso di profonda tristezza m'aveva sopraffatto. Egli se ne avvide prontamente. - Mi sarei forse ingannato? - gridò. - Ecco la mia ultima speranza che svanisce. - Sì, vi siete ingannato, - risposi, - ma solo intorno alla espressione del mio rammarico. Augusto Barbier non può non destare i sensi della più profonda devozione in quanti hanno la ventura di conoscerlo e di avvicinarlo. Ma come potrò venir io utilmente in vostro aiuto? Le mie forze non saranno da tanto. - Il giornale non sarà povero, m'immagino; - diss'egli. - No, potreste anzi collocarlo tra i ricchi; ma io non ne sono che il direttore. C'è un editore proprietario; ma questi non è un uomo politico; ed io, ad ogni modo, non ci avrei tanta confidenza, da chiedergli l'uso della sua borsa per un quarto d'ora. Si potrebbe parlare agli amici.... Ce ne sono parecchi; taluni dei quali hanno anche dimestichezza coi migliori di Francia, col Michelet, col Garnier-Pagès, col Quinet. Ma siamo in domenica. Qui c'è l'uso di andar spesso e volentieri in campagna. Se poteste aspettare....- Augusto Barbier scosse la testa, con atto di tristezza infinita. - Sì può aspettare, - diss'egli, - quando si è giunti a questo? Guardate un po'.- Così dicendo, traeva dal taschino della sottoveste alcune monete di rame, che gettò sul tavolino. - Questa è la mia cassa;. - soggiunse. - Ventisette centesimi.- E due luccioloni gli rigarono le guancie, mentre parlava in tal guisa. Io chinai gli occhi, per non veder quelle lagrime. - Maestro, - gli dissi, dopo un istante di pausa, - voi mi avete mostrata la vostra miseria; io vi mostrerò la mia, non molto diversa dalla vostra, quantunque d'oro. Ecco otto napoleoni. Noto Che hanno quasi tutti l'effigie dell'usurpatore. Ma già, il denaro non arrossisce; io poi, vorrei averne duecento di questi, per metterne cento a vostra disposizione. Non ho invece che questi otto; centosessanta lire; tutto il mio avere, per giungere alla fine del mese. - Mon pauvre enfant! - esclamò egli, colpito da quelle parole. - Io non accetterò il vostro sacrifizio. Andrà come potrà. - No, voi ora mi offendete, maestro. Vi ho mostrata la pochezza delle mie forze, ma non per liberarmi da un obbligo. La borsa non va d'accordo col cuore, ecco tutto. Ed ora, da povero qual sono, da fratello, da discepolo, vi dico schiettamente, col cuore in mano: volete spartire con me? - Ci avrei scrupolo; - diss'egli. - Che! Lo spartire non può darmi molestia. Andrò più guardingo nello spendere per questi dieci giorni, ma avrò la consolazione di avervi reso un piccolo servizio. - Nel mio caso, lo accettereste voi? - Sicuramente. - Ah! grazie! Ma badate, vorrei metterci una condizione. - Accettata anticipatamente, dopo quella di restituirvi la somma, appena giunto a Marsiglia. - Oh non vi date per ora alcun pensiero di ciò. La condizione è questa: che voi mi regaliate i vostri ventisette centesimi. Li terrò come un prezioso ricordo. Essi mi diranno che un uomo come voi, grande, famoso e buono, ha potuto trovarsi un giorno, in terra straniera.... - Non tanto straniera, mon enfant, - interruppe Augusto Barbier, - poichè ci ho trovato il vostro buon cuore.- Era commosso, il vecchio poeta: le lacrime gli facevano groppo alla gola. Accettò, senza dir altro, i miei quattro napoleoni; mi diede, con un singhiozzo, i suoi ventisette centesimi; mi pose le braccia al collo, mi tenne lungamente stretto al seno; indi si spiccò da me con uno sforzo violento, e partì. Lo accompagnai fin sulla scala; ebbi un ultimo addio dal poeta e ritornai al mio posto. Ma sì, lavorare, con quella commozione in corpo! L'editore, notando sul mio volto qualche cosa d'insolito, mi chiese che avessi. Volevo custodire il mio caro segreto, ma finii col dirgli ogni cosa. Quel grande poeta, conosciuto in condizione così drammatica, e potuto aiutare in un brutto frangente della sua vita! Quel Dentu, editore milionario, fallito! Quei ventisette centesimi, poetico tesoro, da cui non mi sarei separato mai più! erano questi i pensieri, queste le commozioni vivissime, che esprimevo in rotte parole all'amico. Lo sfogo mi giovò; un'ora dopo, riavutomi alquanto, andai a chiudere i miei ventisette centesimi in uno stipo, e proprio nel cassetto più geloso, insieme con alcuni mazzolini di viole secche, guanti scompagnati, nastri sfioriti, ed altre preziose reliquie de' miei vent'anni, irremeabile tempus!
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