IV.
Egli aveva il diritto di amarla a quel modo,
la sua Francia moderna, ch'egli aveva compenetrata nel suo spirito e resa
popolare in Europa, assai più che non facesse il Thiers con quelle sue Storie
della Rivoluzione, del Consolato e dell'Impero, sparse per il mondo a molte
migliaia d'esemplari dall'insistente apostolato degli associatori di libri a
fascicoli; assai più che non facesse il Lamartine, meglio ammirato che amato da
noi, e venuto un po' in uggia per due frasi infelici. Il genio di Vittor Hugo
ha potuto collocare sul vertice della piramide la sua Légende des siècles;
Alfredo de Musset condurvi attorno i suoi alessandrini acerbetti e il suo
dolore byroniano; ma la base, la vera base di questa popolarità europea della
Francia, è Alessandro Dumas, creatore di tipi simpatici, orditore di avventure
maravigliose, di dialoghi scintillanti, e a farla breve, gran rémueur
d'idee paladine. Non vide il documento umano; ahimè, qual danno! O piuttosto lo
vide, e non amò rifletterlo che trasformato nell'iride del suo grande occhio
bianco e sereno. Pittore, non fotografo, ci diede il documento idealizzato,
l'unico, diciamolo pure tra noi, l'unico che sia estetico. A taluni garba la
copia della verità nuda e cruda; ed è questo certamente uno studio piacevole,
che dispensa da tanti altri, senza fallo noiosi, ma che un giorno parevano
necessarii a formare l'artista. Un fatto di cronaca contemporanea, con una
nevrosi, o una follìa ereditaria, che ci passi per entro; e il romanzo è bell'e
fatto, o è fatto e par bello. E sarà, non lo nego; ma il Dumas, di cui debbo
parlare, usava altri ingredienti. Ed anche il Balzac, che pure s'invoca a
maestro dai novatori. Il Balzac, a buon conto, ebbe sopra tutto l'occhio alla
tesi; tesi politica, tesi sociale, tesi filosofica, tesi artistica, sempre e
dovunque la tesi. Chi ci rende la fresca idealità del Lys dans la vallée!
E l'Eugenia Grandet! Il suo autore ispirato non andò mica a cercare il
segreto d'una virtù, la virtù del sacrifizio semplice e domestico, in una
felice predisposizione alla polisarcia!
Del resto, non esageriamo nulla. È giusto, ed
anche sano, come oggi si dice, questo incalzare allo studio, alla osservazione
diretta del vero. La cosa, per miracolo, non è neanco d'invenzione moderna.
Nella pittura e nella scultura, come nella letteratura, i capiscuola hanno
sempre fatto così, studiando, ritraendo le parti dell'opere loro dal vero. Ma
il quadro e la statua, come il poema, hanno meritato il loro posto nel tempio
di Mnemosine, quando hanno raggiunto il carattere ideale. E per restare nel
tema del romanzo, con qual dritto si vorrebbe restringere il suo campo e
l'ufficio, alla osservazione di due o tre persone viventi, spesso eccezioni
nella vita, aggruppate in un misero intreccio, e condotte lemme lemme per una
fredda sequela di casi? Questa patologia delle anime (scusate, dovevo dire
degli istinti), questa povertà dell'azione, hanno da essere tutto il romanzo?
Io protesto; je m'insurge, avrebbe detto il Dumas. Questo è un diminuire
il patrimonio dell'arte, e ogni dottrina che mira a scemare la somma dei
diritti e dei godimenti concessi all'uomo morale, come a dire il libero e pieno
svolgimento delle sue facoltà, per ciò solo si chiarisce erronea. Largesse,
messeigneurs, mostriamoci discreti, e non ci sia Sillabo in arte.
Lasciate fare, lasciate passare; ognuno dica
e faccia quello che sa. Questi ha pronto lo spirito della osservazione sottile
nel presente? Scriva il romanzo di costumi odierni, e lo chiami sperimentale a
sua posta. Quegli val meglio nella osservazione del passato, e ai caratteri
immutabili e comuni della umanità può aggiungere i transitorii e particolari di
un secolo? Sia padrone di scrivere il romanzo storico, che non è da condannare,
nè da buttar via, poichè non pretende di rubare il posto alla storia, ma solo
vuol persuaderne lo studio e agevolarne la intelligenza ai profani. Un altro ha
la fantasia, che mette l'ali a gran volo, la comicità pronta e schietta, la
tendenza gagliarda al drammatico? Ordisca pure il romanzo d'avventure, di cappa
e di spada. Un altro sa meglio d'usi particolari ad una classe di gente, ad una
parte di mondo? Non gl'impedite di tèssere il romanzo militare, il marinaresco,
magari anche il selvaggio. Tanto, non vi si ruba nulla; vi si lascia soli, non
insidiati nella vostra fortezza. Un ultimo ama la favola, che vesta e colorisca
una tesi? Faccia a suo senno il romanzo sociale. La critica non neghi nè a lui
nè ad altri il diritto di scegliere il tema e la forma: si contenti, che è già
molto, di vedere e di sentenziare se egli, dopo aver scelto, ha saputo o non ha
saputo far bene. La critica, insomma, non restringa il campo all'ingegno; si
metta dentro, che è il suo diritto, e penetri ogni opera di questo o di quel
genere, del suo spirito luminoso e fecondo. È acida, per sua natura, la
critica; ma v'hanno acidi che disgregano, ed altri che saldano. Quando ella si
sarà persuasa di ciò, avrà finalmente raccapezzato sè stessa; ma per ora, con
sua buona pace, è tutt'altro. Si direbbe quasi che i critici della moderna
letteratura son gente del mestiere, a cui non arrisero i fati, e che lavorano,
picchiando sugli altri, per sè. Vedete nel teatro! Son già riesciti, a furia di
detestare quel genere o di condannare quell'altro, ad accoppare, a ridurre al
silenzio, tutti coloro che avevano avuto l'ardimento di parlare, e la fortuna
di farsi ascoltare.
Perchè vive eterno il Cervantes? Perchè un
po' sotto di lui nella originalità potente, ma garbato e fine, il Lesage?
Perchè non è morto il Richardson, con tutte le sue lungagnaie, nè il Fielding,
con tutte le sue leggerezze? Perchè dura, nobile, vario e appassionato, Walter
Scott? J'en passe et des meilleurs, per venir difilato ai Francesi.
Morrà forse il Lamartine di Graziella, il Saintine di Picciola,
il Nodier di Giovanni Sbogar, il Musset delle Confessions d'un enfant
du siècle, la Sand di Mauprat, il Mérimée di Colomba? No,
certamente, vivranno. Il Balzac, nella sua Comédie humaine, forse un tal
po' pretensionosa nel titolo, ha libri più saldi e durevoli del bronzo; il
Dumas, con la esuberanza delle sue fantasie, verboso troppo, se volete, non mai
stucchevole, scintillerà per mill'anni.
Una cosa è piuttosto da prevedere; che questo
rigoglio di letteratura amena, crescendo a dismisura, tornerà ad ingombro, e
che agli stessi capilavori, presenti e futuri, in tanta rèssa di opere
congeneri sarà più difficile di farsi strada alla luce; donde un giorno, forse,
la necessità di rimettere il campo a maggese, per seminarvi dell'altro, più
tardi. Ma noi per avventura non siamo ancora a quel punto, o a me non conviene
di alternare benedizioni e maledizioni, non avendo altro, per apparirvi un
profeta, che l'umile cavalcatura del figliuolo di Beor. Mi auguro che romanzi
se ne scrivano ancora in Italia, dove sono tuttavia molte le idee da esprimere,
gl'insegnamenti da dare, nella forma più popolare e gradita. Perchè da noi il
romanzo, già ridotto altrove ad opera d'arte per l'arte, non ha ancora perduti
gl'intenti patrii, gli educativi e i didattici; questi ultimi, non foss'altro,
per la lingua varia che è costretto ad usare, a snodare, piegandola a tutti gli
atteggiamenti del pensiero moderno. Il che va ricordato nella terra in cui
vissero e scrissero il Manzoni e il Grossi, lombardi, il toscano Guerrazzi, e
quel Massimo d'Azeglio che per il suo Nicolò de' Lapi tanto appartiene a
Firenze, e per l'Ettore Fieramosca è cittadino e maestro in tutte le
regioni d'Italia.
Bei libri, che foste battaglie combattute e
vinte, che nuova scuola vi potrà bandire, e che nuova arte oscurare? Bei
combattenti che avete scritto quei libri, io vi ho sognati una notte. (Tanto è
vero che s'ha a finir come un sogno!) Eravate nell'Eliso, e scendevate fino
alla riva del fiume sul confine inaccessibile del vostro regno, per vedere i
nuovi arrivati. Risplendevate, anche senza aureola, come è proprio degli
spiriti benefici. Chi è stato luce nella vita di qua, non può esser ombra
nell'altra. A me non era dato di giunger fino a voi, perchè ci correva il fiume
di mezzo, e la barca non caricava mediocri per quella riva benedetta; ma dove
non poteva giungere la persona, poteva giunger la voce.
- Maestri, buon giorno! E così, come
sopportate la vostra immortalità?
- Bene, grazia a Dio, e a dispetto dei
maligni, se ancor ce ne sono. E giù di là, che novelle?
- Si campa, maestri, si campa!
- Come, si campa?
- Eh, voglio dire che si vive; si va là, là,
quantunque di male in peggio.
- Poveri voi! Come nell'invitatorio dei
diavoli?
- Per l'appunto; e non c'è da sperare che si
cambi la musica.-
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