Apparenze generali delle stelle
cadenti. - Loro altezza e velocità. - Grandi pioggie
meteoriche. - Periodico apparire delle medesime. - Radiazione e sua causa. -
Proprietà dei punti di radiazione. - Classificazione delle stelle meteoriche
secondo i loro radianti. - Correnti meteoriche traversate
dalla Terra nel suo corso annuale intorno al Sole.
Eccomi quest’oggi
da voi, o signori, coll’intento di soddisfare alla
promessa, da me data nell’antecedente adunanza dell’Istituto, di dare qualche
dichiarazione sui recenti progressi che si sono fatti
nello studio delle stelle cadenti. Io cercherò di far comprendere la ragione
del grande interesse, che negli ultimi tempi la considerazione di questi
fenomeni ha destato in tutti quelli che si occupano dei grandi avvenimenti
dell’Universo, e di indicare per qual serie di singolari vicende codesti
piccolissimi corpi, il cui apparire è poco meno rapido di quello del lampo,
sono caduti sotto il dominio dell’Astronomia, cioè di
una scienza, che a buon diritto si può chiamare la scienza dell’infinito e
dell’eternità. Dirò qual è il significato, che all’ultima grande
pioggia meteorica del 27 novembre passato si deve attribuire, quali previsioni
essa ha confermato e quali speranze essa ha destato nei cultori di questo
studio.
L’apparire delle stelle cadenti è notissimo. Una
fiaccola luminosa appare subitamente in una parte qualunque della sfera
stellata, rapidamente corre serbando per lo più una costante direzione, e poi si
estingue, talora scoppiando a modo di razzo, più spesso perdendo per gradi la
propria luce. Nè questo è fenomeno raro. Considerando
con attenzione il cielo per un’ora, quando non splende nè
il sole nè la luna, chiunque goda
di buona vista potrà sempre vedere alcune stelle cadenti, per lo più
dodici o quindici, qualunque sia il luogo della terra, dove l’osservatore si
trova. Nelle ore dopo mezzanotte sogliono esse mostrarsi anche un poco più
frequentemente, che nelle ore della sera. Le linee splendenti, che talora esse
lasciano dietro di sè in forma di nebbia luminosa,
non sembrano per lo più legate ad alcuna norma o legge particolare; esse
solcano il cielo in tutte le direzioni possibili, e talvolta corrono da una
plaga dell’orizzonte alla plaga opposta. Niente si vedeva nel luogo, dove la
fulgida meteora è comparsa; niente è rimasto nel luogo dove cessò. Donde è
venuta e dove è andata?
Nei tempi, per fortuna quasi intieramente
passati, in cui si badava poco ai fatti, ed in cui con un’abile combinazione di
parole si credeva di render ragione di qualsiasi più arduo problema, furono
fatte eruditissime e vanissime discussioni sulla
natura delle stelle cadenti. Soltanto nel 1798 due studenti di Gottinga, Brandes e Benzenberg, giunsero a comprendere, che per sapere alcuna cosa intorno ad esse era necessario prima farsi un’idea
esatta del luogo dov’esse appajono. A nessuno fino
allora si era presentata l’idea, pur così semplice e naturale, di applicare
alla misura della loro altezza e della loro distanza quelle medesime regole di
geometria elementare, delle quali fa uso qualunque topografo per determinare la
distanza di una torre o l’altezza di una montagna. Dalle loro misure, e da
quelle, che dopo di loro con egual modo furono instituite, si dedusse che le stelle cadenti non sono visibili negli spazi planetari, che esse non arrivano
all’altezza della luna, anzi neppure alla millesima parte di questa altezza; le stelle cadenti si accendono nelle regioni più
elevate della nostra atmosfera, ad altezze che di rado oltrepassano 100 o 120
miglia italiane, e raramente discendono più basso che 40 o 50 miglia: onde
tutta la loro carriera luminosa si compie in una regione dove l’aria è
estremamente rarefatta, anzi dove, secondo certe opinioni ora antiquate, non vi
avrebbe dovuto più essere aria.
Con operazioni della stessa natura si giunse pure ad
avere un’idea del grado di velocità, con cui esse solcano
l’atmosfera: infatti quando sia conosciuta in miglia la lunghezza della linea
compresa fra il punto dell’apparizione e il punto dell’estinzione, non rimane
che stimare in secondi o in frazioni di minuto secondo la durata della corsa,
per poter assegnare quante miglia avrebbe fatto in un secondo o in un minuto.
Ora tale è la rapidità con cui tutto il fenomeno compie la sua fase, che la
stima della sua durata non si è mai potuto fare con
molta esattezza; tuttavia attraverso a tutte le incertezze un fatto dominante
si è reso manifesto ed indubitabile: che cioè la velocità delle meteore
luminose è la più grande, di cui si abbia esempio nei corpi materiali
terrestri. Noi sappiamo presentemente, per mezzo della teoria, che essa varia
da 16,000 a 72,000 metri per minuto secondo; e si avrà un’idea della enorme rapidità con cui si movono
quelle stelle, richiamando alla mente, che il suono non percorre più di 333
metri per minuto secondo, mentre le palle d’artiglieria soltanto raramente
passano i 500 o i 600 metri. Vi sono dunque meteore, che si muovono 200 volte
più rapidamente che il suono, e 100 volte più rapidamente che le palle d’artiglieria.
Dalle medesime investigazioni s’imparò, che le stelle cadenti cadono veramente, cioè piovono
dall’alto al basso: non essendosi mai incontrato alcun caso ben certo, in cui
una meteora sia stata vista ascendere dal basso all’alto. Ecco una notabile proprietà,
la quale impedisce di supporre, come altre volte si faceva, che le stelle
cadenti siano emanazioni terrestri, le quali si accendono
arrivando alle regioni superiori dell’aria, là dove i nostri antichi
collocavano la sfera del fuoco. Impariamo anzi da questo, che la materia
delle meteore o viene a noi dai vacui dello spazio planetario, o almeno che
dagli strati più sublimi dell’atmosfera discende più basso con subitaneo
passaggio.
Considerando poi il grado di splendore, i colori, la natura
talora scintillante, talora fumosa del nucleo, la striscia ora impercettibile,
ora lunghissima che lasciano dietro di sè, la quale qui dura brevissimo tempo, e là dura spesso
molti minuti, si venne a comprendere, come i corpi, che danno origine a queste
misteriose apparenze, debbono esser di natura molto varia, e comportarsi molto
diversamente nella loro rapida conflagrazione. Ciò che fu
confermato anche dalla considerazione dei loro spettri luminosi.
Finalmente le trajettorie curvilinee, talora
serpeggianti, descritte da alcune meteore, fecero con molto fondamento
giudicare, che il nucleo o il substrato di tutte queste apparizioni sia un
corpo solido; e che la deviazione dal corso rettilineo sia prodotta dalla
resistenza dell’atmosfera, a quel modo, che colla resistenza medesima si spiegano le bizzarre deviazioni ed inflessioni dalle curve,
che nell’aria descrivono le palle conoidiche
dell’artiglieria rigata. Fu congetturato altresì con molto plausibile concetto,
che questi corpi meteorici col loro rapido muoversi nell’atmosfera resistente sviluppino il calore necessario alla loro conflagrazione, e
la luce, spesso molto viva, che a noi li rende visibili anche ad altezze che
superano cento miglia. Comparando questa luce con quella che danno
i corpi combustibili più spesso impiegati nell’illuminazione nostra
artificiale, e facendo certe supposizioni sopra il rapporto del calore
sviluppato nel loro movimento, e della luce che accompagna questo calore, si
pervenne altresì ad acquistare un’idea della massa delle stelle cadenti, la
quale soltanto in casi comparativamente rari sembra dover passare il peso di
alcuni grammi, e per lo più si può stimare equivalente ad una frazione di gramma.
Tali sono i risultati
principali, che era possibile dedurre dallo studio
diretto delle stelle cadenti considerate una ad una come corpi fra loro
indipendenti, e non legati da alcuna reciproca relazione. Si vede che essi non
arrivano neppure a risolvere la questione, se le stelle cadenti siano d’origine
cosmica, oppure se si formino subitamente nelle alte regioni sia per
deflagrazione d’idrogeno, come da principio credeva il Volta, sia per
concrezione istantanea di vapori terrestri e specialmente di vapori vulcanici,
come con molto apparato di erudizione fu sostenuto da
altri. Fortunatamente la Natura medesima ha voluto guidare i passi degli
investigatori verso altri risultamenti ben più
importanti e ben più fecondi, offrendo alla loro considerazione fenomeni
grandiosi; in cui le stelle cadenti si offrono aggruppate a sistemi, in modo da
dimostrare evidenti relazioni non soltanto fra loro, ma anche con un’altra
classe notissima ed interessantissima di corpi celesti, cioè
colle comete.
La prima cosa degna di nota, che
fu osservata nell’andamento complessivo di questi fenomeni, è la frequenza
eccezionale, con cui le meteore si mostrano di tempo in tempo.
Nelle notti ordinarie è raro che un osservatore ben attento possa numerare in
media più che 15 a 20 meteore ogni ora. Ma di quando in
quando avvengono le così dette piogge meteoriche, durante le quali le
stelle cadenti si succedono con tale frequenza da destare anche l’attenzione
del volgo: e l’abbondanza è qualche volta tale, da render affatto impossibile
il contarne il numero. Di tali rare occorrenze due si
presentarono a nostra memoria nell’intervallo di soli sei anni; una delle quali
fu addì 14 novembre 1866; l’altra del 27 novembre
1872 è fatto recente, che diede appunto occasione alla presente lettura.
Nell’uno e nell’altro caso le stelle cadenti apparvero a due e tre e quattro
per ogni minuto secondo, e la sera del 27 novembre 1872 vi fu tal luogo, dove
quattro osservatori numerarono più di diecimila stelle in un’ora, senza contare
quelle cui non si pose attenzione. Per trovare apparizioni di stelle cadenti
comparabili a quelle due è necessario rimontare al 1833 e al 1799.
Grandiose piogge meteoriche si trovano ricordate nelle storie antiche e nelle cronache del
medio evo. Gli annali chinesi offrono la raccolta più
completa e più esatta di osservazioni di questo genere,
la quale comincia coll’anno 687 prima dell’êra volgare, e si continua anche oggidì dagli astronomi
della corte di Pekino. Nella grande storia della
China, che Ma-tuan-lin compose nel secolo XIII sopra
documenti ufficiali, i due libri 291° e 292° sono intieramente
consecrati alla narrazione di piogge meteoriche, di
bolidi, e di cadute di meteoriti. Essi furono tradotti e pubblicati nel 1846 da
Edoardo Biot, colla continuazione fino al 1647
estratta dagli annali speciali delle dinastie Sung, Yuen e Ming. Per l’intervallo che
corre dal 1647, cioè dall’elevazione della dinastia
dei Manciù, fino al presente, i documenti non sono
ancora accessibili, perchè nella China un uso
antichissimo vieta di pubblicare gli Annali di una dinastia prima che essa sia
estinta o decaduta dal trono.
In confronto di questa ricchezza
di fatti intieramente autentici e datati colla massima
precisione, assai povera è la raccolta che ci offre l’antichità classica
dell’occidente. Nelle frequenti narrazioni di prodigi che si trovano sparse per
l’istoria di Livio, e nella
raccolta di Giulio Obsequente, appena una volta o due
si può congetturare che si tratti di pioggia di stelle cadenti, mentre non sono
rare le menzioni di aeroliti. Presso i Greci le notizie di grandi piogge
meteoriche non cominciano che cogli storici bizantini. Molto maggior attenzione
invece prestarono a questi avvenimenti gli scrittori del medio evo, così gli
Arabi, come i cristiani d’occidente; la revisione di
tutte le storie e di tutte le cronache di quel tempo diede origine a copiosi
cataloghi di apparizioni meteoriche, nel qual lavoro si occuparono specialmente
Chladni, Hoff, Kaemtz, Fraehn, Perrey, Herrick, Quetelet, Boguslawski.
L’interesse che si connetteva a queste apparizioni era grande, poichè, secondo la tradizione degli oracoli sibillini,
conservata nel cristianesimo, la caduta delle stelle dal cielo dovea precedere la fine del mondo. Nell’inverno dal 762 al
763, l’anno ventesimo terzo del regno di Costantino Copronimo,
imperatore Greco d’Oriente, il Mar Nero si gelò quasi tutto, e il Bosforo fu intieramente occupato dai ghiacci. «Nel marzo consecutivo,» dice uno storico di Bisanzio,
«apparvero nel cielo cadere le stelle, e tutti quelli che le videro credettero giunta la consumazione dei secoli». E simile riflessione si trova in un altro cronista che parla
del medesimo avvenimento. La pioggia delle stelle filanti era inoltre
riguardata al pari delle comete come un segno dell’ira celeste. Leggesi nella
cronaca di Romualdo Salernitano: «Nell’anno 902 fu
presa dai Saraceni la città di Taormina.... In quel
medesimo anno furono vedute fiammelle scorrere per l’aria simili a stelle: e
nella medesima notte il re dell’Africa (cioè il capitano de’
Saraceni) stando ad assediare Cosenza città della Calabria, morì per giudizio
di Dio».
Le piogge di stelle filanti
sogliono esser visibili sopra un vastissimo tratto di paese. Così la gran
pioggia del 1866 fu osservata simultaneamente in Europa e nell’India, e al Capo
di Buona Speranza: della recente pioggia del 27 novembre 1872 abbiamo nuove da
Atene e da Cristiania, da Cracovia e dall’America del Nord; ed è probabile che
le osservazioni saranno state fatte anche in altri luoghi più lontani da cui
finora non è giunta notizia. Da ciò apprendiamo, che le cause producenti questi grandi spettacoli meteorici abbracciano
vastissime estensioni della terra, sia che si vogliano
porre nell’atmosfera, sia che esistano negli spazi planetari. E se vogliamo
ammettere questa ultima supposizione, siamo condotti a
concludere, che i corpuscoli cosmici non sono tutti dispersi a caso, ma qua e
là trovansi raccolti in ammassi più densi che in altre parti dello spazio
celeste, e che le grandi pioggie meteoriche accadono
quando la Terra incontra alcuno di questi ammassi.
Comparando poi insieme le epoche
in cui si manifestarono le più celebri pioggie
meteoriche, si acquistò un’altra nozione importante: quella della loro periodicità:
la quale è di doppio genere. Si è trovato primieramente, che certe pioggie meteoriche ritornano con maggiore
o con minore intensità alla medesima data o a date poco differenti del
calendario civile. Questo fatto fu dapprima messo in luce in occasione della
gran pioggia meteorica del 1833. Fu allora osservato, che la sua data (12
novembre) coincideva esattamente con quella della gran pioggia meteorica
osservata da Humboldt in Cumana
il 12 novembre 1799: e che nel 1832, cioè un anno
prima, sotto la data stessa del 12 novembre, una pioggia non così
straordinaria, ma pure molto abbondante, era stata notata da varii osservatori. Ciò indusse i dotti a verificare, se nel
1834 e negli anni seguenti il 12 novembre o alcun giorno vicino a questo
sarebbe stato distinto da qualche simile apparizione. Ora questo si verificò sebbene soltanto in parte: un numero di meteore
assai maggiore dell’usato fu veduto intorno al 13 novembre per cinque o sei
anni a partire dal 1834, ma intorno al 1840 parve estinto, almeno per quanto
riguarda la frequenza eccezionale delle meteore: e non ricominciò a ravvivarsi
che nel 1865, per risalire ad un nuovo maximum nel
1866, dopo del quale anno ancora venne declinando, ed ora si può dire estinto
nuovamente o appena sensibile ad attenti osservatori.
Una periodicità analoga, ma più
persistente, fu notata da. Quételet in altre pioggie meteoriche. Nel 1836 egli annunziò che la data del
10 agosto, stando ai cataloghi delle antiche osservazioni, doveva essere
distinta da un aumento d’intensità del fenomeno meteorico: ciò che fu
indubbiamente confermato dalle numerose osservazioni fatte dal 1837 fino al
presente. Le pioggie del 10 agosto non hanno
presentato, in questo intervallo di tempo, alcun
spettacolo simile a quelli offerti dalle pioggie di
novembre nel 1799, nel 1833 e nel 1866; ma non è impossibile che ciò accada
nell’avvenire, siccome è certo che accadde in passato; secondo le osservazioni Chinesi, splendide pioggie
meteoriche riferibili al presente fenomeno d’agosto furono notate fin dall’anno
830 dell’era volgare, nella quale occasione, scrive Ma-tuan-lin,
«non si poterono numerare tutte le stelle che apparvero». Al presente il
fenomeno d’agosto è di intensità assai moderata, ma si
ripete ogni anno con molta regolarità e costanza, sebbene non senza sensibili
fluttuazioni. Oltre a queste, altre epoche dell’anno furono da Quételet e da altri designate come
particolarmente ricche di meteore, come il 2 gennajo,
il 20 aprile, il 20 ottobre, i primi giorni di dicembre. In tutti questi
fenomeni il ritorno è legato ad un periodo annuale, il quale non è già l’anno tropico
del calendario civile, ma l’anno siderale, cioè
quel tempo, alquanto più lungo dell’anno tropico, che impiega la Terra a fare
un giro intiero nella sua orbita intorno al sole. Onde appare chiaro, che il
ritorno di questi flussi meteorici non è legato colle stagioni terrestri e
colle vicende dell’atmosfera, ma corrisponde generalmente ad una determinata
posizione della Terra nella sua orbita; circostanza assai più favorevole
all’ipotesi che le stelle cadenti siano un fenomeno
cosmico, che all’ipotesi opposta di una natura terrestre. In alcuni casi si
manifesta un lento spostamento della data, non spiegabile per
intiero colla piccola diversità che passa tra l’anno civile e l’anno
siderale. Così la data del fenomeno periodico osservato intorno al 12-14
novembre si va avanzando nel calendario di circa 3 giorni ogni 100 anni;
mentre la data del fenomeno ultimamente osservato il 27 novembre 1872 va retrogradando nel calendario di una quantità non
ancora esattamente definita, ma che non sarà meno di un giorno in 8 o 10 anni.
La ragione di queste variazioni lente è troppo recondita per
esser intesa da questi primi cenni, e nella teoria astronomica se ne
rende conto colle perturbazioni, che i pianeti esercitano sulle masse
meteoriche durante la loro esistenza cosmica.
Ma, come
diceva poc’anzi, esiste nei ritorni delle pioggie meteoriche un’altra specie di periodicità diversa
dal periodo annuale. Infatti in alcuni casi si
è verificato, che l’intensità dei ritorni annuali non è costante, ma varia
secondo periodi regolari. Così Olbers, comparando la
celebre pioggia meteorica osservata in America il 12 novembre 1833 con quella
veduta da Humboldt e Bonpland
in Cumana il 12 novembre 1799, e tenendo conto di un
simile fenomeno che secondo Humboldt si ricordava in
America come apparso nel 1766, osò congetturare il ritorno del medesimo pel 1867, il quale, come tutti sanno, si è verificato negli
anni scorsi ed ebbe il suo maximum d’intensità non
nel 1867, ma. nel 1866. Percorrendo poi i cataloghi delle antiche apparizioni,
il prof. Newton fu in grado d’additare
altri ritorni del fenomeno di novembre avvenuti negli anni 902, 931, 934, 1002,
1101, 1202, 1366, 1533, 1602, 1698, i quali accennano
con molta certezza ad un periodo di 33 anni ed un quarto. Così a memoria d’uomo
dei ritorni delle meteore del 12-14 novembre furono già osservati 29 periodi
interi, a cominciare dall’anno 902, in cui l’apparizione seguì di pochi giorni
l’eccidio di Taormina per opera dei Saraceni, ed apparve come causa o segno della morte del capitano Saraceno sotto
Cosenza, come abbiamo già detto colle parole di Romualdo Salernitano.
E già si può con molta probabilità predire per il
14-15 novembre dell’anno 1899 o del 1900 il ritorno prossimo di questa notabilissima e celeberrima fra tutte le pioggie meteoriche conosciute.
Similmente sembra da alcuni
indizi che il fenomeno annuale del 10 agosto sia
soggetto ad una recrudescenza d’intensità ogni 100 o 110 anni: ma in questo
caso il ciclo non è ancora stabilito con la medesima certezza che per le
meteore di novembre.
Queste due specie di
periodicità, cioè quella dei ritorni annuali, e quella
dell’intensità con cui si producono questi ritorni, con ragione furono
annoverate tra le prove più concludenti della natura astronomica del fenomeno,
e tolsero ogni probabilità all’opinione di quelli, che ancora pochi anni fa non
volevano vedere nelle stelle cadenti altro che il prodotto di un’azione
speciale risiedente nella nostra atmosfera. Noi riguarderemo dunque per
l’avvenire come stabilito, che le stelle cadenti sono corpuscoli cosmici
vaganti negli spazi planetari, i quali incontrando l’atmosfera terrestre con
una grandissima velocità si accendono in essa, e dopo
un periodo brevissimo di conflagrazione si disperdono in vapori od in
pulviscolo impalpabile.

Ma un altro fatto non meno capitale e caratteristico accompagna le pioggie meteoriche, ed è quello della radiazione,
scoperto nel 1833 da parecchi osservatori americani in occasione del più volte accennato spettacolo del 12 novembre, e della
quale il professor Olmsted fece subito allora
comprendere l’importanza. Consiste in questo, che nelle grandi pioggie meteoriche la maggior parte delle trajettorie (così soglionsi chiamare
le linee tracciate fra le stelle dal corso apparente delle meteore) sembra
divergere da un punto unico, o meglio, da uno spazio ristretto della sfera
celeste, da quello irradiando verso tutte le direzioni. Non si deve però
intendere, come taluno ha fatto, che tutte le trajettorie
comincino in un medesimo punto; ma soltanto questo,
che prolungando idealmente le trajettorie allo
indietro, esse vanno ad incontrare quel punto (fig. 3). Questo punto, o questa
regione, a cui per tal motivo si è dato il nome di radiante, segue la
sfera celeste nel suo movimento diurno: fatto importante, che prova ancora
esser celeste e non terrestre l’origine delle stelle cadenti. Ed invero, se la
radiazione provenisse, come alcuni supposero, dall’esistenza di un centro speciale
di attività meteorica collocato in una certa regione
dell’atmosfera, certo è che questo centro, se fisso, dovrebbe occupare sempre
la medesima direzione per rapporto all’orizzonte dell’osservatore e non
potrebbe partecipare al moto diurno apparente della sfera celeste. Se poi il
centro supposto fosse mobile e viaggiasse, come le nuvole, da una parte
all’altra dell’atmosfera, il suo moto apparente dovrebbe esser simile a quello
delle nuvole, il quale è generalmente irregolare e si
fa per lo più prossimamente secondo linee orizzontali; onde neppure in questo
caso si potrebbe spiegare la rotazione matematica di questo centro intorno
all’asse della rivoluzione diurna del cielo.
Ma un altro fatto, che prova indubitabilmente, la radiazione esser
fenomeno cosmico e non atmosferico, sta in questo, che diversi osservatori,
collocati a distanze anche grandissime sulla superficie della Terra, vedono in
un dato istante la radiazione procedere dal medesimo punto del cielo, e dalle
medesime stelle: il che esclude subito l’idea di un centro d’attività meteorica
collocato nell’atmosfera. Così nell’ultima gran pioggia di stelle
cadenti osservata il 27 novembre scorso, il punto principale della radiazione,
da cui tutte le meteore sembravano derivare, stette per tutto il tempo delle
osservazioni, che durò ben cinque o sei ore, in una parte del cielo vicina alla
stella γ di Andromeda,
partecipando al moto diurno apparente di questa: e questo riferiscono tutti gli
osservatori senza eccezione, tanto quelli d’Atene, quanto quelli di Roma, di
Cracovia, o di America. In quella sera il radiante passò a piccola distanza
dallo zenit di Milano. Se il fenomeno fosse stato prodotto da un centro
speciale di attività collocato nell’atmosfera
esattamente a perpendicolo sopra il nostro capo all’altezza di 100 o di 200
miglia, è manifesto che mentre da noi il centro di radiazione appariva allo
zenit, l’osservatore di Atene avrebbe dovuto veder questo centro verso
Nord-Ovest, e quello di Glasgow avrebbe dovuto vederlo verso Sud-Est, poichè Milano è a Nord-Ovest di Atene, e a Sud-Est di
Glasgow. E siccome la distanza di queste due città da Milano è molto maggiore
dell’altezza ordinaria delle stelle cadenti, segue ancora, che così in Atene
come a Glasgow il centro di radiazione avrebbe dovuto
apparire molto basso presso l’orizzonte dell’una e dell’altra città: cose tutte
che sono lontanissime da quanto si è veduto. Tanto ad Atene quanto a Glasgow si
vide il centro radiante nella medesima direzione, che prolungata fino alla
sfera stellata andava a poca distanza dalla stella γ di Andromeda.
|
|

|
Questa identità della direzione in cui si vede il punto
radiante da osservatori distanti fra loro centinaja e
migliaja di miglia, è uno dei fatti più importanti
nella storia delle stelle cadenti. Esso invero non si può spiegare, che
ammettendo un completo parallelismo in tutte le linee percorse dalle
stelle componenti una medesima pioggia meteorica. Una
pioggia meteorica rassomiglia in questo esattamente ad una pioggia d’acqua.
Nella pioggia d’acqua, le linee percorse dalle diverse goccie,
siano esse perpendicolari o inclinate dal vento, sono
esattamente parallele fra loro; lo stesso dobbiamo immaginare delle pioggie meteoriche, che quindi sono vere pioggie di fuoco.
Per comprendere come da una
simile pioggia possa derivare il fenomeno della
radiazione, rammenterò un fenomeno di prospettiva, notissimo ai pittori, e che
ognuno può quotidianamente per propria esperienza constatare. Allorquando uno
spettatore si trova fra due o più linee parallele molto lunghe, p.e., in una strada dritta e
lunga, in cui le linee delle carreggiate e dei marciapiedi e le cornici delle
case sono disposte parallelamente fra loro, sembra a lui che tutte queste linee
le quali in realtà non convergono mai, tendano a riunirsi in fondo alla strada
convergendo verso un punto unico situato a grandissima distanza. Esse sembrano
irradiare da quel punto; al quale suolsi dare il nome
di centro della prospettiva. Questa è appunto l’illusione, che produce il
fenomeno della radiazione delle stelle cadenti. Sia AB (fig. 2.a) la
superficie curva della terra, rappresentiamo con EF il
limite superiore degli strati atmosferici dove le stelle cadenti si accendono,
con CD il limite inferiore di quei medesimi strati. Le linee parallele comprese
fra EF CD indichino una pioggia di stelle cadenti1 ([1]). Sia O il luogo dello spettatore; e OmnS una linea che partendo dal
suo occhio seguiti una direzione parallela alle linee della pioggia. Una trajettoria che seguiti la linea mn apparirà allo spettatore come un punto; perchè l’occhio si trova sul prolungamento della linea
stessa. Quindi una tale meteora apparirà e
scomparirà nel medesimo punto del Cielo e non sembrerà aver alcun movimento.
Un’altra trajettoria vicina alla precedente, come m’n’, sarà veduta dallo spettatore O sotto un
grande scorcio, ed apparirà brevissima; meno brevi appariranno le trajettorie più distanti dalla mn,
e quelle molto distanti, come m”n”, appariranno lunghissime. Ma poichè tutte sono parallele,
tutte sembreranno allo spettatore divergere da un centro di prospettiva comune,
il quale sarà collocato nella direzione OS; e questa linea prolungata fino alla
sfera celeste indicherà la stella, che segna il punto di radiazione apparente.
Così da O guardando verso S l’insieme delle trajettorie
offrirà lo spettacolo indicato nella fig. 3a. Per un altro
osservatore O’, il centro della prospettiva giacerà
nella direzione O’S’ parallela ad OS; a cagione della distanza quasi infinita
della sfera stellata, le due direzioni OS OS’
segneranno, prolungate, la medesima stella come centro della radiazione
apparente per ambo gli osservatori. Ecco la ragione per cui in luoghi fra loro
lontanissimi il centro della radiazione apparente è assolutamente identico.
In questa costruzione si vede,
che la direzione la quale segna nel cielo il punto di radiazione, è parallela
alla direzione delle meteore; siccome il punto di radiazione per ogni dato
spettatore non cambia sensibilmente luogo fra le stelle e partecipa al moto
diurno, ne concluderemo, che la rotazione del globo
terrestre non ha alcuna influenza sulla direzione in cui cade la pioggia; che
perciò la pioggia meteorica non vi partecipa, nè è
influenzata da questa rotazione in modo sensibile; come appunto deve
avvenire se la pioggia meteorica è un fenomeno cosmico.
Colla scorta delle osservazioni noi siamo dunque
pervenuti a stabilire, che le pioggie meteoriche
provengono da infiniti corpuscoli, i quali dallo spazio planetario cadono sopra
la terra in direzioni parallele fra di loro. Questi
sistemi di corpuscoli sono riuniti con maggior densità in certe regioni
speciali dello spazio celeste, e piovono sulla Terra, quando essa nel suo corso
annuale intorno al Sole attraversa la nube da essi
formata. E la Terra, girando intorno al suo proprio asse
col moto diurno, espone successivamente diverse parti della sua superficie alla
percossa di questi corpuscoli (fig. 1) i quali vengono arrestati
dall’atmosfera, e in essa disfatti e dispersi, terminando così la loro
esistenza come corpi cosmici indipendenti.
Da questi fatti noi possiamo
anche, considerando la figura 1.a, intendere come secondo le varie
regioni della terra una medesima pioggia meteorica possa cadere secondo diverse
inclinazioni rispetto all’orizzonte dell’osservatore. Lo spettatore che occupa
sulla terra il luogo indicato da L riceverà la pioggia
a perpendicolo sul suo capo, e le meteore penetrando, colla grandissima
velocità che loro è propria, in brevissimo istante negli strati più densi e più
resistenti dell’atmosfera, spariranno dopo breve corsa. Questa è una delle
ragioni, per cui la pioggia del 27 novembre scorso, la
quale cadde quasi verticalmente sopra l’Europa, mostrò dappertutto trajettorie di brevissimo corso, siccome dalle osservazioni
raccolte ampiamente consta. Al contrario nella regione della terra indicata con
X le meteore entrano nell’atmosfera in direzione tangente alla superficie
terrestre e la loro corsa appare quasi orizzontale agli spettatori collocati in
quel punto. Queste meteore penetrando in direzione estremamente
obliqua negli strati atmosferici superiori, che sono rarissimi e poco
resistenti, potranno, prima di andar disciolte, percorrere una lunga trajettoria, ed è quello che veramente si osservò nella
pioggia meteorica stupenda del 14 novembre 1866: quegli osservatori, che si
trovavano ricevere le meteore in direzione quasi orizzontale le videro arrivare
sotto forma di lunghissimi razzi, che da un punto dell’orizzonte attraversando
tutto l’emisfero arrivavano al punto opposto. Tali sono ancora d’ordinario le
grandi meteore di lunga corsa, impropriamente appellate bolidi, le quali
altro non sono che stelle cadenti più splendide delle
altre, e sogliono vedersi sopra tratto vastissimo di paese lasciando talora striscie luminose di considerevole ampiezza e durata. Tale
fu la grande meteora che apparve a Firenze addì 11 agosto 1353: della quale scrive Matteo Villani,
«che si mosse da mezzo il Cielo fuori dello Zodiaco un vapore grande, infocato, e sfavillante, il quale scorse per diritto di
Levante in Ponente, lasciandosi dietro un vapore cenerognolo traendo allo stagneo, steso per tutto il corso suo. E durò nell’aria,
valicato il fuoco, lungamente e poi cominciò a raccogliersi a
onde a modo d’una serpe: e il capo grosso stette fermo ove il vapore si mosse,
simile a capo serpentino, e il collo digradava sottile e il ventre ingrossava:
e poi assottigliava digradando con ragione fino alla punta della coda, e per
lunga vista si dimostrò in propria figura di serpe, e poi cominciò a invanire dalla coda e dal collo, e ultimamente il corpo e
il capo vennero meno, dando di sè disusata vista a
molti popoli. Altro non sapemmo di sua influenza
scernere, che diminuzioni d’acque: però che quattro mesi interi stette appresso
senza piovere.» (VILLANI, III, 74). E di questo genere fu pure la grandissima
meteora che la sera del 5 settembre 1868 fu osservata in molti luoghi di
Germania, di Svizzera, dell’Italia settentrionale e della
Francia; la quale osservata a Bergamo dal sig. Zezioli
gli parve traversare da Levante a Ponente tutto l’emisfero visibile lasciando
larga coda luminosa dietro di sè. Dalla combinazione
delle fatte osservazioni si riconobbe che essa era entrata nell’atmosfera e
divenuta luminosa sopra Belgrado; e che correndo quasi orizzontalmente andò ad
estinguersi sopra il centro della Francia. Essa non
impiegò più di 15 o 20 secondi per fare tutto quell’immenso
tragitto, malgrado che il suo corso fosse rallentato
dalla resistenza dell’atmosfera.
Progredendo
nella nostra esposizione generale, dobbiamo ora far notare, che per i fenomeni ripetentisi periodicamente a determinate epoche, come sono
quelli del 10 agosto e del 14 novembre, il radiante è sempre lo stesso, cioè conserva fra le stelle (almeno approssimativamente) la
medesima posizione in tutti i ritorni. Per tal guisa la posizione del radiante
diventa per la sua stabilità, un elemento caratteristico che serve, con altri
segni, a distinguere i ritorni di una medesima pioggia meteorica da quelli di altre pioggie consimili. Così
la pioggia celebre del 14 novembre suole irradiare ai nostri tempi dal punto
dove s’intersecano le due diagonali del quadrilatero formato dalle stelle
εγζμ del Leone; mentre le meteore del 10 agosto si
dipartono per la maggior parte da un punto collocato a poca distanza dalla
stella η di Perseo, siccome fu constatato fin dal
1837 e si può verificare ogni anno. Per questo motivo si è applicato alle
meteore d’agosto il nome di Perseidi, per
brevità del discorso. Per simil ragione designeremo
qualche volta col nome di Leonidi le stelle
meteoriche appartenenti alla gran pioggia del 14 novembre, divergenti dalla
testa del Leone, sebbene dai grammatici e dai professori di estetica
si possa far a buon diritto qualche obbiezione sulla legittimità del nome così
derivato. - Con questa nozione noi siamo già in grado di dichiarare, che la
gran pioggia meteorica del 27 novembre passato ha nulla che fare con quella del
14 novembre, perchè le sue meteore derivavano non già
dalla testa del Leone, ma dalla stella detta g
d’Andromeda, che dal Leone è distante circa 110
gradi.
Dalla stabilità del punto
radiante di una medesima pioggia meteorica si conclude
subito, che tutte le volte quando la Terra incontra la nube di meteore che la
produce, la direzione della caduta delle medesime è sempre la stessa.
Noi abbiamo
fino al presente considerato il fenomeno delle stelle cadenti nei suoi periodi
di speciale intensità, perchè appunto in queste
circostanze eccezionali si manifestano con maggior evidenza i caratteri
importanti di cui or ora abbiam ragionato,
specialmente quello dei ritorni regolari e quello della radiazione da un
determinato punto della sfera stellata. Ma poichè in
qualunque notte dell’anno, purchè il cielo sia sereno
e senza Luna, si possono osservare almeno alcune stelle cadenti, è nostro
dovere di esaminare se per queste meteore quotidiane non esistano
anche, sebbene in grado meno evidente, i suddetti caratteri. Considerandole
superficialmente e senza speciale attenzione, esse non mostrano nel loro
apparire regola alcuna: sembrano disperse su tutto l’emisfero visibile, e le
loro direzioni pajono variare con nessun’altra
norma, che quella del puro caso. E per lo più la confusione è tale, che il
tentare qui un opera di coordinamento e di
classificazione sembrerebbe pura pazzia. Si credette dunque per molto tempo (e tale era ancora
l’opinione quasi generale intorno al 1860) che per tali meteore non valessero
le leggi osservate nelle stelle periodiche; ciò che diede origine alla
distinzione di stelle sistematiche e di stelle sporadiche.
Sistematiche chiamavansi quelle di ritorno regolare,
principalmente quelle di agosto e di novembre, alle
quali per lungo tempo fu quasi esclusivamente diretta l’attenzione degli
osservatori; sporadiche quelle d’ogni notte, nelle quali non sembrava
potesse indicarsi legge alcuna, che ne regolasse il ritorno o la direzione. Fu
opinione di alcuni, che vi potesse essere differenza
fra queste due classi, non solo circa l’epoca ed il modo del loro apparire, ma
anche rispetto alla loro origine. Negli ultimi tempi fu dimostrato, che tale
differenza non sussiste affatto, o almeno che essa non può
ammettersi nel senso assoluto or ora indicato.
Il prof. Heis
in Münster è stato il primo a tentare la
classificazione di tutte le stelle cadenti in sistemi particolari e
determinati, fissando per ogni epoca dell’anno un certo numero di punti di
radiazione, dai quali si poteva ammettere come emanata
la maggior parte delle meteore osservate. Una prima serie di punti radianti fu
da lui data nel 1849; ma un catalogo regolare di tutti i punti radianti
principali che si osservano lungo l’anno non fu
pubblicato che nel 1864 sopra undici anni di osservazioni. Lo stesso catalogo,
corretto ed ampliato nell’ultima edizione del 1867, porta il numero dei punti
radianti, o delle pioggie periodiche che si osservano
lungo l’anno, ad 84.
Poco dopo Heis, l’inglese Greg, avendo
costruito su carte appositamente disegnate la trajettoria
apparente di circa 2.000 meteore consegnate nei rapporti annuali del Comitato
meteorico dell’Associazione Britannica, ne dedusse le posizioni di 56 radiazioni
distinte, delle quali in un catalogo più recente portò il numero a 77.
Ad illustrare questo lavoro, Greg pubblicò, insieme
al prof. Alessandro Herschel, uno splendido Atlante
nel quale sono descritte tutte le trajettorie
impiegate a formare il catalogo, distribuite secondo le rispettive radiazioni a
cui appartengono. Lavori analoghi,
sebbene meno completi furono pubblicati dal sig. Schmidt,
direttore dell’Osservatorio d’Atene, e da me coll’ajuto
delle osservazioni fatte negli anni 1867-68-69 a Bergamo dal signor Zezioli. E lo zelo, con cui gli osservatori di tutte
le Nazioni, ma specialmente i nostri, si sono applicati a questa parte
dell’Astronomia, lascia sperare che in un avvenire non
lontano le principali radiazioni meteoriche del cielo settentrionale saranno
quasi completamente conosciute. Anche le radiazioni
del cielo australe non sono rimaste affatto inesplorate: e 39 radiazioni di
quella regione furono studiate dal prof. Heis sulle
osservazioni fatte a Melbourne in Australia dal sig. Neumayer.
Esaminando e comparando insieme
questi lavori, si vede che la maggior parte delle stelle meteoriche è
effettivamente raccolta in sistemi, i quali non differiscono dai sistemi delle Perseidi e delle Leonidi, che per
la minor copia di meteore, e per la minore evidenza, con cui si presentano agli
osservatori. In ogni notte sono attive due, tre o anche un maggior numero di
queste pioggie meteoriche; quindi l’apparente
disordine dell’insieme del fenomeno, disordine che non scompare, se non quando
sono classificate le trajettorie, ciascuna secondo la
radiazione a cui appartiene. Non è però da credere che il numero e le proprietà
di questi sistemi siano già adesso sufficientemente conosciuti. I lavori pocanzi accennati non sono che primi abbozzi, i quali
possono bensì, presi tutti insieme, offrire i tratti
più generali del fenomeno e alcune delle principali circostanze: ma che
dovranno esser più tardi completati da studi particolari sopra ciascuno dei
sistemi meteorici.
Per tutti questi lavori è
diventato certissimo, che la Terra, lungo il corso
suo annuale nell’orbe descritto da essa intorno al
Sole, incontra continuamente piogge meteoriche, ora più ora meno abbondanti,
derivanti ora da una ora da un’altra direzione dello spazio, ma per lo più da
varie direzioni in una volta. La medesima pioggia meteorica, incontrata una
volta, più non ritorna che l’anno dopo, alla medesima data a
un dipresso: epperò le
masse di meteore formanti una medesima pioggia, presentansi ad incontrare la
Terra sempre nel medesimo luogo della sua orbita e dello spazio planetario, e
si precipitano sovr’essa ciascuna sempre nella
medesima direzione. Che cosa sono dunque cotesti spruzzi di materia celeste, che stando fissi lungo
l’orbita terrestre ciascuno al suo luogo, attendono al varco il nostro pianeta
per inondarlo di vere pioggie splendenti? Da qual
parte vengono essi prima d’incontrare la Terra, e dove sarebbero andati se la
Terra non li avesse raccolti? E
le meteore che passano vicino alla Terra senza incontrarla dove vanno a finire?
Ardue quistioni
che tennero lungamente dubbiose le menti, e delle quali soltanto negli ultimi
anni è stato possibile di indicare una soddisfacente
soluzione. A darne un’idea consacrerò, ove l’Istituto me lo permetta, un’altra
lettura nella prossima adunanza.
__________________
|