Diverse ipotesi intorno alla forma delle
correnti meteoriche. - Correnti annulari avvolgentisi intorno al Sole. - Scoperta
della connessione fra le stelle cadenti e le comete. - Ipotesi di Chladni e di Kirkwood. - Casi in cui si è verificata questa connessione. - Le Leonidi. - Le Perseidi. - Le
meteore della cometa di Biela. - Le meteore del 20
Aprile. - Diversi modi d’incontro delle correnti meteoriche
colla Terra. - Numero probabile delle correnti meteoriche che percorrono
lo spazio planetario.
Per dare una spiegazione di tutte le particolarità
che presentano i fenomeni meteorici, furono immaginate
diverse ipotesi nell’origine delle stelle cadenti e sul loro corso nello
spazio. Non può esser opportuno presentare qui una storia completa di queste
ipotesi della memorabile epoca del 1833 fino ai giorni
nostri: storia che in parte è già stata fatta da altri, e che troppo mi
allontanerebbe dal presente scopo. Tuttavia mi permetterò di
ricordare, come fin da quell’epoca la periodicità
annuale delle apparizioni meteoriche diede origine alla supposizione, che la
Terra, movendosi nello spazio intorno al Sole, incontrasse, nei giorni
corrispondenti, ammassi di materia celeste molto rara; e questi ammassi da
alcuno si supponevano fissi in quel luogo dell’orbita terrestre, da altri si
supponevano circolare intorno al Sole al modo dei pianeti. Della
supposizione, che fossero fissi nel luogo dove la Terra li incontrava, si
riconobbe assai presto l’inverosimiglianza. Oltre alla difficoltà di spiegare
l’immobilità di quelle masse relativamente al sistema
planetario ed al Sole, la conseguenza immediata che derivava da questa ipotesi
era, che le meteore doveano piovere tutte sulla Terra
in direzione esattamente opposta al movimento di questa: e che il radiante di
ciascuna pioggia meteorica dovea trovarsi nel punto
del cielo, verso cui la Terra si dirigeva in quel momento in virtù del suo moto
annuale intorno al Sole. Ora questa condizione non si trovò approssimativamente
verificata, che per la sola pioggia meteorica del 13-14 novembre, e negli altri
casi si riconobbe non adempiuta.
Più probabile sembrò l’opinione
prodotta da Olmsted, che ciascun ammasso cosmico girasse intorno al Sole in una propria orbita così
collocata, da intersecare l’orbita della Terra in un punto. Il ritorno
simultaneo della Terra e dell’ammasso a quel punto sarebbe stata la causa della
pioggia meteorica. Un simile ammasso, precipitandosi sopra la Terra, aveva
prodotto, secondo Olmsted, il gran diluvio delle Leonidi nel 1833. Questa ipotesi dava conto del fenomeno
della radiazione: infatti il punto radiante si poteva
immaginare che segnasse sulla sfera celeste la direzione, in cui succedeva
l’urto della massa cosmica contro la Terra, o piuttosto l’immersione di questa
nella massa cosmica.
Ma dopo che fu constatato
il periodo annuale per altre piogge meteoriche e segnatamente per quella delle Perseidi d’Agosto, l’ipotesi di Olmsted
perdette molto della sua verosimiglianza. Questo ritorno annuale del fenomeno
indicava, che non solo la Terra, ma anche l’ammasso cosmico dovea
ritornare esattamente nel medesimo punto dello spazio in capo ad un anno: onde
derivava la necessità di supporre, che il periodo rivolutivo
della nube meteorica fosse esso pure di un anno; o almeno che in un anno questa
facesse esattamente intorno al Sole un numero intiero
di rivoluzioni, senza frazioni. Supposizione anche questa
poco verosimile, la quale diventò viemmeno probabile,
quando si riconobbe, che le piogge meteoriche dotate di periodo annuale sono
molto numerose. Esse avrebbero domandato l’esistenza di
altrettante nubi meteoriche, tutte rivolgentisi
intorno al Sole nel periodo di un anno, o in un periodo esattamente submultiplo di un anno.
Contro la esistenza
permanente di coteste nubi cosmiche pugnava poi un
altro invincibile argomento, desunto dalla loro enorme vastità. Per farsi
un’idea delle dimensioni, che occorreva loro dare per spiegare i fenomeni,
basta osservare, che la terra, la quale corre nella sua orbita mille miglia
circa al minuto, rimane ogni anno due o tre giorni
immersa nelle Perseidi d’Agosto, la cui pioggia dura
generalmente il 9, il 10, e l’11 di quel mese, anche considerando soltanto il
periodo della sua maggiore intensità. E vi sono esempi
di piogge meteoriche, le quali hanno una durata molto maggiore. Si comprende
agevolmente da questo, che, data come causa delle stelle cadenti la presenza di
nubi cosmiche rivolgentisi intorno al Sole, non si
può assegnar loro dimensioni minori, che di uno o anche di più milioni di
miglia. In questo grande spazio le meteore sono disseminate molto raramente,
come risulta dalla loro numerazione effettiva, e si
può stimare, che p.e., delle Perseidi
ogni meteora visibile occupi per sè esclusivamente
uno spazio uguale ad una sfera di 50 miglia italiane di raggio; che ciascuna
quindi in media sia distante dalle sue vicine circa 100 miglia. Ora è facile
dimostrare, che una nube composta di elementi così
rari e dispersi non potrebbe star coerente in virtù della attrazione reciproca
fra le sue parti; e che ben presto sotto l’influsso della gravitazione solare
essa andrebbe dispersa, ciascuna sua parte descrivendo propria orbita intorno
al Sole con proprio periodo.
Così respinta l’idea
dell’esistenza di nubi cosmiche in forma di sistemi isolati, gli astronomi
furono grado grado condotti
a supporre, che la materia meteorica, invece di esser riunita in una o
parecchie masse, fosse invece distribuita su tutta l’orbita dalle meteore
percorsa, in modo da formare lungh’essa un anello o
armilla continua, girante intorno al Sole in forma di un fiume o di una
corrente che ritorna in sè medesima. Fu trovato, che
questa supposizione rende buon conto delle principali
apparenze. Infatti in una simile corrente annulare le orbite speciali percorse dai singoli
corpuscoli, che la compongono, sono necessariamente poco diverse fra loro:
quindi in un dato luogo della corrente, i movimenti delle particelle, che in un
dato istante vi passano, saranno paralleli o prossimamente paralleli fra loro,
e le velocità saranno uguali, o a un dipresso uguali.
Se noi ora ammettiamo, che la Terra nel suo corso
annuale traversi l’anello in qualche punto, le cadute dei corpuscoli sulla sua
superficie si faranno tutte anche in direzioni parallele e con velocità uguali:
le linee di queste cadute saranno rese visibili dello sviluppo di luce ed
appariranno non parallele, ma divergenti da un medesimo punto del cielo, per
cagione del fenomeno di prospettiva dichiarato nella lettura precedente. Ma il
vantaggio principale che si consegue dalla supposizione delle correnti annulari consiste in questo: che
possiamo spiegare la periodicità annuale di una stessa pioggia luminosa, senza
essere in alcun modo legati a supporre, che la rivoluzione dei suoi corpuscoli
intorno al Sole duri esattamente un anno, o un periodo submultiplo
di un anno. Infatti, dato che l’orbita terrestre
traversi la corrente in un punto, la Terra giunta in quel luogo si troverà
necessariamente immersa nel flusso meteorico, e riceverà la pioggia luminosa
che ne deriva. E il fatto si rinnoverà in capo ad ogni
rivoluzione della Terra intorno al Sole, qualunque tempo impieghi dal canto suo
la corrente delle meteore a terminare il proprio giro.
Questa idea degli anelli
meteorici cominciò a farsi strada intorno al 1839, nel quale anno il prof. Erman di Berlino pubblicò una celebre memoria intorno a questo argomento. In essa egli
ricerca il modo di determinare la forma e la posizione degli anelli meteorici,
e dimostra, che la determinazione del corso delle meteore in questi anelli si
può fare come per qualsivoglia altro corpo del sistema planetario, non
richiedendosi a questo fine, che la posizione del punto radiante fra le stelle,
e la cognizione esatta della velocità, con cui le meteore cadono sopra la
Terra. Ora di questi due postulati il primo è facile ad ottenersi coll’osservazione diretta, non così il secondo, cioè la velocità della caduta. Infatti
questa velocità è talmente grande, la durata delle apparizioni talmente
istantanea, che non si può aver campo a misura esatta, e neppure ad una estimazione sufficientemente approssimata per lo scopo.
Aggiungasi a questo, che la resistenza dell’atmosfera modifica rapidamente
questa velocità, in pochi istanti distruggendola totalmente; e di questa
resistenza non è possibile far alcun calcolo rigoroso, mancando affatto gli
elementi a ciò necessarii. Per questa difficoltà è
avvenuto, che la teoria astronomica di Erman, sebbene fondata sopra principii
astronomici incontestabili, non portò in pratica nessun notevole progresso alla
scienza delle meteore, e solo additò una via, per la quale era possibile
avanzarsi a cognizioni più solide di quelle che fin allora erano state in
corso. Ma varii tentativi
eseguiti su questa via, specialmente dagli investigatori americani, non ebbero
alcun successo. Lo stesso Erman non osò progredire in
essa, e si contentò di assegnare per l’orbita
possibile delle Perseidi d’Agosto alcuni limiti,
assai lati invero, che dagli studii più recenti
furono verificati e riconosciuti esatti. In quel tempo non era possibile
procedere più oltre. Neppure fu verificata la celebre teoria di
Erman sulle offuscazioni, secondo la
quale le correnti meteoriche, frapponendosi fra il Sole e la Terra in certi
punti, avrebbero dovuto arrestare per via una parte sensibile della luce e del
calore di quest’astro, e produrre periodicamente
certe irregolarità delle stagioni. Erman credeva, che
in questo modo le Leonidi producessero l’abbassamento
di temperatura, che nei paesi settentrionali d’Europa si riconobbe
avvenire intorno al 12 maggio. Oggi noi sappiamo, che la corrente delle Leonidi non può frapporsi fra la Terra ed il Sole nel modo
indicato, e che l’abbassamento di temperatura in discorso è un fenomeno locale,
il quale non si estende al Sud delle Alpi, siccome da lunghe serie di osservazioni termometriche fatte a Milano ed a Torino è
stato provato.
Per un quarto di secolo, cioè dal 1839 al 1864, la teoria astronomica delle stelle
cadenti rimase fissa al concetto degli anelli di materia rara, circolanti
intorno al Sole, ma non progredì niente al di là del punto, a cui l’aveva
portata il professore Erman. Non solo non si era
riusciti a determinare in modo soddisfacente la grandezza, la forma, e la
posizione di alcune delle supposte armille meteoriche, ma non si aveva alcuna idea precisa neppure intorno alla parte, che a coteste singolari formazioni era da assegnare nella gran
macchina dell’Universo. Alcuno fra gli investigatori aveva già cominciato a
disperare, che si potesse mai venire a nozioni solide intorno a questa materia,
e inclinava di nuovo verso la teoria atmosferica, secondo cui le stelle cadenti
si riputavano come risultato di qualche processo
meteorologico analogo, p. e., alla grandine. I più parevano accostarsi
all’opinione già emessa di Olmsted
e da Biot, che le orbite delle nubi o delle correnti
meteoriche intorno al Sole fossero poco diverse da circoli concentrici, e
formassero col loro insieme l’apparenza nebulosa nota sotto il nome di luce
zodiacale; cioè costituissero un grande ammasso di forma schiacciata simile
ad una lente, col centro nel Sole, e cogli orli estesi nel piano delle orbite
planetarie fino a toccare l’orbita della Terra. Humboldt
nel Cosmos è stato il divulgatore più
autorevole di questo modo di vedere, il quale oggi non
appartiene più che alla storia. Ad accrescere la confusione e l’incertezza si
aggiunse l’abuso che alcuni facevano della distinzione in meteore sporadiche
ed in meteore sistematiche o periodiche, attribuendo ad essa non un significato nominale, ma un senso reale, che non
ha in natura alcun fondamento. Nessuna maraviglia quindi, che per tanto tempo
molti astronomi abbiano considerato questo studio con una specie di diffidenza
o di apatia, come quello da cui non erano a sperare
grandi risultamenti; e che intanto godesse in Francia
di un trionfo effimero la teoria meteorologica di Coulvier-Gravier,
il quale per molti anni credette di ricavare, dalle
osservazioni delle stelle cadenti, la spiegazione di certi fenomeni
atmosferici, e perfino la predizione del tempo.
Ma quando nel
1864 il prof. Newton, consultando diligentemente le antiche narrazioni di
piogge meteoriche, e rettamente interpretandole, ebbe dimostrato, che
l’apparizione delle Leonidi si rinnova periodicamente
ogni 33 anni ed ¼, ognuno vide chiaramente, che il fenomeno delle stelle
cadenti. poteva appartenere soltanto
all’Astronomia. Bisognava dunque ad ogni costo tentare di avanzarsi, e non
servendo il processo regolare dell’induzione scientifica, trovare un’altra
strada, foss’anche meno rigorosa e più lunga. Invece di partire dalle osservazioni per stabilire la teoria, si è
fatto ricorso alle ipotesi: e dalle conseguenze di queste, per via di deduzione
si è cercato di verificare l’accordo colle osservazioni. Con questo
metodo, indiretto sì, ma perfettamente rigoroso, si giunse a trovare, che le
orbite descritte dalle stelle meteoriche nello spazio sono analoghe, per
natura, forma, e disposizione, alle orbite delle comete: che la velocità
assoluta delle meteore, quando percuotono l’atmosfera della Terra, è
generalmente assai prossima alla velocità che corrisponde al moto parabolico
intorno al Sole, e sta alla velocità della Terra nella sua orbita nella
proporzione di 141 a 100; che certe comete sono associate a certe piogge
meteoriche in modo da descrivere con esse nello spazio
orbite identiche; ed infine che molto probabilmente le meteore sono il prodotto
della dispersione di materia cometica. La scoperta di
questi notabili fatti ha cangiato la faccia della scienza
delle meteore e per la prima volta l’ha posta su vere e solide basi.
Che esista qualche relazione
intima fra le comete e le meteore non è idea nuova. Fra
le stelle cadenti non sono rare quelle, che lasciano nel cielo una traccia più
o meno fuggitiva, la quale dà a questi corpi l’aspetto di rapidissime comete.
Tale appendice non manca quasi mai alle grosse meteore, ed ai bolidi, dal cui
scoppio nascono le cadute di aeroliti, onde avviene
talora, che nelle antiche narrazioni tali meteore e tali aeroliti vengono
descritte come comete, e confusi con esse. Questo credo fosse
il punto di vista di Cardano, allorquando assimilava ad una cometa il gran
bolide, del quale più centinaia di pietre caddero sul territorio di Crema il 4
settembre 1511. E senza dubbio dal medesimo argomento
fu tratto Keplero a riguardare alcune stelle cadenti
come piccole comete. Cotali assimilazioni non hanno per fondamento che una
superficiale analogia di apparenze; essendo molto
probabile, che la coda delle comete sia il risultato di un processo
intieramente diverso da quello che dà origine alle code meteoriche.
Halley pensava, che una materia rara, disseminata per gli spazi celesti
venisse a concentrarsi in caduta continua sul Sole, ed incontrando la
Terra, producesse il fenomeno delle stelle cadenti. Maskelyne,
più ardito di Halley, fece delle stelle meteoriche
altrettanti corpi celesti, e pare anzi inclinasse a
collocarle fra le comete. Egli scriveva quanto segue
all’Ab. Cesaris, astronomo
di Brera, sotto la data del 12 Dicembre 1783: «Aggradite un piccolo stampato, che recentemente pubblicai,
per esortare i dotti e gl’indotti ad osservare con
qualche maggior cura le meteore ignee dette bolidi: Forse risulterà che essi
sono comete. Non sdegnate di spendere alquanta fatica in questa cosa, che
mi sembra di grande momento, come quella che può
condurre a progressi nella Filosofia naturale, fors’anche
nella stessa Astronomia».
Nella sua insigne opera sulle
meteore ignee, Chladni ha cercato di connettere colle
comete la generazione di queste meteore. Nello stabilire l’ipotesi cosmica
sulla loro origine egli riguarda come possibili due casi. O le meteore sono
ammassi indipendenti di materia, i quali non hanno mai fatto parte dei corpi
celesti maggiori, o sono il prodotto della distruzione di un corpo celeste anteriormente esistente. Chladni
ha questa seconda ipotesi come possibile, ma ritiene la prima come più
probabile. Egli nota, non potersi dubitare che esistano negli spazi celesti
molti corpi minori dotati di movimento, i quali talora si rendono osservabili
passando davanti al Sole. Secondo Chladni,
queste masse disperse sarebbero accumulazioni della materia celeste primitiva,
dalla quale si sono formati anche i grandi astri dell’Universo. Molte
delle nebulose, che si chiamano irresolubili, altro
non sarebbero, che porzioni di detta materia sommamente rarefatta e dispersa in
grandissimi spazi. Da tali nebulose pensa Chladni che
le comete differiscano soltanto per la piccolezza del
loro volume, per il loro isolamento, e forse anche per la maggiore loro
densità. Ora le masse minori, che ci appaiono sotto forme di bolidi e di stelle
cadenti, non sembrano differire essenzialmente dalle comete. «è anzi probabile, dic’egli,
che le comete consistano semplicemente in nubi
composte di masse vaporose ed in gran parte pulverulente, le quali siano
insieme trattenute dalla reciproca attrazione. Che questa attrazione
non valga a perturbare sensibilmente i moti planetarii,
è una prova della somma dispersione e tenuità della materia di quelle nubi,
attraverso alle quali spesso è avvenuto di osservare le stelle fisse».
Queste idee così notabili di Chladni non furono mai compiutamente dimenticate in Allemagna. Si può trovarne l’eco in diverse pubblicazioni,
come nella Meteorologia di Kaemtz, e nell’Astronomia
di Littrow. Nel 1859 il barone di Reichenbach
pubblicò una memoria sulle reciproche relazioni fra gli aeroliti e le comete, intieramente fondata sul punto di vista di Chladni. Egli immagina, che ogni cometa sia una porzione di
materia primitiva, la quale tendendo a concentrarsi secondo le leggi
dell’attrazione, finisca per convertirsi in una nebbia di cristalli minuti, e
sommamente numerosi. Dall’accumulamento di questi cristalli, prodotto dalla
loro attrazione reciproca, suppone poi che nascano gli aeroliti, i quali
secondo Reichenbach non sarebbero che una specie di
conglomerati: ognuno di essi sarebbe derivato dalla
condensazione di una cometa. Esaminando questa immaginosa
teoria di Reichenbach, incontriamo a prima giunta
ragioni assai forti di dubitare, che nel modo da lui descritto possano nascere
masse così compatte e così dure, come sono per lo più quelle dei meteoriti. Ma
anche quando tutte le parti di quella bizzarra speculazione non si vogliano ammettere, non è impossibile
che in essa si nasconda qualche cosa di vero. La
generazione dei corpi celesti dalla agglomerazione di
polvere cosmica è stata recentemente appoggiata dal signor Haidinger
con tutto il peso della sua autorità. Se io mi fossi proposto di fare qui una
storia completa, dovrei citare le opinioni di parecchi altri autori, i quali
per via d’induzione più o meno arbitraria furono
condotti a sospettare analogie fra le meteore luminose e le comete. Ma nessuno,
per quanto è giunto a mia notizia, si è tanto avvicinato al vero, ed ha
espresso opinioni tante precise e categoriche sulla relazione di origine fra le comete e le meteore, quanto l’americano
Daniele Kirkwood, professore dell’Università dello
Stato d’Indiana. La sua teoria tanto si avvicina a quella, la quale oggidì
generalmente è riguardata come la più probabile, che il riferirne l’esposizione
può avere più che un interesse puramente istorico.
«Diverse opinioni, diceva il
professore americano fin dal 1861, hanno gli astronomi riguardo all’origine
delle comete; alcuni credono che vengano dal di fuori
del sistema solare, altri ne mettono l’origine nell’interno del medesimo
sistema. La prima ipotesi è di Laplace, ed è
considerata con favore da molti eminenti astronomi....
Prima dell’invenzione del telescopio l’apparizione di una cometa era cosa
comparativamente rara. Il numero di quelle, che si resero visibili all’occhio
nudo durante gli ultimi 360 anni, fu di 55: cioè in
media di 15 per secolo. Presentemente coi telescopi se
ne trovano quattro o cinque ogni anno. Siccome molte di queste sono estremamente deboli, sembra probabile, che un numero
indefinito di esse, troppo piccole per essere vedute, traversino continuamente
il dominio del Sole. Adottando per l’origine delle comete l’ipotesi
di Laplace, noi possiamo supporre una quasi continua
caduta di materia nebulare primitiva verso il centro del nostro sistema, della
quale le gocce, penetrando l’atmosfera della Terra, producano le meteore
sporadiche, mentre le masse maggiori formano le comete. L’influenza
perturbatrice dei pianeti può avere trasformato in ellissi le orbite di molte
delle prime e delle ultime. Egli è un fatto interessante, che i movimenti di
varie meteore luminose (o cometoidi, come
forse si potrebbe chiamarle) hanno indicato decisamente
un’origine esterna ai limiti del sistema planetario.»
«Ma come
spiegheremo (prosegue il prof. Kirkwood) in questa
teoria i fenomeni delle meteore periodiche? La divisione della cometa di Biela in due parti distinte dà luogo a molte interessanti
questioni sulla fisica delle comete. La natura della forza separante resta a
scoprire; ma è impossibile dubitare che essa non sia nata dal potere divellente
del Sole, qualunque sia stato il modo di operazione....
Molti fatti riferiti dagli storici rendono altamente probabile, se non certo,
che altre divisioni di comete, oltre a quella della cometa di Biela, abbiano avuto luogo. Or quella forza, qualunque sia,
che ha prodotto una separazione, non può essa ancora dividere ulteriormente? E
non potrebbe questa azione continuarsi, fino a che i
frammenti siano diventati invisibili? Secondo la teoria oggi generalmente
ricevuta, i fenomeni periodici delle stelle cadenti sono prodotti dall’intersezione
delle orbite di tali corpi nebulosi con l’orbita annuale della Terra. Ora vi è
ragione di credere, che questi anelli meteorici siano molto eccentrici,
e sotto questo rapporto intieramente dissimili dagli anelli di vapore
primitivo, che secondo la teoria nebulare furono abbandonati successivamente
dall’equatore solare; in altre parole, che la materia, di cui sono composti, si
muova piuttosto in orbite cometarie, che in
orbite planetarie. Non potrebbero dunque le nostre meteore periodiche
essere i frammenti di antiche comete ora disfatte,
delle quali la materia è stata distribuita lungo la loro orbita?»
Queste speculazioni furono
pubblicate nel 1861 in una rivista Americana, ed è
probabile che neppure oggi sarebbero giunte a notizia del pubblico astronomico
Europeo, se l’Autore stesso non le avesse riprodotte nel 1867 nel suo Trattato
d’Astronomia meteorica. Ma nel 1867 queste non
erano più novità per i paesi di qua dall’Atlantico; invece di congetture, noi
possedevamo già dimostrazioni di molte fra le idee più probabili espresse dal Kirkwood. Che che ne sia, non si
può negare al professore Americano il merito di
essersi avvicinato alla verità tanto quanto era possibile per via di semplice
divinazione.
Ora le divinazioni possono,
dirigendo opportunamente le idee degli investigatori, concorrere al progresso
della scienza; esse sole però non costituiscono alcun progresso. Anzi l’abuso
delle medesime, ottenebrando la via alla verità che pena sempre a farsi luce,
può diventare estremamente dannoso. Quante di tali
divinazioni vediamo sorgere ogni giorno, che il domani
seppellisce inesorabilmente in eterno oblìo? Pur
troppo il numero di coloro, che usano la fantasia per istrumento principale delle ricerche scientifiche, è
legione: e la confusione che ne nasce nella mente di chi vuol seguire i
progressi del sapere è ancora il minore dei mali che ne conseguono. Allo
studioso, assediato da ogni parte da bizzarre ipotesi e da mentite scoperte,
non rimane altro che racchiudersi in un severo, talora ingiusto, sempre malgrazioso, scetticismo, e non ammettere la certezza
fisica, se non là dove trova, dietro proprio esame, che ad appoggio rilucono in modo incontrastabile i fatti, o per lo meno il
consenso unanime degli uomini competenti.
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Non sarò dunque tacciato d’ingratitudine ed ingiustizia, se dichiarerò, al
prof. Newton di Newhaven doversi il merito di aver
segnato in questa materia i primi passi, dubbiosi se si vuole e alquanto
incerti, sopra di una nuova via, che dovea poi
condurre a grandi ed inaspettati risultamenti. Egli è
stato il primo nel 1865 a stabilire con molta probabilità, contro l’opinione
fin allora prevalente, che le orbite delle meteore non sono prossimamente
circolari come quelle dei pianeti, ma che esse si avvicinano a quelle delle
comete. Una simile investigazione, fatta poco dopo da me indipendentemente dal
prof. Newton, condusse ad un identico, ed anzi più categorico risultamento. Assicurato questo punto di partenza, la via
ad ulteriori processi era grandemente appianata. Io
non starò qui a spiegare le ragioni, dedotte principalmente dalle speculazioni cosmogoniche di Herschel e di Laplace, nè la serie di deduzioni
parte esatte, parte dubbie ed appartenenti più al regno del possibile, che a
quello del reale, le quali condussero a sospettare, che fra le meteore e le
comete dovesse esistere qualche relazione più intima,
che la semplice similitudine nella forma delle orbite. Il passo qui sopra
addotto del prof. Kirkwood del resto può darne un
saggio. Basterà dire, che tale relazione intima sullo scorcio dell’anno 1866 e
sul principio del 1867 si manifestò chiaramente agli occhi di tutti, nella
scoperta dell’associazione delle principali correnti meteoriche con altrettante
comete in una medesima orbita: associazione in virtù della quale ciascuna delle suddetti correnti fu trovata contenere in sè come parte integrante una cometa, e divenne certo, che
ognuna di queste comete è nel suo corso accompagnata da un lungo codazzo di
stelle meteoriche percorrenti un’orbita identica a quella della cometa, o poco
diversa. Stabilito questo risultato, poco importa di esporre minutamente la via
non sempre diritta, per cui ci si pervenne, e meno
ancora occupare la storia di queste ricerche collo spettacolo poco edificante
delle debolezze umane, da cui non andò immune neppure la scoperta di questi
veri.
Nello scopo di mostrare per qual
semplice via oggi si possa riuscire a dimostrare la relazione
delle correnti meteoriche colle comete percorrenti una medesima orbita, partirò
da un lemma fondamentale e di facilissimo intendimento (fig. 4). Sia S il Sole
e P un corpo qualunque slanciato nello spazio nella direzione PT con una certa
velocità. Se il Sole non esercitasse alcuna attrazione
sopra il corpo P, è palese, che questo continuerebbe indefinitamente la sua
strada nella direzione primordiale PT. L’attrazione solare però col suo
persistente influsso devierà il cammino del corpo P, nei primi istanti di poca
quantità, poi col crescer del tempo di quantità sempre maggiori in guisa che il
corpo P finirà per descrivere un’orbita curvilinea, cioè
una sezione conica PQ, tangente alla direzione iniziale PT. Se
noi ora supponiamo che dopo del primo corpo un altro sia da quel luogo medesimo
P slanciato nella direzione stessa PT con la medesima velocità, che fu impressa
al primo corpo; manifestamente il secondo corpo si muoverà sotto l’azione di
cause identiche a quelle che muovevano il primo, e quindi seguirà esattamente
la stessa orbita PQ. Lo stesso si può dire di un terzo e di un quarto
corpo, che da P sia spinto nella direzione PT con la
stessa velocità che fu attribuita ai primi corpi. Tutti descriveranno l’orbita
PQ. E questo esprimeremo generalmente, dicendo, che se
da uno stesso punto dello spazio planetario partono più corpi animati da una
medesima velocità secondo una medesima direzione, tutti questi punti
descriveranno la medesima orbita intorno al Sole. - Inversamente se dalla
regione X dello spazio arriveranno più corpi in P con velocità uguale e con
direzione identica, potremo concludere, che essi
descrivevano intorno al Sole orbite identiche prima di arrivare in P. Infatti se dopo esser giunti in P questi corpi continuano la
loro strada, essi percorreranno, per ciò che sopra fu detto, la stessa orbita
PQ comune a tutti; dunque comune a tutti era anche l’arco anteriore XP della
medesima orbita, essendo impossibile, che più sezioni coniche coincidano
intieramente lungo l’arco PQ senza coincidere in tutto il resto del loro corso.
Applicando ora questo lemma alle
stelle meteoriche, noi conchiuderemo in prima, che quando più stelle meteoriche
cadono sopra la Terra nella medesima direzione con uguale velocità (quando cioè formano una pioggia meteorica divergente da un medesimo
radiante), questi corpi hanno percorso, prima di cadere, orbite identiche nello
spazio celeste, ed hanno quindi formato una corrente meteorica intorno al Sole.
Quindi si giustifica la supposizione per cui si
afferma, che ad ogni pioggia di stelle cadenti corrisponde una corrente
meteorica nello spazio planetario.
Applicando il medesimo lemma alle
comete, diremo. Se l’orbita d’una cometa interseca in un punto l’orbita della
Terra, e se la cometa arriva in quel punto con la medesima velocità e con la
medesima direzione, con cui vi arriva una corrente meteorica; cometa e corrente
saranno astrette a percorrere la medesima orbita
intorno al Sole, e si troveranno associate fra loro in modo indissolubile, e vi
sarà fra l’una e l’altra una relazione dipendente del modo con cui si generano
le une e le altre.
Come esempio
consideriamo le Leonidi, che sogliono apparire
intorno al 14 Novembre di ogni anno, divergendo da un punto del cielo collocato
nella testa del Leone. Questi corpuscoli formano evidentemente una corrente
meteorica, i cui elementi percorrono nello spazio press’a
poco la medesima orbita; e quest’orbita taglia
l’orbita della Terra nel luogo, dove il nostro pianeta suole trovarsi il 14 di
Novembre. Ora ricercando nel catalogo delle comete, si trova, che esiste una
cometa, cioè la cometa unica del 1866, scoperta dal
signor Tempel, la cui orbita anch’essa incontra
l’orbita della Terra (o passa vicinissimo all’orbita della Terra) proprio nel
punto, in cui il nostro pianeta suole trovarsi il 14 di Novembre. Conoscendo
l’orbita della cometa è facile dimostrare, che se la Terra e la cometa arrivassero insieme al punto dove s’intersecano le loro
orbite, la cometa cadrebbe sulla Terra, e gli abitatori del nostro pianeta la
vedrebbero con spavento arrivare appunto dalla testa del Leone, come
farebbe una qualunque delle Leonidi! che se a queste coincidenze aggiungiamo, che il periodo
della rivoluzione della cometa del 1866 intorno al Sole è esattamente uguale al
periodo dei ritorni delle Leonidi, cioè a 33 anni e
¼; avremo in mano quanto basta per pronunziare con geometrica certezza, che nel
punto comune all’orbita terrestre, all’orbita delle Leonidi,
ed all’orbita della cometa, le Leonidi e la cometa
arrivano nella medesima direzione colla medesima velocità, che quindi le
loro orbite coincidono intieramente in tutta la loro estensione; onde una
relazione genetica fra la cometa del 1866 e le Leonidi
diventa, se non assolutamente certa, almeno probabilissima.
«Questa coincidenza, diceva su tal proposito sir J. Herschel, è tale da non lasciar alcun dubbio sulla
comunanza d’origine delle meteore e delle comete».
Ma un
caso isolato di questa natura offrirebbe ancora alcun punto d’attacco alla
critica superlativa, di cui qualche scienziato talora fa pompa quasi per
compensare la credulità cieca che mostra in altre cose. Armandosi del calcolo
delle probabilità, potrebbe infatti costui dimandare se tale coincidenza non sarebbe forse puramente
accidentale? A questa domanda, che fu veramente fatta, la Natura ha risposto
nel modo più incontrastabile, offrendo nei quattro casi meglio determinati e
più conosciuti di piogge meteoriche, altrettante comete recenti e ben
determinate, che percorrono con quelle piogge orbite identiche nello spazio
celeste. Il primo caso constatato fu la relazione da me trovata fra le Perseidi del 10 Agosto e la splendida cometa del 1862:
secondo venne il caso, notato da Peters, delle Leonidi di Novembre e della cometa del 1866. Il terzo caso
fu notato da Galle e da Weiss
ed accenna ad un legame fra la prima cometa del 1861 e
la pioggia meteorica del 20 Aprile. Finalmente il quarto riguarda la cometa di Biela, la cui relazione con certe meteore anteriormente osservate era già stata fin dal 1867 notata da
d’Arrest e da Weiss, e fu
splendidamente confermata ed illustrata della bella pioggia meteorica del 27
Novembre 1872. - Oltre a questi casi, alcuni altri se ne conosce,
dove la relazione fra comete e piogge meteoriche corrispondenti è meno sicura e
più contestabile; onde non ne faremo parola, aspettando che studi e
osservazioni ulteriori abbiano a confermarli, o a dimostrarne l’insussistenza.
Nell’intento di mostrare
chiaramente all’occhio la forma di queste principali orbite meteoriche e la
loro posizione nel sistema solare, ho delineato la
Tavola II, nella quale la lunghezza di cinque millimetri rappresenta il raggio
medio dell’orbita della Terra intorno al Sole, ossia uno spazio di circa 80
milioni di miglia italiane. In essa, per evitare la
confusione, ho disegnato soltanto le orbite dei quattro grandi pianeti
superiori, Giove, Saturno, Urano e Nettuno, tralasciando tutte le altre orbite
planetarie inferiori, da quelle dei piccoli pianeti in giù. Come
è noto, queste orbite sono quasi circolari, sono anche quasi, ma non
esattamente, concentriche; esse si trovano giacere in piani poco diversi e si
può senza error grave supporre, che tutte quattro siano contenute in uno stesso
piano, che è quello del foglio. Il punto S figura la posizione del Sole.
Le quattro curve ellittiche, delineate per maggior chiarezza con diverso modo di tratti
nella Tavola II, rappresentano orbite percorse dalle quattro comete poc’anzi mentovate, in compagnia delle correnti meteoriche
corrispondenti. Di tali curve la più piccola è segnata con tratto nero continuo,
ed è quella percorsa dalla cometa di Biela e dalle
meteore del 27 Novembre 1872. Quest’orbita è percorsa
nel brevissimo periodo di 6 anni e due terzi; tale è l’intervallo, in capo al
quale si verificò più volte il ritorno della cometa,
dal 1772, anno della sua scoperta, fino al 1852, anno in cui fu veduta per
l’ultima volta. Quanto alla corrente meteorica, la sua
struttura e densità è ancor troppo poco conosciuta, per poter affermare che la
pioggia meteorica corrispondente abbia a rinnovarsi entro un periodo uguale a
quello della cometa. Cometa e corrente però non si allontanano molto dal
Sole, e soltanto di poco oltrepassano la distanza di Giove. Il piano della loro
orbita non coincide esattamente col piano principale del sistema planetario, ed
è inclinato su quello di circa 13 gradi. Quella parte dell’ellisse, che è a
destra della linea retta SN1 deve
immaginarsi alquanto elevata sul piano del foglio; l’altra parte deve
immaginarsi d’altrettanto depressa sotto il medesimo piano. Le saette della
figura, che indicano la direzione di tutti i movimenti, mostrano, che la cometa
di Biela e le sue meteore girano intorno al Sole nel
medesimo senso, in cui intorno al Sole si avvolgono tutti i pianeti.
Quella delle curve, che è seconda
in grandezza, ed è segnata con una serie di punti rotondi, rappresenta l’orbita
della cometa di Tempel del
1866, e nel medesimo tempo il cammino delle Leonidi
del 14 Novembre. La direzione del movimento indicata dalle due saette tracciate
lungo l’orbita stessa è contraria alla direzione in cui si muove la cometa di Biela, ed a quella in cui si aggirano intorno al Sole tutti i pianeti; per questo si dice, che la cometa
del 1866 e le meteore Leonidi da essa dipendenti
hanno un moto retrogrado. Il tempo rivolutivo
in quest’orbita è di 33 anni e un quarto, e a quest’intervallo corrispondono non solo successivi ritorni
della cometa di Tempel, ma anche rinnovamenti
d’intensità della pioggia meteorica corrispondente, come dal 902 in qua per
ripetute osservazioni si è fatto manifesto. L’orbita oltrepassa d’alcun poco
quella d’Urano, e presentemente si avvicina abbastanza ad essa:
ciò che diede occasione ad alcuno di credere, che alle perturbazioni di questo
pianeta si deva il breve periodo e la dissoluzione parziale della cometa di Tempel in corrente meteorica. Il piano dell’ellisse è
inclinato su quello del foglio di soli 18 gradi: la parte della curva, che è a
sinistra della linea SN11 deve immaginarsi sollevata un poco sopra
il piano del foglio, l’altra parte d’altrettanto depressa
sotto questo piano.
La curva segnata con punti
alternamente rotondi e oblunghi, che è più ampia delle due precedenti, è
l’orbita delle Perseidi del 10 Agosto, e della grande cometa del 1862 (Cometa 1862 III). Essa è lunga non
meno di 48 raggi dell’orbita terrestre e passa al di là di
Nettuno in regioni distantissime dal Sole, fuori dei
limiti del mondo planetario conosciuto. Non è stato possibile delinearla per intiero nel foglio: si avrà un’idea
dell’ampiezza di questa ellisse, osservando che il suo centro si trova fra le
orbite di Urano e di Nettuno nel punto segnato C, e che essa si estende al di
là di C altrettanto, che di qua del medesimo punto. In questa
immensa ovale si aggira la grande cometa del 1862, ed impiega a fare il
suo giro 121 a 122 anni, secondo il calcolo del Prof.
Oppolzer. La corrente meteorica sembra occupare,
colla sua lunghezza, se non tutta questa orbita,
almeno una parte considerevole, come è attestato dalla regolarità, con cui si
ripete ogni anno l’apparizione delle Perseidi.
L’orbita è fortemente inclinata sul piano generale del
sistema solare; l’inclinazione del suo piano su quello del foglio bisogna
immaginare che sia di 66 gradi; o più chiaramente per aver un’idea esatta della
sua posizione bisogna immaginare che tutta l’ovale giri intorno alla retta SN111
come cardine, in modo che la parte a destra della linea suddetta si elevi sopra
il piano del foglio all’obliquità di 66 gradi, e il rimanente (che è la
porzione di gran lunga maggiore) si abbassi sotto il piano del foglio, girando
intorno a SN111 finchè abbia raggiunto una
obliquità uguale. L’orbita delle Perseidi giace
dunque quasi tutta intiera sotto il piano
generale del sistema solare.
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Finalmente la curva segnata con punti oblunghi rappresenta una piccola parte della
sterminata ellisse percorsa dalla I cometa del 1861 in
compagnia delle meteore periodiche del 20 Aprile. Questa ellisse ha una
lunghezza più che doppia dell’orbita or or descritta
delle Perseidi, e si spinge nello spazio alla
distanza di circa 110 raggi dell’orbe terrestre; la rivoluzione non è
conosciuta che prossimamente, e si crede essere di 415 anni, o alcuna cosa di
simile. Nel disegno non si è potuto segnarne che un piccolo arco, perchè a descriverla tutta sarebbe occorso un foglio di
troppo smisurate dimensioni Il suo piano è quasi perpendicolare al piano delle
orbite planetarie, onde per aver un’idea della sua vera posizione nello spazio
bisogna immaginare che la parte inferiore alla linea SN4 si abbassi
sotto il foglio e l’altra parte si elevi sopra d’esso
quasi perpendicolarmente, girando ambedue intorno alla linea SN4
come cardine. La pioggia meteorica del 20 Aprile presentemente non è molto
splendida, ma è tuttavia discretamente regolare, come risulta
dalle osservazioni degli ultimi anni; onde sembra che la corrente meteorica
anche qui occupi una porzione notabile dell’ellisse se non tutta intiera
l’ellisse.
Tale è la disposizione generale
delle principali correnti meteoriche ora attive, di cui si riconobbe la
connessione con qualche cometa. Resta ora ad indicare più esattamente la loro
relazione coll’orbita terrestre, e a far vedere,
quali sono le circostanze del loro incontro col nostro globo. A tal fine
adoprerò la figura 5 la quale non è altro che la parte più centrale, e vicina
al Sole, della Tavola II, delineata in scala molto
maggiore; in essa per vantaggio di chiarezza è stata ommessa
l’orbita delle Perseidi e quella delle meteore
d’Aprile, come quelle che uscendo molto dal piano generale in cui sono
contenute tutte le altre, non possono essere rappresentate in modo confacente
allo scopo che ora mi propongo, e domanderebbero un modello a tre dimensioni,
non un disegno piano. In questa nuova figura la curva simile a
un circolo rappresenta l’orbita terrestre, S il Sole. La curva
ovale su cui è scritto: Leonidi indica
quella parte dell’orbita delle Leonidi, che ha potuto
capire nel foglio: la curva ovale su cui è scritto: Cometa di Biela segna, come nell’altra figura, parte dell’orbita
della cometa di Biela e delle relative meteore. Le
saette indicano le direzioni dei movimenti. Tutte e tre le orbite trovandosi in
piani fra loro poco inclinati, la loro disposizione vera nello spazio differirà
poco da quella del disegno. Tuttavia, a cagione della lieve inclinazione delle
orbite sul piano dell’orbe terrestre, una parte di
queste linee ovali sarà sotto il piano del foglio, l’altra parte sopra;
veramente, della porzione qui visibile dell’orbita delle Leonidi
nel piano del foglio non vi sarà che il punto T, in cui essa incontra l’orbita
della Terra: della porzione qui visibile dell’altra orbita non vi sarà nel
piano del foglio altro che il punto T’, dove essa pure incontra l’orbita della
Terra.
Consideriamo dapprima l’incontro
della Terra colle Leonidi percorrenti la loro orbita
ellittica. La Terra giunge al punto T della sua orbita intorno al 14 Novembre,
camminando da destra a sinistra. Le meteore di Novembre invece arrivano in T
percorrendo la loro ellisse da sinistra a destra: esse camminano incontro alla
Terra, e l’urto succede con una velocità quasi uguale alla somma delle due
velocità della Terra e delle meteore. La Terra ha in T una velocità di 29 mila
metri per minuto secondo, le meteore una velocità di
43 mila metri, l’incontro o l’urto corrisponde dunque ad una velocità di quasi
72,000 metri, e tale è la velocità con cui noi vediamo cadere le Leonidi nella nostra atmosfera. Questa è all’incirca la più
grande velocità possibile nelle cadute meteoriche.
Se la corrente delle Leonidi occupasse tutta intiera
l’orbita loro, e fosse dappertutto ugualmente densa, ogni anno all’arrivare
della Terra in T, cioè intorno al 14 Novembre, dovremmo subire l’urto di una splendidissima pioggia meteorica, come furono quelle del
1799, del 1833, e del 1866. Ma poichè queste
splendide piogge hanno il maximum d’intensità
in un anno determinato del periodo e tosto affievoliscono nei quattro o cinque
anni seguenti, per ridursi a poco o meno che nulla nel resto del periodo di 33
¼ anni: dobbiamo concludere, che la corrente meteorica
occupa sull’orbita colla sua parte più densa un arco non molto lungo; che una
parte consecutiva meno densa occupa un’altra porzione eguale a circa un sesto
del totale, e che finalmente il resto dell’orbita è quasi vuoto, e che lungh’essa la corrente esiste, ma in un grado estremamente
debole di densità. Quando ad intervalli di 33 ¼ anni passa in T la parte più
densa, succede il maximum dei grandi ritorni
delle Leonidi; nei cinque o sei anni seguenti passa
in T la parte di densità mezzana, e si hanno piogge di Leonidi
ancora distinte, ma non splendide: nel resto del periodo non rimangon che tracce del fenomeno, come è
avvenuto quest’anno e come probabilmente avverrà nei
prossimi anni fino alla fine del secolo corrente, quando verso il 1799 e il
1800 rivedremo la parte più densa. La cometa del 1866 si trova in testa a tutta
la corrente, e sembra precedere la parte più densa del codazzo.
Assai diversamente si comportano
la cometa di Biela e le meteore da essa
dipendenti. Queste meteore arrivano nel punto T1 dove si trova la
Terra il 27-28 Novembre, con una velocità di circa 40 mila metri per minuto
secondo, e vi arrivano inseguendo la Terra, la quale corre verso T1,
nello stesso senso, ma con soli 29 mila metri di velocità. La Terra dunque
fugge dall’urto, ma essendo meno veloce, è dalle meteore raggiunta,
anzi a raggiungerla più presto le chiama colla propria attrazione; calcolato
ogni cosa, si trova che le meteore di questa corrente urtano la Terra colla
sola velocità di 19 mila metri per minuto secondo, che è quasi quattro volte
minore della velocità, con cui abbiam veduto cader le
Leonidi. Quindi si spiega
l’universale consenso, con cui tutti gli osservatori del fenomeno del 27
Novembre scorso hanno dichiarato, esser stato comparativamente lento il moto
apparente delle meteore cadute. Si può altresì spiegare, colla piccola
intensità dell’urto, la piccola luce che svilupparono
quelle meteore, in comparazione collo splendido fiammeggiare delle Leonidi.
Queste due correnti possono
considerarsi come due casi estremi della massima e della minima velocità con
cui le stelle meteoriche possono urtare la Terra. Le Perseidi
invece, e le meteore del 20 Aprile non incontrano la Terra movendosi oppositamente ad essa, nè la inseguono, ma la prendono di fianco nel suo
movimento; le velocità delle loro cadute sono anche di grado intermedio. Le Perseidi cadono colla velocità di quasi 60,000 metri per
secondo, le meteore del 20 Aprile con, quasi 51,000 metri.
Questi casi bene conosciuti e
studiati di correnti meteoriche possono darci un’idea di quello che sarà per le
altre. Stando all’ultimo catalogo pubblicato dal signor Greg,
si osserva lungo l’anno la ripetizione periodica di 132 radiazioni distinte. Nè questo è certamente un numero uguale al vero perchè le osservazioni su cui quel catalogo è fondato non
sono complete, e di più abbracciano soltanto le radiazioni osservate
nell’emisfero boreale della Terra. Stando a quella proporzione, le radiazioni
principali visibili in tutto il cielo dovrebbero
essere almeno 200. E sebbene io abbia ragione di credere,
che anche questo numero sia grandemente inferiore alla verità; pure staremo con
esso, e ne conchiuderemo, che la Terra incontra lungo il suo corso annuale
almeno 200 correnti meteoriche diverse, descriventi ciascuna con moto periodico
la sua orbita intorno al Sole; orbita fortemente ellittica, come quella delle
comete periodiche. Queste correnti, assai meno popolate di meteore che le
quattro più specialmente descritte qui sopra, non sono neppur
esse composte di materia continua, ma contengono minutissimi corpuscoli separati
da grandi intervalli, e sono talmente rare, che due o tre o più possono urtare
insieme la Terra, e attraversare nel medesimo tempo il medesimo spazio senza
offendersi a vicenda: producendo così, nelle notti ordinarie dell’anno, quella
confusione di più piogge meteoriche, che aveva da principio condotto all’idea
delle meteore sporadiche.
Ma il numero delle correnti meteoriche, che attraversano gli spazi planetarii,
apparirà ben ancora più grande, quando si noti, che le 200 correnti sopradette
sono legate alla condizione di attraversare in qualche punto il cammino
descritto annualmente dalla Terra intorno al Sole; condizione, senza della
quale elle non potrebbero incontrare il nostro pianeta e rendersi a noi
visibili. Or quale sarà la moltitudine delle correnti meteoriche, le quali, non
incontrando l’orbita della Terra, rimarranno in eterno a noi incognite ed
inesplorabili? Senza dubbio bisognerà calcolarle per molte e molte migliaia.
Così noi vediamo, che lo spazio compreso fra le orbite dei pianeti, e gli altri
spazi che stanno dalle due parti del gran piano fondamentale del sistema
planetario, non sono già vuoti, o appena raramente visitati da qualche cometa
essi contengono un numero immenso di corpuscoli minuti, raccolti in correnti, e
aggirantisi intorno al Sole in orbite allungate.
Sebbene a ciascuno di questi corpuscoli non si possa attribuire che una massa
piccolissima, pure la lor moltitudine è così
sterminata, e lo spazio da essi riempito è talmente
grande, che la loro totalità può forse formare una massa non affatto
trascurabile nel computo dei movimenti planetarii.
L’esperienza futura potrà anche decidere questo punto.
Così il concetto dell’Universo si
viene allontanando sempre più dall’ideale geometrico così caro alle nostre
menti, e sempre più si viene complicando di particolarità fisiche accidentali,
di cui è impossibile tener conto esatto col calcolo. Nè
poteva essere altrimenti. Checchè in fatti sia stato
disputato in proposito, sarà sempre vero, che l’Astronomia non è una scienza matematica, come volevano gli Antichi e alcuni
moderni ancora vogliono; ma una scienza naturale, la quale come scienza
naturale vuole esser trattata. L’indole semplice dei suoi problemi la rende più
accessibile al calcolo, che le altre scienze naturali, e per questo è avvenuto,
che l’analisi e la geometria hanno riportato nel suo
campo così luminosi ed insperati trionfi. Ma l’analisi e la geometria
qui sono mezzi di studio, non essenza del sapere astronomico: aiuti
utilissimi anzi indispensabili, non completa ed unica misura dei fenomeni.
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