Idea generale del modo, con cui le
comete si suppongono generare correnti meteoriche. - Come dal dissolversi
totale o parziale di una cometa si possa generare una tale corrente. -
Divisione delle comete; fenomeni della cometa di Biela.
- Altri casi di divisione delle comete. - Struttura
granulare di molti nuclei cometari. - Forze che
producono la separazione delle loro parti. - Come l’attrazione solare si possa
convertire in forza dissolvente. - Alcune quistioni
sulla dissoluzione e sulla distruzione delle comete.
Tre gradi formano il corso
completo, in cui si muove il processo induttivo della nostra intelligenza nello
studio della natura. Il primo grado è quello dell’osservazione e della
classificazione; il secondo comprende lo studio formale delle leggi, a cui si
possono ridurre le cose osservate; nel terzo si risale alle cause, da cui
provengono le dette leggi, o per lo meno si riducono queste leggi ad altre più
generali e di ordine superiore. Nello studio delle
stelle cadenti noi abbiamo seguito appunto questa strada. E così, dopo aver nella prima lettura esposto in generale i principali
fenomeni delle stelle meteoriche, nella seconda siamo pervenuti a definire la
norma della loro distribuzione e dei loro movimenti nello spazio. Non rimane
dunque, che ascendere il terzo grado, e determinare, se è possibile, per qual
serie d’eventi abbiano potuto formarsi e trovarsi
associate alle comete quelle singolari agglomerazioni di corpuscoli, che si
muovono intorno al Sole in forma di correnti o di armille meteoriche. In quest’ultimo stadio non è più possibile di
raggiungere il medesimo grado di certezza, che nei primi due. Nè ciò dee far meraviglia. Poichè
il primo dei tre gradi, cioè l’osservazione dei
fenomeni, non dipende che dalla constatazione immediata di fatti, e gode di
tutto quel grado di fede, che si può raggiungere coi nostri sensi. La
determinazione delle leggi dipende nel presente caso da ragionamento
geometrico, e conduce quindi a risultati di certezza non minore, che quella
delle osservazioni. Ma il risalire alle cause domanda
nell’attuale problema la cognizione esatta di certe parti della fisica celeste,
che al presente sono ancora poco esplorate. Le idee adunque,
che verrò esponendo, malgrado l’assentimento sempre
più generale che vanno acquistando, e malgrado la conferma, che sembrano
ricevere da recenti osservazioni, possono esser presentate come speculazioni
probabili, anzi, oserò dire, come speculazioni molto probabili; ma non
raggiungono la completa certitudine fisica.
La tesi, a cui un esame diligente
di tutti i fatti conosciuti ha condotto gl’investigatori,
è la seguente: Le correnti meteoriche sono il prodotto della dissoluzione
delle comete, e constano di minutissime particelle che certe comete hanno
abbandonato lungo la loro orbita in causa della forza disgregante, che il Sole
od i pianeti esercitano sulla materia rarissima, di cui sono composte.
Notissima è la costruzione
generale delle comete. In esse vi ha sempre una parte
più densa, spesso tanto densa e brillante, da meritare il nome, che le fu dato,
di nucleo della cometa. Questa parte è il vero centro di tutte le
svariate apparizioni ed appendici, che offrono le comete: essa è quella che
percorre intorno al Sole un’orbita regolare, seguendo le leggi di Keplero. Tutto il rimanente, che circonda il nucleo,
atmosfera, chioma, e coda, presenta spesso, sotto l’influsso del calore solare,
i più curiosi spettacoli, che possono vantare gli annali del cielo; ma la massa
di queste appendici, e la loro densità è quasi nulla in confronto di quella del
nucleo o della parte più centrale della testa. Ora la disgregazione, dal cui
effetto diciamo derivare le correnti meteoriche, deve
intendersi così, che alcune porzioni della materia della cometa vengono poco a
poco allontanate dal centro principale dell’astro, e sottratte alla sua influenza
attrattiva. Queste porzioni, intieramente libere dal
dominio del nucleo, cominciano a percorrere accanto ad esso un’orbita propria,
intorno al Sole, come astri indipendenti; e la probabilità di esser ricondotte
sotto l’azione del nucleo essendo per esse piccolissima, finiscono per
separarsene definitivamente, allontanandosi viepiù da quello.
Perchè
si comprenda, come dallo sciogliersi del legame che collega la materia cometica al suo nucleo nascano le
correnti meteoriche appunto nella forma che ho descritto nella lettura II,
consideriamo in S (fig. 6) il Sole, in C il nucleo di una cometa, in H una
particella di materia cometica, che in seguito a
cause da descriversi più tardi, si sia disgregata del nucleo, e si sia ora
portata poco a poco fuori della azione di quello, in modo da descrivere
un’orbita propria e indipendente intorno al Sole. La distanza CH è, nel momento
della separazione, assai piccola in confronto della distanza SC; e come i due
corpi C ed H quando erano riuniti correvano con la stessa velocità intorno al
Sole, ora anche dopo la separazione si muoveranno con
velocità uguali o almeno pochissimo differenti. I due corpi adunque
percorreranno nello spazio orbite poco diverse, e se
queste orbite sono ellittiche, il tempo del loro giro intorno al Sole sarà
quasi uguale per l’uno e per l’altro. Tuttavia non ne seguirà, che essi debbano sempre accompagnarsi nel loro viaggio celeste a
piccola distanza l’uno dall’altro. Se infatti per
esempio supponiamo, che la rivoluzione di H nella sua orbita sia di una
centesima parte più breve che quella di C, è manifesto che, ad ogni giro
intorno al Sole, H anticiperà sulla posizione di C di un centesimo del giro
stesso, e dopo dieci giri H avrà avanzato di 10 centesimi di giro, e dopo
cinquanta giri H avrà avanzato di cinquanta centesimi, o di mezza rivoluzione. Coll’andar del tempo dunque H potrà occupare rispetto a C
nella sua orbita tutte le configurazioni possibili. In un solo caso questo non
succederà: cioè quando la rivoluzione di H intorno al
Sole si faccia in un tempo matematicamente uguale alla rivoluzione di C. Ma
questo è infinitamente poco probabile che avvenga; e dato che
avvenisse, non potrebbe durare; le perturbazioni planetarie, esercitandosi sui
due corpi con diversa intensità, tosto produrrebbero quella differenza di tempi
rivolutivi, che prima non esisteva.

Un esempio illustre di questi avvenimenti, che ora ho descritto, è stato
osservato sulla cometa di Biela nel 1845. Questa
cometa, di cui già ho avuto occasione di descrivere il corso nella lettura
precedente, è una fra quelle di breve periodo, ed è stata osservata già più
volte nei suoi ritorni. Scoperta da Montagne nel 1772, poi da Pons nel 1805, fu ritrovata e riconosciuta come periodica
da Biela e da Gambart nel
1826, e dal nome di questi scopritori suole chiamarsi
talora cometa di Gambart, altre volte e più spesso,
cometa di Biela. Il calcolo del suo corso fu oggetto
principalmente dei lavori del Prof. Santini e del Prof. Hubbard. Questa cometa,
come tutte quelle che generano correnti meteoriche a noi visibili, ha la
proprietà, che la sua orbita interseca l’orbita della Terra, o passa a questa
assai da presso. Come tutte le comete, essa si fa
visibile a noi soltanto nella parte inferiore della sua orbita, cioè in quell’arco, che è più vicino al Sole. Dopo il 1826 essa
ritornò nel 1832, nel 1839, nel 1845 e nel 1852. Nella apparizione
del 1832 il suo aspetto non offrì nulla di straordinario: una piccola
nebulosità senza coda. Nel 1839 non fu veduta, trovandosi, al tempo della
visibilità, in una configurazione sfavorevole rispetto alla Terra ed al Sole:
ma grande fu la meraviglia, quando al suo ritorno seguente, sullo scorcio
dell’anno 1845, si scoperse che la cometa era divenuta doppia! Non si è potuto
determinare con certezza l’epoca di questa divisione. Hubbard
inferisce dai suoi calcoli, che questo fenomeno ha dovuto
succedere nel Novembre del 1844, cioè circa un anno prima che la cometa si
rendesse visibile, nell’apparizione del 1845, agli osservatori: (essa fu veduta
per la prima volta a Roma il 26 Novembre 1845). La duplicità della cometa del
resto da principio rimase inavvertita, forse a cagione delle grandi
fluttuazioni di luce che rendevano meno visibile or l’uno or l’altro dei due
capi cosa che sebbene Herrick e Bradley
a Newhaven già constatassero
quella duplicità fin dal giorno 29 Dicembre 1845, le osservazioni regolari
dell’apparenze fisiche dei due capi non cominciarono che col 13 Gennaio 1846
per opera di Maury all’osservatorio di Washington, e
in Europa più tardi ancora, cioè il 15 Gennaio all’osservatorio di Königsberg. Secondo i calcoli di Hubbard la distanza fra le
due parti il giorno 10 Febbraio 1846 quando la cometa si trovò nella massima
vicinanza al Sole, fu di 160 mila miglia italiane; esse si seguivano
descrivendo orbite quasi assolutamente identiche intorno al Sole e la seconda
parte correva dietro alla prima ad un intervallo di due ore vale a dire,
che la seconda cometa occupava quasi esattamente ad ogni momento la posizione,
in cui l’altra si era trovata due ore prima.
Nell’apparizione consecutiva la
cometa fu riconosciuta per la prima volta dal R. P. Secchi nel grande rifrattore di Roma il 25 Agosto 1852; ma per allora
ne fu visto un solo capo: l’altro non fu trovato che il 16 Settembre
consecutivo ad una distanza dal primo molto maggiore di quello che s’aspettava.
Anche questa volta si notarono fluttuazioni di
splendore, che rendevano quasi invisibile or l’una or l’altra cometa. Il 23
Settembre 1852 i due capi passarono nel punto della loro maggior vicinanza al
Sole, e la loro distanza reciproca in quel giorno si trovò essere di 1330 mila
miglia italiane, cioè otto volte più grande
della distanza osservata nel 1846; la seconda cometa era in ritardo sulla prima
già di 16 ore. A tale distanza, che è quasi 7 volte l’intervallo dalla Terra
alla Luna, i due capi non potevano più esercitare l’uno sull’altro un’azione
attrattiva molto sensibile, ed erano diventati in fatto due astri intieramente indipendenti l’uno dall’altro. Anche i calcoli
dell’accennato professore Hubbard
hanno dimostrato, che dalle osservazioni del 1846 e del 1852 non è possibile
ricavare alcuno anche dubbioso indizio di una azione qualunque attrattiva o
repulsiva fra i due capi; il corso di ciascuno potendo accuratamente
rappresentarsi colle leggi di Keplero e colle
perturbazioni planetarie senza introdurre alcuna nuova forza. Finalmente è
dimostrato, che l’uno dei due capi compie il suo giro intorno al Sole in un
tempo alquanto più breve che l’altro; la differenza è, secondo Hubbard, di 18 ore e 5 minuti, ciò che sopra una durata del
tempo rivolutivo di 6 anni e 223 giorni fa 1/3200
della durata stessa. Quando dunque il più lento dei due capi avrà fatto 3200
rivoluzioni, il più rapido ne avrà fatte 3201; ed in
tale intervallo avranno preso nelle loro orbite tutte le configurazioni
possibili l’uno rispetto all’altro.
Un altro esempio bene constatato
di cometa doppia si ha nella prima cometa del 1860, la quale percorse le
costellazioni antartiche del cielo e non fu visibile
in Europa. Essa fu scoperta nella città di Olinda
(Brasile) dal signor Liais il 27 febbraio 1860. I due
capi erano molto disuguali di grandezza e di splendore; la loro distanza
apparente, che era molto piccola (circa un minuto di grado) lascia
congetturare, che la separazione fosse avvenuta poco tempo
prima, e forse in quell’apparizione medesima
della cometa. Singolarissima poi fu la presenza di due nuclei nella maggiore
delle due comete; questo fatto sembra indicare una tendenza ad ulteriore divisione.
Altri esempi di comete doppie o
multiple si trovano citati negli storici ma non sempre con autorità bastevole a
metterli fuori d’ogni dubbio. Così secondo Eforo, istorico poco veridico, la cometa dell’anno 371 prima di
Cristo, la cui apparizione seguì d’alcuni mesi il gran terremoto che distrusse Elice e Bura città dell’Acaja, prima di scomparire si sarebbe divisa in due stelle.
Aristotele però, e Diodoro Siculo, che parlano accuratamente di questa cometa,
non menzionano il fatto. Secondo Cassio Dione la
cometa dell’anno 11 avanti Cristo, che precedette la morte di Agrippa, «scomparve dissolvendosi in parecchie fiaccole»;
ma gli storici chinesi Sse-ma-tsian
e Ma-tuan-lin, i quali ne descrivono accuratamente
l’apparizione ed il corso, non parlano in alcun modo della divisione.
Maggior fede
forse si potrà prestare al medesimo Ma-tuan-lin, ed
ai continuatori di Sse-Ma-tsian, quando narrano, che
ad una data corrispondente presso di noi al 24 di Giugno dell’anno 415 di
Cristo (stile giuliano) comparvero due comete nella divisione del cielo
chiamata Tin-she (Ercole Serpente ed Ofiuco), le quali ambedue rasentarono la stella Te-tso (α di Ercole).
Si può pensare che qui si tratti di una cometa doppia: ma non è neppure
impossibile, che fossero due comete di corso
differente, le quali per caso siansi incontrate in
una medesima regione del cielo.
Più categorica sembra la
narrazione di Ma-tuan-lin nel libro 294 della sua
storia, secondo la quale nell’anno 896 di Cristo sarebbero
apparse «tre stelle straordinarie, una grande e due piccole. Esse furono
vedute fra i due asterismi Hiu
e Goei (β ed α dell’Aquario). Ora si avvicinavano, ora si
separavano. Camminarono insieme verso l’Oriente per tre giorni, poi le due
minori scomparvero: infine scomparve anche la grande».
Dopo di aver ben compreso quali
conseguenze nascono dalla divisione di una cometa in due parti, non sarà
difficile farsi un’idea di quello che debba avvenire,
quando non una, ma moltissime particelle di una cometa si separino dal centro o
nucleo principale, e si sottraggano all’influenza della sua attrazione. Tutti questi corpuscoli incomincieranno a
descrivere intorno al Sole orbite fra loro indipendenti, ma poco dissimili
dall’orbita del nucleo principale. Nel principio avremo dunque una nube
di corpuscoli viaggianti insieme a piccole distanze, come sarebbe
una torma d’uccelli di passaggio, od uno sciame d’insetti. Ma
siccome è impossibile, che tutti questi corpuscoli si muovano intorno al Sole
in un periodo esattamente eguale, le piccole differenze di velocità nel moto di
rivoluzione si andranno progressivamente accumulando, e la distanza fra due
corpuscoli qualsiasi andrà progressivamente crescendo, siccome abbiam veduto avvenire nelle due teste della Cometa di Biela. La nube si verrà dunque successivamente
allungando, e le sue parti si estenderanno progressivamente lungo l’ellisse
descritta, e ne occuperanno sempre una porzione maggiore, finchè
dopo un numero molto grande di rivoluzioni la nube si sarà trasformata in un
anello ellittico completo e l’anello si formerà, quando le parti più veloci
della nube abbiano guadagnato sulle meno veloci una rivoluzione intera.
Tale è la successione di
fenomeni, che noi crediamo aver dato luogo alle correnti meteoriche descritte
nella precedente lettura. Esse sono prodotte da particelle di materia
abbandonata lungo l’orbita da comete divenute incapaci di trattenerle insieme
in un sistema unico colla loro intrinseca attrazione. Le stelle meteoriche
dunque altro non sono che polvere o farina di comete. Ma tutto questo che qui accenniamo potrebbe a taluno
sembrare nulla più che una speculazione geometrica, se non avessimo cura di
esporre quelle osservazioni che tendono a stabilirne la fisica realtà. Da
queste osservazioni risulterà in modo evidente che le
comete hanno, anche nella parte loro che sembra più densa, una struttura
granulare, e una tendenza a risolversi, sotto l’azione dei raggi solari, in un
gran numero di corpuscoli minutissimi.
Primo si presenta l’esempio della
cometa stessa di Biela. Nella medesima apparizione,
in cui la cometa per la prima volta fu vista divisa in due, il nucleo di una
delle due teste apparve più volte diviso in varie parti. Maury
osservò a Washington il 26 febbraio 1846, che il nucleo aveva un’apparenza
confusa e sembrava multiplo. Il 14 Marzo consecutivo questa moltiplicità
apparve più distinta, e l’assistente di Maury credette di veder cinque nuclei diversi.
Di questa
struttura granulare non rari sono gli esempi fra le comete telescopiche;
nelle quali spesso si vedono luccicare qua e là punti di maggior intensità per
guisa, che diventa impossibile fissare il luogo del nucleo principale o centro
della cometa. Tale fu per esempio l’aspetto che presentò la II Cometa del 1868
il 18 Giugno di quell’anno, secondo che fu osservato
al grande cannocchiale di Lipsia. Tale fu pure la
Cometa del 1866, che accompagna le Leonidi
nella loro orbita. Anche la prima Cometa del 1853 ebbe un nucleo multiplo,
secondo che riferisce il P. Secchi. Un nucleo secondario
si distaccò pure dal nucleo principale della grande Cometa di Donati nel 1858,
siccome osservarono Otto Struve e Winnecke
al grande cannocchiale di Pulkova.
La divisione in molti nuclei fu poi tanto evidente nella grande Cometa del
1618, che essa fu osservata e descritta molto bene dal P. Cysat
e da Wendelin, sebbene i cannocchiali di quell’epoca fossero ancora estremamente
imperfetti. Il P. Cysat vide convertito tutto il
corpo della cometa in una congerie di minutissime stelle. Ma notabilissimo fra tutti fu
l’aspetto presentato dalla Cometa del 1652 dal 21 al 27 Dicembre di quell’anno. Il suo corpo aveva un diametro apparente poco
inferiore a quello della Luna: il diametro reale era immenso, almeno 12 o 15
volte il diametro del nostro globo. Questa enorme congerie sferoidale era una agglomerazione informe di parti più dense e più rare e
conteneva, oltre ad una massa principale, altre masse minori in numero di
quattro o cinque: più un gran numero di altri punti luminosi appena
discernibili nei telescopi di quel tempo. Ma la massa
principale anch’essa appariva come una congerie di molti minutissimi
corpuscoli. Sono le parole di Evelio, il più
industre e diligente osservatore di quel tempo.
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Ma più conclusivo ancora di tutti i precedenti sembra a me il seguente fatto,
di cui io medesimo ebbi la fortuna di essere
spettatore, e che vidi osservando la splendida madre delle Perseidi,
la grande Cometa del 1862. Addì 25 d’Agosto verso
dieci ore di sera, il nucleo pella Cometa che fino
allora aveva eiettato una specie di getto luminoso
simile ad una fiammella di gaz, fu visto eruttar
fuori una massa luminosa, la quale crebbe ad un volume a molti doppi più
grande, che il volume proprio del nucleo (fig. 7). Questa massa luminosa avea la figura di una pera; essa era bene contornata da
tutte le parti, e rassomigliava ad una piccola nube, nella quale sopra un fondo
lucido ad intervalli andavano or qua or là luccicando punti più luminosi simili
a piccolissime stelle appena discernibili. Questo interessante fenomeno era
totalmente scomparso nel giorno consecutivo. Esso dimostra non solo la
struttura granulare della sostanza eiettata in quel
tempo dal nucleo, ma anche la potenza delle forze interiori, che erano sufficienti a cacciar quella materia disgregata a
distanza di più migliaia di miglia dal nucleo principale.
Rimane ora un’altra questione da
esaminare: Qual’è la forza,
che separa l’uno dall’altro quei corpuscoli, dalla cui agglomerazione i nuclei
di certe comete sembrano in tutto od in parte risultare? Per quanto grande sia l’ignoranza in cui ci troviamo sulla composizione fisica
delle comete, pure possiamo assicurare, che almeno due forze qui entrano in
azione. Primieramente le forze interne di espansione e
di proiezione che il nucleo sviluppa sotto, l’influsso del calore solare,
quando la cometa, nel passare vicino al Sole, si gonfia e caccia fuori uno o
più zampilli, solleva inviluppi sovra inviluppi, atmosfere sovra atmosfere. In
queste violente rivoluzioni del corpo cometico, dove
tutte le forze fisiche, non domate come sulla Terra lo sono, dalla predominante
attrazione di una forte massa centrale, operano senza freno sulla piccola
quantità di materia abbandonata al loro furore, non è maraviglia che diventi gazoso quello che prima era liquido o solido, e che
sfasciandosi il cemento, che prima riteneva unite le particelle od i corpuscoli
cometari, questi diventino preda delle
correnti ascendenti, che li trasportano lunge dal centro principale. Il
fenomeno da me veduto la sera del 25 Agosto 1862
sembra assai istruttivo sotto tale riguardo.
Ma io
dico, che anche astraendo dalle forze interne sviluppate dal calore solare,
basta la sola forza dell’attrazione a sciogliere i legami d’una massa molto
rara, sia continua, come un vapore ridotto a piccolissima densità, sia divisa
in piccole particelle fra loro separate, come sarebbe una nube di corpuscoli minutissimi
e separati fra loro da intervalli molto grandi rispetto alle loro dimensioni.
Parrà certo a molti un gran paradosso, che la forza di attrazione,
invece di concentrar la materia, tenda alcuna volta a disgregarla: eppure nulla
sembrerà più naturale a chi abbia la pazienza di seguire la concatenazione
logica dei semplici ed evidenti ragionamenti che sto per fare.
Sopra una medesima linea di
strada ferrata immaginiamo due convogli che corrano
nella medesima direzione, l’uno seguendo l’altro a non grande distanza: e
poniamo, che il convoglio anteriore sia tirato da una locomotiva alquanto più
potente, e capace di farlo correre con velocità alquanto maggiore dell’altro.
Se i due convogli siano indipendenti l’uno dall’altro,
è manifesto, che il primo dei due avanzando sulla strada con maggiore velocità,
si verrà progressivamente allontanando dall’altro, che rimarrà indietro; e
l’intervallo fra i due convogli andrà poco a poco crescendo. Facciamo ora la
supposizione, che i convogli sian legati l’uno
all’altro con una fune robusta. È palese che al principio del movimento questa
fune si tenderà, e per mezzo di essa il convoglio
anteriore comunicherà una parte della sua forza al posteriore: di modo che
tutti e due i convogli procederanno insieme uniti con una velocità intermedia
alle due velocità diverse che avrebbero preso, quando fossero rimasti separati.
Ma, se invece d’impiegare a questo scopo una fune robusta, mettiamo una fune
troppo debole, essa da principio si distenderà, poi col progresso del tempo si verrà
allungando quanto lo comporta l’elasticità delle sue fibre: poi finalmente
seguitando a crescere la tensione, si romperà, ed i due convogli saranno ancora
diventati indipendenti fra di loro. Ora qual’è la causa della distensione,
dell’allungamento, e della finale rottura della fune? Non
altro, che la diversità delle forze, con cui sono spinti i due convogli.
Questa diversità basta per sè a costituire una forza divellente,
che col suo continuo operare sulla fune, finisce per romperla, e per sciogliere
in due parti il sistema, che prima era unico.
Invece dei due convogli tratti da locomotive consideriamo ora due punti A B formanti
parte di un medesimo corpo celeste (fig. 8) che gira intorno al Sole S: e
poniamo che A occupi il centro di detto corpo, B invece si trovi ad una certa
distanza da A nella direzione della linea AS. In forza della gravitazione
universale, il Sole attirerà a sè i punti materiali A e B; ma siccome questa forza decresce secondo i quadrati
delle distanze, ed è tanto minore, quanto più il punto attratto dista da S;
così avverrà che il punto più vicino B sarà spinto verso il Sole con forza
maggiore che il punto centrale A; onde avremo qui un caso analogo a quello dei
due convogli, di cui poc’anzi ho parlato: il
risultato finale di questa diversità di attrazioni sarà una forza divellente,
la quale tenderà a rompere il legame qualsiasi che tiene unito il punto B al
centro A del corpo celeste.
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Similmente se noi consideriamo un terzo punto C, il quale si trovi sul
prolungamento2 ([2])
della retta SA, vedremo, che esso sarà attratto verso il Sole con minor forza
che il punto A; e per conseguenza anche fra i punti A
e C nascerà una forza divellente di natura intieramente analoga a quella
che abbiam veduto esistere fra A e B. In ambi i casi i punti B e C saranno spinti da questa forza ad
allontanarsi dal centro A.
Nel caso in cui il legame fra il
punto centrale A e i due punti B e C sia abbastanza
saldo per resistere a queste forze divellenti, i due punti B e C non si
distaccheranno dal centro A, e il corpo celeste cui essi appartengono rimarrà
coerente nelle sue parti e non si discioglierà. Tale è per esempio il caso dei
pianeti ed in particolare del nostro globo. Qui il legame che unisce le parti è
il peso, cioè l’attrazione reciproca che le
anima e che supera di gran lunga la forza divellente prodotta dall’attrazione
solare. Se supponiamo che B e C siano due corpi
collocati alla superficie del nostro globo nelle posizioni che indica la fig.
8, con un facile calcolo si trova, che la forza divellente, la quale tende a
separarli dal centro della Terra e a portarli in alto è appena la ventimilionesima parte del peso dei corpi stessi B e C.
Perciò quando il Sole si trova perpendicolarmente al nostro zenit, oppure al
nostro nadir, la forza divellente da esso prodotta
scema il peso dei corpi di una ventimilionesima
parte, quindi di un milligramma un corpo di venti
chilogrammi di peso. Esercitandosi dunque questa forza divellente sulle
particelle mobili dell’oceano e dell’aria, tutto il suo effetto si limiterà a
sollevare questi inviluppi fluidi di una piccola quantità con fasi alterne
dipendenti dalla posizione del Sole; nel che sta il vero meccanismo del flusso
e del riflusso del mare e dell’atmosfera. La Luna esercita anch’essa una forza
divellente analoga, anzi molto più potente di quella del Sole, perchè essa è a noi molto più vicina. Ma
l’effetto di tali forze sulla parte solida del globo sarà assolutamente nullo.
Ma se noi ci poniamo, invece che
sulla Terra, in una massa di gaz estremamente
rarefatto, o in una nube di corpuscoli minuti disseminati a considerevoli
distanze l’uno dall’altro, sarà facile immaginare tali combinazioni, per cui le
forze divellenti superino le attrazioni interiori del sistema e le disperdano. Nè per questo occorre fare supposizioni eccessive. Se
invece della terra così solida e così densa, si avesse una materia così rara,
che 10 metri cubi di essa pesassero 3 grammi nelle
nostre presenti bilancie, questa materia non potrebbe
più resistere alla forza divellente del Sole e si disperderebbe issofatto. Se invece della Terra così solida e così densa,
si avesse una nube di corpuscoli del peso di un gramma
ciascuno, e così fatta, che la distanza media fra due corpuscoli vicini fosse
di due metri soltanto, questa nube sarebbe già troppo rara per restare unita nello spazio celeste; le attrazioni
reciproche dei corpuscoli onde è composta non basterebbero per resistere alle
forze divellente del Sole. In poco tempo la nube andrebbe disciolta in tanti
corpuscoli fra loro indipendenti, i quali cominciebbero
a percorrere orbite poco diverse, e formerebbero col volgere degli anni una
corrente sempre più lunga.
Noi abbiamo finora parlato della
forza divellente che proviene dall’attrazione del Sole. Ma
anche i pianeti possono esercitare una simile forza divellente: soltanto, come
la loro massa è assai minore di quella del Sole, per ottenere uguali effetti è
necessario che il corpo condannato alla dissoluzione si avvicini loro molto di
più. Vi ha buone ragioni per credere, che le comete periodiche descrivessero prima orbite assai diverse dalle ovali che
oggi percorrono, e che il loro cambiamento di strada sia dovuto alla forte
perturbazione di qualche grosso pianeta. Così si crede che la cometa di Biela sia stata condotta da Giove a percorrere la sua
orbita presente. Questo non ha potuto avvenire, se non
in causa di un grande avvicinamento della cometa al pianeta perturbatore. Mentre dunque si cambiava l’orbita della cometa, si
manifestava pure con grande intensità la forza divellente del pianeta
perturbatore, ed è possibile che certe correnti meteoriche abbiano avuto
principio in questo modo.
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Riassumendo le cose fin qui esposte, si conclude: 1.°
che le comete, a cagione della grande rarità della loro materia, e della
tendenza che hanno a comporsi in una struttura granulare, possono offrir campo
alle forze divellenti del Sole (e probabilmente anche dei pianeti) di
esercitare la loro influenza. 2.° che l’avvicinamento delle comete al Sole nei
periodi delle loro apparizioni, col produrre nella loro struttura
i più grandiosi sconvolgimenti, può in grado eminente aiutare a disperderle in
parte e dar campo alle forze divellenti suddette di manifestarsi con un più
alto grado d’intensità. 3.° che il concorso di queste azioni può verosimilmente
bastare a sottrarre alcune parti dell’influsso attrattivo del nucleo
principale, rendendole da quello indipendenti. 4.°
che, ottenuto una volta questo risultato, la dispersione di quelle parti lungo
l’orbita, e la formazione di una corrente è conseguenza inevitabile, e pura
questione di tempo.
Prego chi mi ascolta di notare,
che la dispersione di cui si tratta si fa lungo l’orbita della cometa, e non in
altra direzione. Insisto specialmente su questo punto, perchè
non venga in mente ad alcuno di confondere la formazione delle
correnti meteoriche collo sviluppo della coda delle comete, come più
volte è avvenuto3 ([3]).
La differenza essenziale tra i due fenomeni si comprenderà subito, considerando
la figura 9, la quale rappresenta la forma comune che ha l’orbita delle comete,
nella parte più vicina al Sole, e la disposizione che sogliono
prendere le code delle grandi comete. L’orbita ABCD essendo
percorsa da una cometa nel verso indicato dalla saetta, la dispersione della
materia del suo nucleo si farà lungo questa linea, come più volte fu detto;
quindi la corrente meteorica che ne deriva seguirà pure la linea stessa ABCD.
Invece le code si sviluppano partendo dal nucleo in
direzione opposta al Sole S, siccome il più volte citato chinese Ma-tuan-lin fu il primo a
notare fin dal secolo XIII; e come il disegno indica. Esse si ripiegano
per lo più all’indietro in forma di pennacchi. Egli è manifesto, che queste
code, perdendosi nello spazio celeste produrranno un fenomeno diverso da quello
che finora è stato descritto.
Una prova che le correnti
meteoriche sono un fenomeno distinto dalle code sta in
questo, che le due correnti meteoriche più illustri dei nostri tempi sono
connesse con due comete telescopiche, delle quali una (la cometa del 1866) non
aveva coda, l’altra (quella di Biela) non mostrò
alcun simile appendice all’apparizione del 1852, ed ora è diventata invisibile
affatto.
È stato detto mille volte, che le
recenti scoperte sulle stelle cadenti «hanno sciolto l’enigma delle comete.» Gli autori di questa sentenza hanno
voluto dire con questo, che i nuclei, le chiome e le code delle comete,
consistono semplicemente di stelle cadenti e di corpuscoli minutissimi?
Vogliono essi inferirne, che l’urto (così scioccamente temuto dal volgo) di una
cometa contro la terra abbia a risolversi in una pioggia meteorica? E che sulla costituzione delle comete non vi sia più altro a
studiare? Se così è, permettano ad uno che ha studiato
molto e senza frutto il problema della costituzione delle comete, di dir loro,
che i fatti finora conosciuti non ci danno punto il diritto di andar sì
lontano. È possibile, che le parti più dense o i nuclei siano parzialmente
composti di quei corpuscoli, ed i fatti addotti in questa lettura lo rendono
anzi probabile. Ma la materia delle chiome e delle code cometarie
sembra godere di proprietà che alle stelle cadenti non
competono. Infatti dopo Bessel
si deve riguardare come certo, che sulla materia delle chiome e delle code il
Sole esercita una attrazione minore, che sulla materia dei nuclei, anzi qualche
volta una vera repulsione. Se tal forza repulsiva, o tale minore
attrazione operasse sulla materia delle correnti meteoriche, esse andrebbero
disperse in un momento; in nessun caso potrebbero accompagnare così fedelmente
le comete in una identica orbita.
Prima di terminare voglio
rispondere a una questione, che sento fare da tutte le
parti. Dunque in tal maniera potrà un corpo celeste
essere annichilato e disperso in polvere minutissima? Dunque la cometa di Biela, che nei suoi due ultimi ritorni del 1866 e del
18724 ([4])
non si è più potuta vedere sarà andata distrutta? Dunque sarà vero che le meteore vedute la sera del 27
novembre 1872, siano, come tanti dissero, il prodotto di questo sfacelo totale?
Che le
comete col progresso del tempo si vadano consumando è opinione antica. Keplero l’ha espressa chiaramente or sono 250 anni circa; Existimo, corpus cometæ,
perlui, colari, atteri et denique annichilari,
et sicut bombyces filo fundendo, sic cometas cauda exspiranda
consumi et denique mori.
Ciò è sopratutto probabile delle comete, che sviluppano una lunga coda. Ed infatti è impossibile che faccia ritorno alla sua sorgente
la materia di quelle code, che vediamo stendersi per dieci, venti, e cinquanta
milioni di miglia a traverso dello spazio planetario. Questa materia rimane là
vagando nello stato di dispersione completa.
Encke
riteneva per certo, che la cometa periodica da lui denominata manifestasse uno splendore intrinseco sempre minore da una
volta all’altra; e soleva dire, sebbene non lo abbia scritto, «presto non ne
rimarrà più nulla.»
Se è vero quanto ha recentemente concluso Hind dalle sue
investigazioni, che la cometa osservata in Europa ed in China nell’anno 1366
sia identica alla cometa scoperta da Tempel
cinquecento anni dopo, cioè alla madre delle Leonidi,
avremmo un esempio illustre della progressiva diminuzione delle comete. Infatti la cometa di Tempel del
1866 fu sempre telescopica, mentre quella del 1366 è descritta dagli annali chinesi come «della grandezza d’uno staio5 ([5])» e di colore simile «a quello di un
pugno di farina» e fu veduta, non occorre dirlo, ad occhio nudo. Tuttavia
siccome in questa apparizione la cometa è passata a
grandissima prossimità della Terra, la visibilità della cometa per gli
osservatori del 1366 non sarebbe una prova molto stringente. Ma il signor Hind è d’opinione che la cometa di Tempel
sia stata veduta anche nell’anno 868. Di una cometa
veduta nel 868 fanno breve menzione gli annali chinesi, e più diffusamente parlano varie cronache
dell’Occidente. Se supponiamo che essa sia identica alla
cometa di Tempel, dobbiamo conchiudere che abbia
perduto da 1000 anni in qua una parte notabile del suo splendore: perciò
secondo Hind la sua distanza dalla Terra
nell’apparizione dell’868 avrebbe dovuto esser molto maggiore che nel 1366 e
nel 1866: e malgrado questa maggiore distanza la cometa fu avvertita dagli
osservatori di quel tempo.
Per ciò che riguarda la supposta
distruzione dalla cometa di Biela, si deve ritenere
per cosa possibile, sebbene sia lontana dall’esser provata: anzi dico, che non
è perduta ogni speranza di rivedere un giorno almeno l’uno o l’altro dei capi. E la ragione di tale speranza sta in questo: che
invisibilità qui non significa necessariamente distruzione o non-esistenza.
Riandando infatti la storia della cometa nelle due
apparizioni del 1846 e del 1852 si trova il fatto singolarissimo, che i capi
della cometa subirono tali fluttuazioni di luce, da rendersi qualche volta
invisibili ai telescopi di minor potenza. Ciò significa, che nell’interno di
quei due corpi vi erano cause intrinseche capaci di aumentarne o di diminuirne
l’intensità luminosa. Di simili fluttuazioni di luce molte altre comete hanno
offerto evidentissimi esempi: tra i quali recente affatto è quello della IIa cometa del 1871,
scoperta dal signor Tempel. Questa cometa diventò al
tutto invisibile nel mese di Settembre, sebbene allora si trovasse in posizione
e condizioni eccellenti per essere osservata. Al contrario
altre comete, che erano già scomparse, e di cui nessuno più sperava fare
osservazioni, subitamente rifulsero dopo una quasi totale estinzione della loro
luce; il che avvenne per la grande cometa del 1811, e nel 1866 per la cometa
periodica di Faye. Chi potrà dunque assicurare, che a
simili casi o ad altri di natura ancora più spiccata non sia soggetta anche la
cometa di Biela?
Ma dato pure, che dal 1852 in qua
la cometa sia andata dispersa, fallace al tutto sarebbe inferirne la
congettura, che dai suoi recenti fragmenti fosse
costituita la grande pioggia meteorica del 27 Novembre
1872. Ciò si potrebbe veramente credere, se la cometa in quel giorno si fosse
proprio trovata nel luogo dove passava la Terra, e fosse stata dalla Terra
attraversata in pieno, come alcuno pensò. Ma il professore Michez di Bologna,
successore e continuatore di Santini nel difficile computo delle perturbazioni
di questa cometa ha dedotto dei suoi calcoli, che nel giorno 27 Novembre la
cometa aveva già passato quel punto critico dell’incontro colla Terra da circa
tre mesi e che il 27 Novembre poteva trovarsi distante da noi ben forse 100
milioni di miglia!
Se, come è
da creder ad ogni modo, la cometa fa parte della corrente del 27 Novembre, è
chiaro che in quel giorno la corrente dovea occupare
sull’orbita almeno tutto lo spazio compreso fra la cometa e noi, esser quindi
lunga almeno 100 milioni di miglia, ed impiegare almeno tre mesi a passare per
un dato punto parte per parte. Una corrente già così lunga non può agevolmente
credersi prodotto di pochi anni: essa richiede (per quanto la presente
esperienza può farci intendere) almeno secoli per occupare tanta
estensione. Se per esempio si cerca quanto tempo impiegherebbero i due capi
della cometa di Biela, per trovarsi a tre mesi
d’intervallo l’uno dall’altro sulla loro orbita, dal calcolo esposto in
principio di questa lettura si dedurrà facilmente che occorrono per questo 120
rivoluzioni della cometa, cioè quasi 800 anni.
Se poi si riflette, che altre pioggia meteoriche osservate nel 1798, nel 1830, nel
1838, nel 1841, nel 1847, nel 1859, e nel 1867 con maggiore o minor probabilità
si possono riferire anche alla cometa di Biela; che
vi hanno indizii, che la corrente sia multipla, cioè
consti di parecchie spire, come una matassa di filo a più giri: si comprenderà
che il problema è assai meno semplice, di quello che paia a prima giunta: che
la corrente di Biela non è una formazione tanto
recente; e che il pronunziare temerariamente su questa e su altre consimili
questioni non può per ora produr altro frutto, che
una maggior incertezza e confusione d’idee in un argomento già per sè così difficile e così oscuro.
FINE.

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