G. SCHIAPPARELLI
LA VITA
SUL
PIANETA MARTE
Estratto dal fascicolo N.° 11
Anno IV - 1895
della Rivista «Natura ed Arte»
Semel in anno licet
insanire
Il singolar globo di Marte, che sotto più riguardi tanto
rassomiglia al nostro, e nel quale sembrano celarsi così interessanti misteri,
ogni giorno più chiama a sè l'attenzione pubblica, e sempre più è fatto oggetto
di accurati studi e di ardite speculazioni. Esso non è intieramente sconosciuto
ai lettori di Natura ed Arte, i quali ricorderanno senza dubbio la descrizione
accompagnata da disegni, che ne fu pubblicata nei due fascicoli di febbraio
1893. Non senza ammirazione essi han potuto vedere quelle macchie oscure e
quelle regioni più chiare della sua superficie, che si considerano come
rappresentanti mari e continenti; le misteriose linee, dette canali, or
semplici or doppie, che lo solcano per ogni verso in forma di fitto reticolato;
le vicissitudini del clima nei suoi due emisferi; e specialmente le nevi che
biancheggiano intorno ai suoi poli, e con alterna vece crescono e decrescono
secondo le stagioni, nè più nè meno di quello che si osserva nelle regioni
agghiacciate che occupano le zone polari del nostro globo.
Nell'anno decorso 1894 il pianeta essendosi molto avvicinato alla
Terra (siccome suol fare periodicamente ad intervalli di circa 26 mesi), si
trovò a buona portata dei grandi telescopi astronomici; e così fu possibile di
fare alcune osservazioni importanti. Durante l'epoca del massimo avvicinamento
(che fu nei mesi di settembre e di ottobre) la posizione dell'asse di Marte
rispetto al sole, e le stagioni dei suoi emisferi furono press'a poco quelle
che han luogo per la Terra ogni anno durante il mese di gennaio. Per l'emisfero
boreale di Marte era appena passato il solstizio d'inverno; l'emisfero
australe, invece, che si trovava principalmente in vista, era nelle condizioni
atmosferiche che noi esperimentiamo nel mese di luglio, cioè al principio e al
colmo della state. Le regioni polari australi e il polo antartico del pianeta
brillavano nell'illuminazione perpetua; e sotto la sferza incessante del sole
le nevi di quel polo parvero decrescere a colpo d'occhio.
Le prime osservazioni si fecero in Australia alla fine di maggio
col gran telescopio dell'osservatorio di Melbourne, essendo il pianeta ancora a
grande distanza della terra. Il 25 maggio (epoca, che per l'emisfero australe
di Marte corrispondeva press'a poco alla metà della primavera) i ghiacci si
estendevano tutt'intorno al polo australe fino a 67° di latitudine; l'area
nevosa formava una calotta ben terminata e simmetrica di 2800 chilometri di
diametro.
A partir da quel punto fino alla metà d'agosto, per lo spazio di
80 giorni e più, l'orlo circolare della regione nevata andò restringendosi con
molta regolarità, avvicinandosi al polo in ragione di 13 chilometri al giorno:
così che a mezzo agosto il diametro delle nevi da 2800 chilometri si trovò
ridotto a 600. Durante questo intervallo, e precisamente verso la fine di
giugno, si manifestò nella calotta bianca una grande spaccatura, che ne
separava un segmento di considerabile ampiezza. Quest'ultimo scomparve presto,
e non restò che la massa principale, notabilmente diminuita.
Da mezzo agosto alla fine di settembre la diminuzione delle nevi
intieramente si arrestò, quantunque appunto in quell'intervallo avesse luogo il
solstizio australe del pianeta (31 agosto) e con esso la massima irradiazione
del Sole su quelle regioni. Il 24 di settembre l'area circolare nevosa aveva
ancora quasi lo stesso diametro di 600 chilometri, che era stato misurato il 13
di agosto.
La causa sconosciuta, che produsse questo arresto nel ritirarsi
dei ghiacci, parve cessare negli ultimi giorni di settembre; il limite delle
nevi continuò a progredire verso il polo, questa volta in ragione di dieci
chilometri al giorno; e non fini che colla distruzione totale delle nevi
stesse, la quale da diversi osservatori fu assegnata ad epoche alquanto
diverse, ma si può stimare che avesse luogo intorno al 23 ottobre,
coll'incertezza di alcuni giorni in più od in meno. Così rimase il polo
australe di Marte affatto nudo di ghiacci fino a questo giorno in cui scrivo (4
aprile 1895). Nell'intervallo si videro bensì di quando in quando comparire
certe macchie bianche in molta vicinanza del polo; nessuna di queste però è
stata permanente, e si deve credere che rappresentassero nevicate di carattere
locale e transitorio. Quale fortuna sarebbe pei nostri geografi, se un simile
scioglimento completo dei ghiacci si producesse anche una sola volta sopra
ciascuno dei due poli della Terra!
Da che si è incominciato a studiar Marte con qualche attenzione, è
questa la prima volta in cui è accaduto di osservare la completa dissoluzione
delle sue nevi antartiche. Essa si può stimare avvenuta circa 55 giorni dopo il
solstizio australe, cioè dopo l'epoca, in cui la massima intensità della
radiazione solare si fece sentire in quella regione. Nel 1862, trovandosi il
pianeta in una stagione identica, Lassell vide quelle medesime nevi ancora
molto estese: 94 giorni dopo il solstizio australe il loro diametro non era
minore di 500 chilometri. Nell'anno 1880 io le vidi ancora a Brera 144 giorni
dopo il solstizio australe. Possiamo argomentare da questo, che in Marte, come
sulla Terra, il corso delle stagioni non è perfettamente il medesimo in tutti
gli anni, e che si danno colà, come presso di noi, estati più lunghe o più
calde, ed altre più brevi o più fresche.
La rapida fusione di così ingenti quantità di neve non può essere
senza conseguenze sulle condizioni idrografiche del pianeta. Sulla terra la
fusione delle nevi artiche ed antartiche non può essere di molta conseguenza,
prima perchè le aree ghiacciate polari sono ambedue circondate dal medesimo
mare, il quale, se cresce di livello per lo sciogliersi di una parte delle nevi
artiche, d'altrettanto decresce pel contemporaneo coagularsi di nuove nevi
antartiche. Una simil compensazione non può aver luogo su Marte in modo così semplice
od immediato, essendo il maggior mare, che circonda il polo antartico,
intieramente separato da quegli altri mari assai minori o piuttosto laghi, che
stanno vicino al polo artico; siccome si può vedere dando uno sguardo alla
carta di Marte qui unita12. L'equilibrio nelle masse liquide dei due
emisferi può stabilirsi soltanto per mezzo di deflusso attraverso ai continenti
che occupano le regioni intermedie; e questa è la causa per cui all'alternato
coagularsi e dissolversi dello nevi intorno ai due poli sono da attribuire in
gran parte le mutazioni che si osservano nel sistema idraulico del pianeta.
Mutazioni, che ai nostri telescopi son rese manifeste dalla modificata
estensione dei mari, e dalla varietà d'aspetto di quelle strisce oscure che
segnano le zone d'inondazione e di deflusso; le quali pertanto non senza un po'
di ragione furon chiamate canali, quantunque tal nome si debba intendere
in senso assai largo. Piuttosto che veri canali della forma a noi più
familiare, dobbiamo immaginarci depressioni del suolo non molto profonde,
estese in direzione rettilinea per migliaia di chilometri, sopra larghezza di
100, 200 chilometri od anche più. Io ho già fatto notare altra volta, che,
mancando sopra Marte le pioggie, questi canali probabilmente costituiscono il
meccanismo principale, con cui l'acqua (e con essa la vita organica) può
diffondersi sulla superficie asciutta del pianeta. Non è un problema privo
d'interesse quello di rendersi conto del modo, con cui può avvenire una tale
diffusione.
II.
Sulla terra le vicende delle stagioni si corrispondono nei due
emisferi con effetti quasi intieramente simmetrici nella loro alternativa. I
periodi di freddo e di caldo, di siccità e di pioggia si producono con fasi
alternate, ma analoghe, ad intervalli di sei mesi, sotto paralleli di ugual
latitudine ai due lati dell'equatore. Le diversità di clima, che si osservano
in tal caso, sono di carattere puramente locale, dovute per lo più a condizioni
accidentali di natura topografica. Qualche piccola differenza nella
meteorologia dei due emisferi veramente si manifesta a chi consideri le cose
con molta precisione; differenza principalmente derivata da ciò, che
nell'emisfero australe le aree
continentali sono meno estese che nell'emisfero boreale. Ma questo fatto,
quantunque degno di studio per il suo carattere generale, praticamente è di
poca importanza nella considerazione del clima di una data regione australe o
boreale della Terra.
In Marte le cose sembrano proceder molto diversamente. Come
dimostra uno sguardo dato alla carta, tutto o quasi tutto l'Oceano è
concentrato intorno al polo australe, al quale per conseguenza, e alle
circostanti regioni deve corrispondere una vasta depressione nel suolo solido
del pianeta. Al contrario, dall'esser l'emisfero boreale quasi tutto occupato
da un gran continente non interrotto, siamo indotti ragionevolmente a credere,
che da quella parte si abbian le regioni più elevate, e che più alti di tutti
siano i paesi circostanti al polo nord. Questa disposizione di cose fa si, che
lo sciogliersi delle nevi polari può avere, pel clima e per la vita organica,
conseguenze ben diverse, secondo che si tratta delle nevi australi o delle nevi
boreali. È questo un punto, il quale merita di essere esaminato con qualche
cura.
Consideriamo dapprima la calotta dei ghiacci australi, che tutta
si forma entro all'Oceano di Marte, e può giungere ad occupare di questo Oceano
una parte considerabile, forse un terzo od un quarto. Lo sciogliersi
progressivo della medesima avrà per ultimo risultato un innalzamento del
livello generale di tutto l'Oceano, e dei mari interni minori, che lo
circondano come appendici. Tale elevazione potrà bastare ad inondare tutte le
parti più basse dei continenti e specialmente quelle che all'Oceano sono più
vicine. In tale stagione infatti si vedono molto più marcati ed oscuri, non
solo i mani interni segnati col nome di Adriatico, Tirreno, Cimmerio,
Sirenio, ecc.. ma anche gli stretti più o meno spaziosi che li uniscono
all'Oceano, e l'Oceano stesso. I golfi, onde appare frastagliato il continente,
diventano più visibili, e con essi anche taluno dei grandi canali che
dall'Oceano direttamente si spingono entro terra, per esempio la Gran Sirte e
la Nilosirte, che da essa procede. Questa maggior espansione dell'Oceano però
non arriva nelle parti più interne dei continenti e nelle regioni boreali;
impedita a quanto sembra dalla troppo grande elevazione di queste.
L'effetto dello sciogliersi delle nevi australi è dunque di far
uscire il mare dai suoi confini, e di produrre qua e là parziali inondazioni
del medesimo sopra alcuni lembi del continente. Ora è molto dubbio, se un tal
fenomeno possa riuscire di molto vantaggio per la vita organica, e sopratutto
pei supposti abitatori del pianeta. Simili usurpazioni periodiche del mare sul
continente hanno anche luogo presso di noi in conseguenza del flusso e del
riflusso: e, quantunque siano di periodo breve e si facciano su piccolissima
scala, non credo si possano considerare come una benedizione pei paesi dove si
producono (Olanda, Frisia, litorale nord-ovest della Germania): vediamo anzi
gli abitanti tentare di difendersene con immense dighe. Per Marte molto
dipenderà dalla natura chimica delle sostanze disciolte nell'Oceano. Se, per
esempio, quelle acque fossero salate come quelle dei mari terrestri, la zona
delle aree invase dal mare ad ogni ritorno dell'estate (che si fa su Marte a
periodi di 23 mesi circa dei nostri) potrebbe servire alla formazione di vaste
saline, o dar luogo a vegetazioni di carattere speciale. In nessun caso
potrebbero quelle acquo supplire alla coltivazione delle aree continentali, ed
ai bisogni dell'agricoltura quale noi l'intendiamo.
Ben diverso è lo stato di cose che ci si presenta allo sciogliersi
delle nevi boreali. Essendo queste collocate nel centro del continente, le
masse liquide prodotte dalla liquefazione si diffondono sulla circonferenza
della regione nevata, convertendo in mare temporaneo una larga zona del terreno
circostante; e, correndo verso le regioni più basse, producono una gigantesca
inondazione molto bene osservabile ai nostri telescopi. Tale inondazione si
estende per molte e grosse ramificazioni sopra terre prima asciutte, formando
presso il polo nord laghi molto estesi, che la carta nostra designa sotto i
nomi di Mare Acidalio e di Lago Iperboreo. Da tal regione
inondata si diramano grosse strisce oscure, rappresentanti al nostro sguardo
altrettante larghe correnti, per le quali le nevi liquefatte ritornano, o
tendono almeno a ritornare verso la loro sede naturale che sta nell'altro
emisfero, cioè verso le bassure australi occupate dall'Oceano.
Riflettiamo ora, che la neve è il prodotto di una distillazione
atmosferica, nella quale l'acqua si riduce alla purezza quasi completa. Se ciò
non fosse, l'evaporazione dei nostri mari condurrebbe alla formazione di
pioggie d'acqua salata, e di nevi salate; dove tutti sanno, che l'acqua piovana
caduta a traverso di una atmosfera non inquinata è acqua quasi assolutamente
pura, come assolutamente pura o quasi è l'acqua delle nostre nevi. Adunque la
grande inondazione boreale di Marte, risultando dallo scioglimento di nevi
cadute in terreno prima asciutto, e non essendo mescolata alle acque di un
Oceano, sarà libera da quei sali e da quelle mescolanze, da cui non si può
dubitare che sia inquinato l'Oceano australe del pianeta. Ne possiamo
concludere, che se nelle parti asciutte o continentali della superficie di
Marte vi è vita organica, gli è esclusivamente o quasi esclusivamente allo
sciogliersi delle nevi boreali che deve la sua esistenza: gli è dalla giusta e
opportuna ripartizione delle acque venenti dal polo nord, che dipende il suo
progresso e il suo sviluppo. E se in Marte esiste una popolazione di esseri
ragionevoli capace di vincere la Natura e di costringerla a servire ai propri
intenti, la regolata distribuzione di quelle acque sopra le regioni atte a
coltura deve costituire il problema principale e la continua preoccupazione
degli ingegneri e degli statisti.
III.
Fino a questo punto abbiam potuto arrivare, combinando il
risultato delle osservazioni telescopiche con probabili deduzioni tratte da
principi conosciuti della Fisica, e da plausibili analogie. Concediamo ora alla
fantasia un più libero volo; sempre appoggiati, per quanto è concesso, al
fondamento sicuro dell'osservazione e del ragionamento, tentiamo di renderci
conto del modo, con cui sarebbe possibile in Marte l'esistenza e lo sviluppo di
una popolazione d'esseri intelligenti, dotati di qualità e soggetti a necessità
non troppo diverse dalle nostre: e sotto quali condizioni si potrebbe
ammettere, che i fenomeni dei così detti canali e delle loro geminazioni
possano rappresentare il lavoro di una simil popolazione. Ciò che diremo non
avrà il valore di un risultato scientifico, ed anzi confinerà in parte col
romanzo. Ma le probabilità a cui per tal modo arriveremo non saranno minori che
per tanti altri romanzi più audaci e meno innocui, che sotto il sacro nome di
scienza si stampano nei libri e si predicano nelle assemblee e nelle Università.
Comparando il globo della Terra con quello di Marte sotto il
rispetto della loro costituzione meteorologica ed idrografica, subito ci appare
manifesto, dalle cose dette di sopra, quanto il primo dei due sia meglio
disposto per accogliere la vita organica e per favorirne lo sviluppo nelle sue
forme superiori. Ai fortunati terricoli l'acqua fecondatrice è distribuita
gratuitamente dalla periodica e regolare operazione del gran meccanismo
atmosferico. Piove sui nostri campi senza alcun nostro merito: per noi, senza
alcuna nostra fatica si condensa sulle montagne il liquido prezioso, che per
mezzo dei ruscelli e dei fiumi può in molti modi esser rivolto a nostro
vantaggio, coll'irrigazione, colla navigazione interna, colle macchine
idrauliche: e senza di questo dono, che sarebbe il genere umano? Assai più dure
condizioni di esistenza ha fatto la Natura ai poveri Marziali. Dove rare sono
le nuvole e mille le pioggie, ivi mancano certamente le fonti ed i corsi
d'acqua13. Tutto per loro sembra dipendere, come già si è accennato,
dalla grande inondazione prodotta nello sciogliersi delle nevi polari boreali.
La loro conservazione o la loro prosperità richiede ad ogni costo, che siano
arrestate nella maggior quantità possibile, e trattenute per tutto il tempo
necessario quelle acque, prima che vadano a perdersi nel mare australe; che se
ne approfitti nel modo più efficace alla coltura di aree abbastanza vaste per
assicurare durante un intero anno Marziale (23 mesi nostri) l'esistenza di
tutto ciò che vive sul pianeta. Problema forse non tanto facile e non tanto
semplice! perchè la somma di acqua disponibile è al più quella che hanno
formato le nevi boreali d'una sola invernata; quantità certamente assai grande,
la quale però, ripartita sopra tutti i continenti, potrebbe presto diventare
insufficiente, anche non tenendo conto delle perdite inevitabili per
evaporazione, filtrazione, errori di distribuzione, ecc.
Bastan questi riflessi a persuaderci, che le molte strisce oscure,
onde il pianeta è solcato per ogni verso, larghe talvolta quanto il Mar
Adriatico od il Mar Rosso e quasi sempre assai più lunghe, non possono,
malgrado il nome da noi loro assegnato di canali, rappresentare nella
loro vera larghezza arterie di deflusso delle acque boreali. Se tali fossero,
basterebbero a dar passo in poche ore a tutta quanta la grande inondazione. Non
solo le acque non potrebbero esser impiegate a colture che richiedessero la
durata di alcuni mesi, ma giungerebbero al mare e vi si perderebbero prima che
un vantaggio qualunque se ne potesse trarre. Certo per le vie segnate da quelle
strisce ha luogo un deflusso, ma non tutte intiere quelle strisce servono al
deflusso. La loro larghezza è per tale scopo eccessiva, nè a questo scopo
corrisponde bene il loro variabile aspetto, e la loro geminazione. Ciò che noi
vediamo là, o che finora abbiam chiamati canali, non sono larghissimi
corsi d'acqua, come da alcuno fu creduto. L'ipotesi più plausibile è quella di
considerarle come zone di vegetazione, estese a destra e a sinistra dei
veri canali, i quali esistono sì lungo le medesime linee, ma non sono
abbastanza larghi da poter esser veduti dalla Terra14. Queste zone di
vegetazione facilmente si distaccano sulle circostanti regioni del pianeta per un
colore più cupo, dovuto, com'è da credere, al fatto stesso dell'inaffiatura (si
sa che il terreno bagnato è di color più oscuro che l'asciutto e disseccato dal
sole) e anche in parte senza dubbio alla presenza stessa della vegetazione;
mentre per le aree aride e condannate a perpetua sterilità rimane invariato il
color giallo uniforme che predomina su tutti i continenti. Questo colore
dobbiamo d'or innanzi considerare come rappresentante il deserto puro ed
assoluto; e pur troppo si può far stima, che i nove decimi della superficie
continentale di Marte ad esso appartengano.
Proseguendo nelle nostre deduzioni arriveremo a comprendere senza
difficoltà, che, regnando in Marte il potere della gravità, quantunque in
misura assai minore che sulla Terra15, i liquidi diffusi alla
superficie del pianeta tenderanno a scendere ai luoghi più bassi; e che le zone
oscure destinate alla vegetazione saranno più basse delle aree luminose
circostanti, in cui l'acqua non può penetrare. Quello pertanto che a noi appare
sotto aspetto di striscia oscura, e che da tutti finora si è chiamato canale,
sarà un grande avvallamento della superficie, esteso secondo la linea retta o
secondo il circolo massimo, sopra larghezze e lunghezze comparabili a quelle
del Mar Rosso. D'or innanzi daremo ad esso il nome più proprio di valle.
La larghezza di una tal valle è in tutti i casi presso che uniforme, e tale
dobbiamo credere ne sia pure la profondità, che diverse ragioni c'inducono a
credere molto piccola, e certamente poi molte volte minore della larghezza.
L'osservazione ci accerta che una tal valle fa sempre capo co' suoi estremi o
ad un mare, o ad un lago, o ad un'altra valle consimile. E poichè il color
oscuro, effetto della vegetazione e dell'irrigazione, ne occupa tutta l'apparente
larghezza, dobbiamo ritenere, che i due pendii laterali siano accessibili alle
acque tanto bene quanto il fondo. Quale poi sia stata l'origine di tali valli
così numerose ed intrecciate, come si vede sulla carta, non è ora opportuno
discutere; però l'enorme loro larghezza non ci dà confidenza di soscrivere
all'opinione di coloro, che le credono prodotto di uno scavo artificiale.
La mente nostra non è avvezza a concepire tali grandiose opere
come effetto di potenze comparabili a quella dell'uomo. Quando però dalla
considerazione generale di questi fatti si scende allo studio minuto dei loro
particolari, e sopratutto si ferma l'attenzione sopra le misteriose geminazioni
e sulla straordinaria regolarità di forma ch'esse presentano, l'idea che
qualche parte almeno secondaria vi possa avere una razza di esseri intelligenti
non può esser considerata come intieramente assurda. Anzi, al punto in cui
siamo giunti, e data la verità delle cose sin qui esposte, tale supposizione
perde quel carattere d'audacia che ci spaventava da principio, e diventa quasi
una conseguenza necessaria.
Poniamo infatti per un momento, che lassù tutto si faccia per
conseguenza cieca di leggi fisiche, senza intervento alcuno di mente direttiva.
Le nevi del polo boreale, a misura che saranno disciolte, correranno all'Oceano
seguendo le ampie valli, che loro offrono la strada più facile. Se il fondo
delle valli è concavo (come nella maggior parte delle nostre), l'acqua vi si
riunirà in una corrente di larghezza molto limitata, e non potrà occupare i
pendii laterali, nè produrre sopra di essi l'innaffiamento e le vegetazioni che
soli possono renderli a noi visibili. Il corso d'acqua o canale esisterà, ma
difficilmente prenderà tale ampiezza.da rendersi sensibile al telescopio.
Insomma noi non ne vedremmo nulla. Perchè l'acqua e la vegetazione potessero
espandersi sopra larghezze di 100 e 200 chilometri, bisognerebbe che il fondo
della valle fosse piano e quasi assolutamente uniforme. Avremo allora qualche
cosa di simile ad un vasto impaludamento, nel quale potrebbero ottimamente
svolgersi una flora ed una fauna somiglianti a quelle della nostra epoca
carbonifera. Con tali ipotesi è possibile renderci conto delle strisce oscure
semplici; rimane però inesplicato il fenomeno della loro temporanea geminazione.
Non si riesce a comprendere perchè in una medesima valle l'innaffiamento e la
vegetazione si faccian talvolta sopra una linea unica, tal'altra invece si
dividano sopra due linee parallele di larghezza e d'intervallo non sempre
eguale in ogni tempo, tra le quali resta uno spazio infecondo o almeno non
irrigato. Qui la supposizione di un intervento intelligente è più che mai
indicata. E il modo di questo intervento dev'esser determinato dalle condizioni
particolari fatte dalla natura ai supposti abitatori del pianeta.
Ora prego il lettore di considerare l'annessa figura, nella quale
si è inteso di rappresentare il taglio o sezione traversale di una delle larghe
valli di Marte. In A A sono le sponde della valle, in B il suo fondo. Se al
giungere delle inondazioni s'immettesse l'acqua nella valle senza altro
apparato, essa si raccoglierebbe tutta al fondo sotto forma di un gran fiume in
quantità probabilmente eccessiva, mentre i pendii laterali rimarrebbero
asciutti. Per dare a tutta la valle la irrigazione necessaria così in quantità
come in durata, i nostri ingegneri avrebbero scavato (e così dobbiam supporre
abbiano fatto anche gl'ingegneri di Marte) a diverse altezze sui due pendii una
serie di canali paralleli fra loro e paralleli alle sponde della valle; canali
di dimensioni comparabili alla nostra Muzza, al Canale Cavour, al gran Canale
del Gange16. Simili canali, di cui non è necessario qui precisare il
numero, sono rappresentati sulla figura dallo incavature segnate colle lettere m,
n, p... Fra due canali contigui il terreno segue il pendio naturale verso
l'asse della valle, in modo che l'acqua da un canale più alto (come quello
segnato m) possa arrivare a quello che gli sta sotto (come quello
segnato n) espandendosi gradatamente su tutta la zona coltivata
intermedia m n. I due canali più bassi serviranno ad irrigare la zona
più bassa di coltivazione, che occupa il fondo della valle. All'estremità
boreale di questa stanno i robusti argini, che trattengono entro i dovuti
limiti, e fino al tempo opportuno, le acque della grande inondazione; ivi si
chiudono e si aprono le porte d'afflusso: mentre per l'estremità australe e più
bassa accadrà l'uscita delle acque residue, che vanno a raccogliersi
nell'Oceano australe.
Già si è accennato, che la copia d'acque provenienti dalle nevi di
una sola invernata sembra piuttosto inferiore che superiore ai bisogni
dell'irrigazione; la poca area delle superficie coltivate in confronto colle
deserte favorisce questa conclusione. L'apertura dei canali e l'immissione
delle acque nelle campagne di una data valle non si potranno quindi fare a
caso, ma dovranno succedersi con certa regola, onde tutte le zone, anche le più
alte, possano ricevere il fluido benefico e conservarlo per tanto tempo, quanto
ne richiede il ciclo vegetativo delle colture adottate. Male si provvederebbe a
questo, se, per esempio, prima che la grande inondazione sia giunta al colmo,
si cominciasse a consumar l'acqua per uso delle zone più basse: perchè in tal
modo potrebbe avvenire che l'inondazione non raggiungesse il livello necessario
per irrigare le zone più alte. Queste ultime pertanto dovranno avere la
precedenza in ogni caso.
Così stando dunque disposte le cose; essendo giunta l'estate
dell'emisfero Nord, e la grande inondazione boreale essendo arrivata alla
massima altezza; il Gran Prefetto dell'Agricoltura ordina che si apran le
chiuse più alte, e che sia immessa l'acqua nei due canali più elevati a destra
e a sinistra della valle (segnati colle lettere m m' nella figura qui
sopra). L'irrigazione si estenderà sopra le due zone laterali più alte (cioè mn
m'n'); la superficie della valle cambierà colore in queste due zone,
l'abitante della Terra vedrà due strisce parallele colorate, cioè una geminazione.
Trascorso il tempo sufficiente per assicurare il completo ciclo vegetativo in
quelle due prime zone, e la grande inondazione boreale essendo già in sul
decrescere, si aprono le chiuse conducenti a due canali più bassi n n',
i quali frattanto avranno ricevuto anche i residui delle due zone già irrigate.
Così sarà aperta alle acque la via per fecondare due altre zone fra loro
parallele, np n'p' le quali a loro volta diventeranno visibili
all'osservatore terrestre. A quest'ultimo la geminazione sembrerà or composta
di due linee più larghe, l'una proveniente dall'insieme delle due zone irrigate
di destra, l'altra dall'insieme delle due zone irrigate di sinistra. Ma col
cessare della vegetazione nelle zone più alte, mn m'n', queste
riprenderanno il loro colore primitivo, e cesseranno d'esser visibili; onde a
un dato momento nel telescopio non si vedranno che le sole zone np n'p'
più interne; la geminazione sarà di nuovo composta di due linee sottili, ma
l'intervallo fra queste sarà minore di quanto fosse in principio, quando erano
irrigate le sole zone mn m'n'. Così di grado in grado, abbassandosi le
acque della grande inondazione, si passerà ad irrigare zone sempre più basse;
da ultimo, esaurite ormai quelle acque, se ne profitterà per immetterle nella
zona che forma il fondo della valle, cioè nell'intervallo rappresentato con pp'.
Allo spettatore terrestre apparirà una striscia sola; la geminazione avrà
cessato di esistere. E quando il ciclo vegetativo sarà compiuto su tutte le
zone della valle, allora soltanto si potranno aprire le porte inferiori per
lasciare l'uscita alle acque residue, non senza prima aver riempito i vasti
serbatoi necessari all'uso quotidiano di quegli abitanti, e alla coltura dei
giardini durante l'intervallo della lunga siccità. Dell'irrigazione avvenuta
non rimarrà che qualche traccia accidentale, il terreno ritornerà arido, e
l'osservatore terrestre o non vedrà più affatto la valle, o appena ne
discernerà qualche lieve indizio.
Questo piano d'operazioni, che io ho descritto qui per fissare le
idee su di un caso concreto, non sarà probabilmente il solo ad esser praticato.
Non è necessario che l'ordine d'irrigazione delle successive zone sia sempre ed
ovunque così completo e così regolare. Se, per esempio per le colture di Marte
fosse necessaria la pratica del maggese, qualche zona dovrebbe esser lasciata
senza irrigazione. A norma poi delle diverse specie di coltura dovendo
l'irrigazione esser più lunga o più breve, non si avrà sempre la completa
simmetria sui due pendii della valle; ma potrà tale irrigazione esser più estesa
e più durevole or da una parte or dall'altra, od anche da una parte mancar
totalmente. E sul fondo della valle, che sarebbe il luogo più opportuno per
boschi, si cercherebbe di mantenere l'umidità per il tempo più lungo che sia
possibile. Così potrebbe anche nascere una zona permanente di vegetazione,
sempre più o meno osservabile dai telescopi terrestri. In tal modo senza
supporre cose miracolose e senza vagare all'impazzata nei campi dell'ignoto,
con sobrio uso d'analogie e con plausibili deduzioni, possiamo spiegarci non
solo la varia lunghezza e il vario aspetto sotto cui ci appaiono i così detti canali,
cioè le valli coltivate di Marte; ma ancora dalle necessità pratiche della vita
degl'ipotetici suoi abitanti possiamo dedurre e l'esistenza delle geminazioni,
e la varia larghezza delle linee che le compongono, le mutazioni del loro
intervallo. E si riesce a comprendere perchè le strisce, dette canali,
qualche volta sembrano portarsi più verso destra, e qualche altra volta più
verso sinistra, sempre conservando il medesimo orientamento.
Ammesse le linee principali del nostro quadro, non sarà difficile
il compierlo nei particolari, e disegnare coll'immaginazione i grandiosi argini
necessari per contenere nei giusti limiti l'inondazione boreale; i laghi o serbatoi
secondari di distribuzione, necessari per dare le acque a quelle valli, che non
fanno capo direttamente a quella inondazione; le opere occorrenti per regolare
la distribuzione secondo il tempo e secondo il luogo; i canali di primo,
secondo, terzo... ordine destinati a condurre le acque su tutto il terreno
irrigabile; i numerosi opifici, a cui le acque potranno dar moto nel loro
scendere dai ciglioni laterali della valle al fondo della medesima. Marte
dev'esser certamente il paradiso degli idraulici!
E passando ad un ordine più elevato d'idee, interessante sarà
ricercare qual forma d'ordinamento sociale sia più conveniente ad un tale stato
di cose, quale abbiamo descritto; se l'intreccio, anzi la comunità d'interessi,
onde son fra loro inevitabilmente legati gli abitanti d'ogni valle, non rendano
qui assai più pratica e più opportuna, che sulla Terra non sia, l'istituzione
del socialismo collettivo, formando di ciascuna valle e dei suoi abitanti
qualche cosa di simile ad un colossale falanstero, per cui Marte potrebbe
diventare anche il paradiso dei socialisti. Bello altresì sarà indagare, se sia
meglio ordinar politicamente il pianeta in una gran federazione, di cui ogni
valle costituisca uno stato indipendente, oppure se forse, a reggere quel grande
organismo idraulico da cui dipende la vita di tutti, e a conciliare le diverse
necessità delle diverse valli, non sia forse più opportuna la monarchia
universale di Dante. Ed ancora si potrà discutere, a quale rigorosa logica
dovrà essere subordinata la legislazione destinata a regolare un così
grandioso, vario e complicato complesso d'affari: quali progressi debbano aver
fatto colà la Matematica, la Meteorologia, la Fisica, l'Idraulica e l'arte
delle costruzioni, per arrivare alla soluzione dei problemi estremamente
difficili e varii, che si presentano ad ogni tratto. Qual singolare disciplina,
concordia, osservanza dello leggi e dei diritti altrui debba regnare sopra un
pianeta, dove la salute di ciascuno è così intimamente legata alla salute di
tutti; dove son certamente sconosciuti i dissidii internazionali e le guerre:
dove quella somma ingente di studio e di lavoro e di mezzi, che i pazzi
abitanti d'un altro globo vicino consumano nel nuocersi reciprocamente, è tutta
rivolta a combattere il comune nemico, cioè le difficoltà che l'avara Natura
oppone ad ogni passo.
Di tutto questo, o caro lettore, lascio a te l'ulteriore
considerazione. Io scendo dall'Ippogrifo; tu, se ti aggrada, puoi continuare la
volata. Messo t'ho innanzi, omai per te ti ciba.
G. Schiaparelli.
|