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Aleardo Aleardi
Canti

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  • I TRE FIUMI
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I TRE FIUMI

 

 

«Admonet et magna testatur voce per umbras»

 

 

A GIULIO CARCANO

 

I.

 

            Di notte in su la sponda

Del Tevere deserto

Sedea mirando ascendere la bionda

Luna dietro i vapor de le maremme:

E come più salía

Per l’arco immenso de la eterna via

Farsi d’argento, tal che infin parea

Un fiore di ninfea

Per quelle intermìnate onde azzurrine

Guidato da correnti

Misterïose. Il lume

Latteo pioveva su le lunghe righe

De gli acquidotti, e sulla

Immensità de la campagna brulla.

I silenzi rompea

Talora un qualche sibilo lontano,

Al qual più lunge un altro rispondea,

E un frullo d’ale, e strani tonfi, e i mille

Indistinti sospiri, onde s’informa

La paurosa vita de la notte,

Che veglia e par che dorma.

Ed io pensava a la mia terra, e al molto

Nobil sangue versato oh! non indarno;

Ed or volgea lo sguardo

Al maestoso e tardo

Inceder de la luna, ed ora al teschio

D’una povera brenna,

Quivi da le sgonfiate onde deposta

Su le sabbie lucenti:

Certo morta di stenti,

Certo in parte simile al popol mio.

O popol mio, tu fosti

Tremendo un giorno corridor di guerra:

Lo sa tutta la terra:

Ed or ti veggo trascinar le barche,

Logore dei potenti,

E de la ripa insanguinar passando

I triboli pungenti!

E mesta in quella notte

Era l’anima mia. Quando un’arcana

Voce mi parve uscir da la campagna,

Che dicesse: «Poeta, a che ti stai?

Questo è l’antico e sacro

Fiume degli avi tuoi, l’onda lustrale

Che mormora per mezzo a le ruine

De le genti latine:

È il fiume d’un’Italia

Da mille anni sepolta:

Già non è questa l’onda,

Che l’ardore quïeti alla sdegnosa

Tua Musa sitibonda.» 

 

II

 

            E raccolto il bordon del pellegrino,

Tacito e solo mi riposi in via

Seguendo l’Appennino,

Infin che trafelato

Al piè m’assisi de l’eroica torre

Del mio bel San Miniato.

E il cadea. Lunghissima l’ombría

Dei platani listava e dei castani

I prati suburbani;

Nuvole d’amaranto e di vïola

Tingeano il cielo di ponente, e il sole

Che a splendere su terre altre sorgea,

Come orifiamma viva,

Discendere parea

Sul paese di Francia, ove già tante

Illusïoni dileguar tradite,

E tanta vanità d’itala spene,

Onde poi ribadite

Fûr le vecchie catene,

E fuor da molte cittadine mura

Ripullulò l’amaro

Albero de le forche, e la sventura.

Ed io mirava al verde

Serpeggiar de la guelfa onda dell’Arno

Cupidamente; e gli estri

Amabili dell’arte a me nel core

Da quella rifluían valle di grazie,

Quando rivolto in parte ove la sera

D’ombre copría l’austera

Chiesa di Santa Croce,

Veder mi parve rïuscir da quelle

Sepolture di genî

Un tremolío di fulgide fiammelle,

Che valicando i limpidi sereni

Quetâro in cielo e tramutârsi in stelle.

Ma al tocco vespertin de la campana

Che geme irrequïeta

Limosinando carità di preci,

Di nuovo udii l’arcana

Voce che disse: «A che ti stai poeta?

È quello il rïottoso

Fiume de’ padri tuoi,

Il fiume d’un’Italia

Già tramontata. Oh! non è dessa l’onda

Che l’ardore quïeti a la sdegnosa

Tua Musa sitibonda

 

III.

 

            E ripreso il bordon del pellegrino,

Franco e spedito mi riposi in via

Stimolando il cammino

Con l’agitata e memore armonia

Di liberal canzone; infin che giunsi

A le rive del Po. Volgeva a mezzo

Già l’ora antelucana.

Per l’ampia solitudine dei cieli

La costellata Capra

Scoccava iridi e lampi;

Per l’ampia solitudine dei campi

Scoccava l’usignolo

Le melodie dai pioppi. Era una festa

Placida per lo cielo e per le valli

Eridanine. E pur venía sull’aure

Un suono remotissimo e sinistro;

E ti pareano squadre

Di fuggenti cavalli

Ed inseguiti: un fervido di brandi

Percuotere selvaggio;

Un urlo di comandi

In barbaro liguaggio;

E via per la solinga

Buia pianura, il moribondo strido

D’un’aquila raminga.

Ma già, su l’immortal neve del Rosa

La nova aurora si pingea vermiglia,

Gentile inizio di splendor che invita

Ogni mattino all’opre la famiglia

Magnanima dei Sardi;

E l’altra accanto e indarno disunita

Progenie dei Lombardi.

E un murmure di vita

Cominciava a salir; quando l’arcana

Voce di pria mi disse:

«Esulta, o mio poeta,

È questo il fiume de’ tuoi figli, il fiume

D’un’Italia ventura ed imminente,

A cui tra poco tingerà le spume

Il vivo sangue di nemica gente:

Abbevera a quest’ onda

La Musa sitibonda

 

Sant’ Ambrogio, 20 novembre 1857

 




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