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Aleardo Aleardi Canti IntraText CT - Lettura del testo |
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LE CITTÀ ITALIANE MARINARE E COMMERCIANTI. CANZONE LE CITTÀ ITALIANE MARINARE E COMMERCIANTI
I.
«Italia, Italia,» urlarono con cento Lingue diverse e ignote Da le guerriere oscurità profonde De le runiche selve, e da le tetre Dell’Asia boreal steppe remote, Un giorno di spavento Genti camuse da le chiome bionde: E all’ombra di fatidiche betulle Ispirate lanciâr verbi di foco Druïdiche fanciulle A rovesciar sul designato loco Quelle plebi di cupidi credenti; Perocchè su la terra itala Dio Rendere allor dovea Una grande giustizia ed aspettata 2 D’una potente Rea Giunta al soverchio de le sue peccata Arrotâr le bipenni, e sui cavalli Selvatici balzarono que’ torvi Carnefici; e varcâr montagne e valli Dritti vêr l’Alpe, col funereo istinto D’un nuvolo di corvi Ch’abbia fiutato un triduano estinto Ed ella si sedea la moritura Imperadrice, d’orgie insazïata E imprevidente; e l’ultima libava Stilla del suo falerno In una coppa d’attica fattura Che le porgea con fina aria di scherno Bellissima una schiava. Ma le fûr sopra quei feroci, e il petto Le piagarono e il fianco, Infin che venne manco, E giacque. La Penisola fatale Si converse in un lungo ordin di tombe Da gli stranier vegliate; e fu divisa La veste dell’uccisa. Ma i rapitor contesero su l’urne Con rabbie dïuturne Düellando, e la truce Lancia cognata si vibrar nel core: E a la corusca luce De le cittadi in fiamme, elli di rossa Stroscia rigaron la romana fossa; Così che più fecondi Per le stragi dei nomadi assassini Riser di mèssi i piani eridanini: E più di pria giocondi V’imporporaste al sangue dei nemici, Tumidi grappi de le mie pendici.
II.
Ma sull’itala tomba il benedetto Patibolo sorgeva Del Nazzareno a mallevar che un giorno I sepolti laggiù risorgeranno; E così fu. Rïanimato ergeva Dal lungo e infame letto La patria il capo: e si guatò dintorno. Non più scettro; non più schiavi; spariti, E spariti per sempre. Uno spiro novel di libertade Aleggiava pei liti, Per l’erte piazze e per le torte strade Fortificando le virili tempre. Da per tutto di scuri e di martelli Una ressa operosa Mista d’allegro favellío risuona, Senza tregua nè posa, De le sue coste per l’immensa zona: È un percoter d’accétte entro i pineti Al favor degl’inerti anni cresciuti; Un nuotar di fanciulli irrequïeti, Sfidando i gorghi; un tessere di vele; Un fervere d’irsuti Polsi a temprarsi l’àncora fedele. E in quell’april di civiltà foriero, Sopra l’azzurro de le tre marine Guizzar si vider, come avesser penne: Navigli a cento a cento, Superbi di domestiche bandiere Che ondoleggiavan nobilmente al vento Su le libere antenne. Partían gli audaci, e ripetean le rive De’ naviganti il canto E de le donne il pianto. Cotal l’itala vergine apparía Ringiovanita per la terza volta: 3 Patrizia impareggiabile cadea, E si levò plebea: Discesa imperadrice entro la bara, Risorse marinara, Che splendida di maglie Corse l’oceano, come in pria la terra, A commerci, a battaglie; E se lo scettro avito avea perduto, Fe’ del remo uno scettro, e fu temuto. Dall’aquila latina Sorse un Lïon con l’ale, e il suo ruggito L’Orïente contenne impaurito: 4 Cadde Marte in ruina, E da la rada ove Colombo nacque, Volò san Giorgio a cavalcar su l’acque.
III.
Veleggiando venía verso Aquilea 5 Un dì l’Evangelista Cui s’accompagna il re de le foreste, Quando il nocchiero improvvido dall’ôra Sospinto, in grembo d’una pigra e trista Laguna si perdea Tra un labirinto d’isolette meste. All’appressarsi del naviglio sacro, Unico abitatore, Volando emerse di colimbi un nembo Dal turbato lavacro. Il Pio guardò quell’isole dal lembo De la sua poppa lungamente. In core Gli sfolgorò del vaticinio il lampo; E profetò, che un giorno Tra quella d’acque squallida vallea, In trïonfal ritorno All’avello condotto esser dovea. E come ei tacque, su le canne apparve Lo spettro d’una chiesa bizantina, Che tremolò per l’etere, e disparve; E d’eco in eco per lo tacito arco Dell’adriaca marina Grido immenso volò“: «Viva san Marco!” Sì, laggiù poserai, ma sotto l’ale D’un padiglion di cupole dorate; Laggiù, o celeste, poserai, ma cinto Da selva di lucenti Colonne, e sul tuo portico regale Scintilleranno egregi e impazïenti I destrier di Corinto. Al nome tuo, venturo inno di guerra, Da gli antri funerali I lividi corsali 6 Esuleranno: e dai pugnati campi Prigioniere verran di Palestina A riflettersi mille arabe lune Dentro le tue lagune; E su le torri dell’infido Greco Un vecchio ardente e cieco 7 Guiderà la vittoria, A piantar fra i nemici il tuo vessillo Logoro da la gloria. Verranno i re da regïon lontane Le tue belle a sposar repubblicane; 8 E su quella palude D’alighe immonda sorgeran portenti Di templi, di trofei, di monumenti: Da quelle isole nude, Come dal sen di magiche conchiglie, Perle usciranno d’inclite famiglie.
IV.
E sul primo spuntar dell’alba austera Di queste età novelle, Dai meandri partía de’ suoi canali, Sopra dromóni di natio cipresso, 9 E su la tolda de le fuste snelle Venezia mattiniera, Quando ancora dormian le sue rivali. E vêr le plaghe de la bella aurora, Mercadantessa audace, De’ suoi nobili figli ella volgea La venturosa prora Di tesori indovina. E qual riedea Seco recando dall’Indo ferace I profumati balsami che manda L’olibano che piange, O il cortice del cinnamo riciso Ne’ laureti del Gange; Qual le stoffe träea nel paradiso De la vallea di Casimira inteste, O i persici tappeti, e l’auree lane D’Angora, salvi da le ree tempeste De lo Ellesponto, ove sovente il flutto Per cupidigie insane Fu triste di cadaveri e di lutto. Esule da Golconda, dove langue D’amor la baiadera, il dïamante Fea Rïalto brillar del suo splendore; E il nitido rubino, Quasi impietrata gocciola di sangue, Rutilando ridea sul crin corvino De le venete nuore…. Ma all’età dei magnanimi perigli Successero i riposi Degeneri, i fastosi Palagi, l’ozio, i carnovali e il sonno. – Volta anch’ella a Orïente, in quell’istesso Mattin scendea dai pallidi d’ulivi Amalfitani clivi Una gagliarda gioventude: l’arme In su la spalla; il carme In su le labbra; l’onda Di fronte immensa; e la baldanza in core. E intanto la profonda Mente scrivea dei padri una prudente Legge che resse la marina gente; 10 E porgeva ai nocchieri, Per governar dei loro alberi il volo, L’ago fedele nell’amor del polo; 11 Perchè nei tempi neri, Quando notturna infuria la procella, Scusasse il raggio dell’occulta stella.
V.
E tu scendevi, amazzone dell’Arno, Pisa tremenda e bella, Tu pur scendevi a le marine giostre Balzando in cima a le spumanti prue, Come a selvaggi corridori in sella: E valoroso indarno Fu ’l Saraceno, a cui le olenti chiostre Palermitane fulminavi e i chioschi De le Alambre azzurrine. 12 L’oro e le merci di rimote arene S’accumular ne’ toschi Stipi: e al tuo nome l’isole tirrene Servíano, come ninfe ocëanine; 13 E teco le fraterne acque fendea Genova, l’iraconda Ne le cacce del mar säettatrice. Lïonessa dell’onda, Lasciò il teatro de la sua pendice, E le terrazze candide, e i giardini Pensili, e i cedri del natio Bisagno, E tra una selva d’ondeggianti pini Volò a ruggir con la rabbia inumana Del subito guadagno, Fatta al sultano bizantin sultana: 14 E poi che d’oro e di fortuna sazi Ebbe i suoi figli, ai popoli largiva Il mondo americano.… 15 Ahi! scellerate Nipoti di Caïno! Voi che esultaste nei fraterni strazi, Dall’abisso dell’italo destino Vi maledice il vate. Oh Meloria! Meloria! 16 — Allor che in prima Quel tuo passando vidi Cimitero d’Atridi, Sopra il navil che mi traëva, io piansi Una lagrima amara. Era di notte: Un vel copría di languide tenèbre L’isolotto funèbre: Quando m’apparve sovra il bruno mare Un galleggiar di bare; E quinci un uscir d’ombre A pugnare implacabili, e le spiaggie Di cadaveri ingombre, E il flutto che frangevasi a le arene Mandava un suono come di catene…. Ma venner, Pisa, i giorni D’espïazione; ed or le capre l’erba Brucano ne la tua piazza superba; E fin quando t’adorni Tutta di lumi in festa geniale, 17 Rassomigli a una pompa funerale.
VI.
Mentre nell’ombra l’ispide contrade Del fëudal straniero Giaceano avvolte, e pochi vïolenti Spartiansi i campi d’un immenso e scarno Vulgo con la ragion del masnadiero, Col dritto de le spade, Col terror dei patiboli, fiorenti Erano di famose arti le folte Città repubblicane, Come sciame d’industri api ne gli orti Dell’Ausonia raccolte. Ivano ai giuochi de le gaie corti O ai festivi tornei le castellane, Cinte di trina veneta le spalle Eburnee: ivano ai balli, E rifulgean de lo stranier le sale Di veneti cristalli. E felice il guerrier, quando mortale Più la mischia ruggía, se di gagliarda Corazza proteggea gli omeri e il petto Temprata su la incudine lombarda; Chè lui serbava de la sposa al caro Bacio e al materno tetto La fedele virtù di quell’acciaro. Patrizie sete e prezïosi panni, Tinti ne’ rai dell’iride, tesori Fruttâro e glorïosi ozi ed orgoglio A la città del Fiore; Che vide un re degli ultimi Britanni 18 Oro chiedendo al tosco mercatore Tender la man dal soglio. E uno strepito lieto, un lieto fumo Di fervide fucine, Da valli e da colline Salíano al cielo liberale: e parve Fin ne’ placidi chiostri, accompagnata Da l’uniforme suon de la gualchiera Più santa la preghiera; E se invitava a tessere la lana, Più santa la. campana. – 19 Ma facil di codardi Propositi alimento è l’opulenza, Cui più di molli bardi Caro è il vezzo e il vagir che non sul campo L’aspra armonia de le battaglie e il lampo. Il cittadin fiaccato La salvezza fidò dei venerandi Lari al valor di comperati brandi: E dal venal soldato Uscîr le ignavie e ’l tradimento e i roghi Perfidi e il Fato artefice di gioghi. 20
VII.
Vittima illustre di perpetui falli Così da quella estrema Cima scendea la peccatrice e grande Madre degli avi miei novellamente In basso loco. E il vago dïadema Di perle e di coralli Franto cadea. Le nobili ghirlande, Raccolte in dono il dì che venne sposa A le nozze del mare, Sperdea, misera Ofelia, a fiore a fiore Su la via dolorosa: E come ilota fu respinta fuore Dal gran convito de le genti avare. Una schiera di vili anni coperti Di luttuoso velo, Cinti di foglie fracide d’alloro, Sotto l’ausonio cielo Passaron lenti a guisa di mortoro, Ognun recando qualche spenta gloria In silenzio all’avello; e poi che niuna Più ne restava, sin la lor memoria Sommersero nell’onda dell’obblio. E di tanta fortuna Solo rimaser la speranza e Dio!…. E l’Arcadia trillava. Ahi sciagurati Fastasimi di vati! E quella, in tanto Strazio comun, la dolce ora vi parve Da vaneggiar nei folti Boschi per Clori e Fillide? — Dei fati Scherno crudel fu il vostro canto, o stolti Fabbri di vacue larve! E intanto quel gentil popol che corse Marinaro e guerriero Sul gemino emispero, Vedilo là, che asciuga al sol la vela, Quasi mantel di povero, sdrucita; E al remo suda inconscio pescadore, E ignoto vive, e muore Ignoto, e posa nell’umíl sagrato A la sua chiesa allato, Dove appendeva all’are Qualche votiva tavola a Maria…. Ave, Stella del mare! Pei mille templi che da Chioggia a Noto Ti ergea pregando l’italo devoto; Per i lumi modesti Ch’ora ei t’accende ai dì de la procella; Per Raffael che ti pingea sì bella; Tu sì gentil coi mesti, Fa’ che la gloria ancor spunti, o Divina, Sui tre orizzonti de la mia marina.
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1 Monumenti druidici formati di poche e grandi pietre. * Vedi le Note in fine del Canto 2 La dissoluzione dell’imperio di Roma. 3 Italia etrusca, romana, italiana. 4 Leone, insegna di Venezia; San Giorgio, insegna di Genova. 5 Tradizione rirortata dal Sabellico. — Istor. Ven. Dec. 1, Lib. 2. 6 Uscocchi, Dalmati, Liburni. 7 Enrico Dandolo. 8 La Caterina Cornaro, la Bianca Cappello. 9 Navi venete antiche fabbricate coi molti cipressi di cui erano ricche allora l’isolette di Venezia. 10 Legge o Tavola Amalfitana. 11 L’invenzione della Bussola di F. Gioja amalfitano. 12 Guerre contro i Saracini di Sicilia e di Corsica. 13 L’Elba, la Corsica e la Sardegna. 14 Quando era padrona di Pera. 15 Colombo. 16 Piccolo isolotto presso Livorno, dove ebbe luogo una delle più grandi stragi fraterne, che rovinò Pisa, la quale era stata la provocatrice. 17 Nella festa detta la Luminara. 18 Arrigo VI d’Inghilterra che ricevette e non restituì da oltre un milione di fiorini d’oro, per il che fallirono le famiglie fiorentine dei Bardi e dei Peruzzi. Il re però concesse ai Bardi in compenso, che ponessero nella loro Arma un Castello e tre Leoni dorati. 19 Ne’ conventi de’ Frati Umiliani e in altri, dove si esercitava l’arte della lana. 20 Sulla quale opinione leggi Machiavelli. |
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