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Aleardo Aleardi
Canti

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  • LA VALLE DELLA MORTE
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LA VALLE DELLA MORTE

 

NELL’ISOLA DI GIAVA. 1 *

 

 

In un’isola in fondo all’Orïente

            Da quaranta vulcani illuminata

Fra le magiche valli, ond’è ridente,

            V’è una picciola valle avvelenata.

 

Cava, rotonda, senza un filo d’erba

            Da enormi pietre e da paure cinta,

In vetta a un monte, sovra il letto serba

            Sempre un’arena in livido dipinta.

 

Folte allo incontro su gli esterni clivi

            Selve di cocco sorgono e d’allori:

Brucano cervi, cantano giulivi

            Augelli strani in cima a strani fiori.

 

Di fuori è il monte un natural giardino:

            Da le cortecce sudano le manne:

L’aura che spira odor di benzoíno

            Fa dondolare del bambù le canne.

 

Ma su in la valle, come in trista reggia

            Sempre col dardo vigile sull’arco,

Cacciatrice infallibile passeggia

            La morte, e attende gli imprudenti al varco.

 

Le rondinelle che sfilando a nembi

            Riedono a le lor case in Occidente,

Solo che radan di quel loco i lembi,

            Come ferite piombano repente.

 

Vi muor il daino che trapassa a volo,

            Vi muor il seme che vi reca il vento,

D’ossa biancheggia il maladetto suolo,

            L’aura che ne vapora è un tradimento.

 

Ode il fragor de’ sotterranei tuoni,

            E queto pasce il buffalo selvaggio;

Vede le vampe de’ fumanti coni,

            E pasce queto de le lave al raggio:

 

Ma se un alito sol di quella infesta

            Aura lo tocca, esterrefatto mugge,

Agita il pondo de la torva testa,

            Vibra la coda e ruïnando fugge.

 

E pure, Elisa, io so d’un’altra cosa

            Di questa valle ancor più desolata:

Cara di fuori, splendida, festosa;

            Morta di dentro, e come avvelenata.

 

E tu sei quella. Io non ò mai veduto

            Deserto più deserto del tuo cuore,

Come una tomba devastata muto,

            Dove ogni affetto che s’appressa, muore;

 

Sterile camperel sparso di brevi

            Scheletrini d’amori appena nati,

Sparso di spente illusïon, di lievi

            Ali di spemi colte negli agguati;

 

Ei pare un cimitero senza croci.

            Se pur care vi sono le vostre vite,

Da questa valle, trepidi, veloci,

            O giovinetti, fuggite, fuggite.

 

 

IL CANTORE SCHAHKOULI. 2

 

 

Polvere e fumo avvolgon le dugento

            Torri di Bagdad, la città dei Santi:

Per le moschee fischian le fiamme e il vento

            Salgono gli urli de la strage e i pianti

                        Al firmamento.

 

Brilla per tutto la cornuta Luna,

            Fuor che a la Porta ancor de le Tenèbre;

Poi che. tentando l’ultima fortuna,

            Ivi un audace con ardor funèbre

                        Le schiere aduna.

 

Ma la vittoria è omai dell’Ottomano.

            Da la sua tenda che di gemme luce:

«Schiavi, recate di quel reo Persiano

            Qui la testa esecrata,» urla con truce

                        Volto il Sultano.

 

E quel giovine audace era un Cantore

            Celebrato in sul Tigri. «Io voglio, pria

Di morir, presentarmi al vincitore:

            Per me non già, ma per quest’arte mia

                        Che meco muore.»

 

Con disperata man de lo stromento

            Corse le corde in faccia del tiranno,

E cantossi la morte. Era un concento

            Di gemiti, di fremiti; un affanno

                        Senza lamento.

 

Poscia cantò le ceneri e la tomba

            De la sua patria misera, e la valle

Del Tigri schiava. E sibili di fromba

            Quelle note parean; fischi di palle,

                        Squilli di tromba.

 

Intonò alfine l’inno dei redenti:

            Narrò la pace, il rinnovato aprile

Dell’arti, i lieti campi, i monumenti;

            Narrò l’amor, la voluttà gentile

                        D’esser clementi.

 

In quello istante divenuto buono

            Era ogni tristo, e si quetaron l’ire.

Taccion le schiere: dal gemmato trono,

            Sorridendo, al Cantor concede il Sire

                        Vita e perdono.

 

Anch’io ti dissi un giorno, o traditora:

            «Senza di te morrei: oh non lasciarmi

Languir! Oh non voler che meco muora

            Questo che tu mi spiri estro dei carmi,

                        Dolce Signora!»

 

E l’itala cantai buona novella

            Sfidando il palco de l’austriaca gente,

E con l’audacia di canzon ribella

            Le battaglie predissi, e la nascente

                        Itala stella.

 

Ma tu, crudele, arte spregiando e pianto,

            Compisti inesorabile il misfatto;

Tolto al mio cor dell’amor tuo l’incanto,

            Spenti, Sultana, tu volesti a un tratto

                        Cantore e canto.

 




1 La valle che chiamano della Morte Dell’Isola di Giava, dove sono 38 vulcani ardenti, e molti che da un pezzo paiono estinti, à un mezzo miglio di circonferenza all’incirca; è in cima a un colle, ed è una sorgente vulcanica di acido carbonico.



* Vedi le Note, a pag. 220.



2 Il famoso Musico persiano Schahkouli sotto Amurat IV, un de’ più crudeli Neroni ottomani, fu il fortunato protagonista di questo dramma, dopo la presa di Bagdad nel 1638.






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