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Aleardo Aleardi Canti IntraText CT - Lettura del testo |
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LA VALLE DELLA MORTE
In un’isola in fondo all’Orïente Da quaranta vulcani illuminata Fra le magiche valli, ond’è ridente, V’è una picciola valle avvelenata.
Cava, rotonda, senza un filo d’erba Da enormi pietre e da paure cinta, In vetta a un monte, sovra il letto serba Sempre un’arena in livido dipinta.
Folte allo incontro su gli esterni clivi Selve di cocco sorgono e d’allori: Brucano cervi, cantano giulivi Augelli strani in cima a strani fiori.
Di fuori è il monte un natural giardino: Da le cortecce sudano le manne: L’aura che spira odor di benzoíno Fa dondolare del bambù le canne.
Ma su in la valle, come in trista reggia Sempre col dardo vigile sull’arco, Cacciatrice infallibile passeggia La morte, e attende gli imprudenti al varco.
Le rondinelle che sfilando a nembi Riedono a le lor case in Occidente, Solo che radan di quel loco i lembi, Come ferite piombano repente.
Vi muor il daino che trapassa a volo, Vi muor il seme che vi reca il vento, D’ossa biancheggia il maladetto suolo, L’aura che ne vapora è un tradimento.
Ode il fragor de’ sotterranei tuoni, E queto pasce il buffalo selvaggio; Vede le vampe de’ fumanti coni, E pasce queto de le lave al raggio:
Ma se un alito sol di quella infesta Aura lo tocca, esterrefatto mugge, Agita il pondo de la torva testa, Vibra la coda e ruïnando fugge.
E pure, Elisa, io so d’un’altra cosa Di questa valle ancor più desolata: Cara di fuori, splendida, festosa; Morta di dentro, e come avvelenata.
E tu sei quella. Io non ò mai veduto Deserto più deserto del tuo cuore, Come una tomba devastata muto, Dove ogni affetto che s’appressa, muore;
Sterile camperel sparso di brevi Scheletrini d’amori appena nati, Sparso di spente illusïon, di lievi Ali di spemi colte negli agguati;
Ei pare un cimitero senza croci. Se pur care vi sono le vostre vite, Da questa valle, trepidi, veloci, O giovinetti, fuggite, fuggite.
IL CANTORE SCHAHKOULI. 2
Polvere e fumo avvolgon le dugento Torri di Bagdad, la città dei Santi: Per le moschee fischian le fiamme e il vento Salgono gli urli de la strage e i pianti Al firmamento.
Brilla per tutto la cornuta Luna, Fuor che a la Porta ancor de le Tenèbre; Poi che. tentando l’ultima fortuna, Ivi un audace con ardor funèbre Le schiere aduna.
Ma la vittoria è omai dell’Ottomano. Da la sua tenda che di gemme luce: «Schiavi, recate di quel reo Persiano Qui la testa esecrata,» urla con truce Volto il Sultano.
E quel giovine audace era un Cantore Celebrato in sul Tigri. «Io voglio, pria Di morir, presentarmi al vincitore: Per me non già, ma per quest’arte mia Che meco muore.»
Con disperata man de lo stromento Corse le corde in faccia del tiranno, E cantossi la morte. Era un concento Di gemiti, di fremiti; un affanno Senza lamento.
Poscia cantò le ceneri e la tomba De la sua patria misera, e la valle Del Tigri schiava. E sibili di fromba Quelle note parean; fischi di palle, Squilli di tromba.
Intonò alfine l’inno dei redenti: Narrò la pace, il rinnovato aprile Dell’arti, i lieti campi, i monumenti; Narrò l’amor, la voluttà gentile D’esser clementi.
In quello istante divenuto buono Era ogni tristo, e si quetaron l’ire. Taccion le schiere: dal gemmato trono, Sorridendo, al Cantor concede il Sire Vita e perdono.
Anch’io ti dissi un giorno, o traditora: «Senza di te morrei: oh non lasciarmi Languir! Oh non voler che meco muora Questo che tu mi spiri estro dei carmi, Dolce Signora!»
E l’itala cantai buona novella Sfidando il palco de l’austriaca gente, E con l’audacia di canzon ribella Le battaglie predissi, e la nascente Itala stella.
Ma tu, crudele, arte spregiando e pianto, Compisti inesorabile il misfatto; Tolto al mio cor dell’amor tuo l’incanto, Spenti, Sultana, tu volesti a un tratto Cantore e canto.
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1 La valle che chiamano della Morte Dell’Isola di Giava, dove sono 38 vulcani ardenti, e molti che da un pezzo paiono estinti, à un mezzo miglio di circonferenza all’incirca; è in cima a un colle, ed è una sorgente vulcanica di acido carbonico. * Vedi le Note, a pag. 220. 2 Il famoso Musico persiano Schahkouli sotto Amurat IV, un de’ più crudeli Neroni ottomani, fu il fortunato protagonista di questo dramma, dopo la presa di Bagdad nel 1638. |
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