Capitolo Quarto
In antiquis est
sapientia et in multo
tempore prudentia.
Giobbe, 12
La vie de l'esprit
se fait voir (dans la vieillesse) sous un autre aspect, sans interrompre son
acti-vité; il y a transformation, il n'y a point détérioration. Si des pertes
ont lieu, on a fait aussi des conquétes... En pesant, en estimant les résultats
avec sincérité, peut étre trouvera-t-on, en effet, que la vieillesse a plus
gagné que perdu.
Reveillé-Parise
Si crede da molti che il
vecchio, come è debole alla corsa e al
salto, lo sia anche nel pensiero. Si crede che egli sia un invalido dell'intelligenza; che da lui non si
possa aspettar più nulla che possa illustrar l'arte, le lettere o la scienza;
che non si possa, né si debba esiger
più nulla da un cervello smemorato, stracco; per poco non so dire, da
una mente imbecille.
E si cita il grande Lucrezio:
Post ubi jam validis quassatum viribus oevi
Corpus et obtusis ceciderunt viribus artus,
Claudicat ingenium,
delirai' lingua que, mensque:
Omnia deficiunt, atque uno tempore desunt 1.
Lucrezio in questi versi
ci dipinge il vecchio decrepito, non il vecchio fisiologico, e alla
citazione pessimista del gran poeta latino
io potrei contrapporre una pleiade gloriosa di vecchi, che sull'orlo della fossa continuarono ad onorare l'umano pensiero.
Potrei citare Tiziano, che
a novantanove anni dipinge ancora quadri stupendi.
E Michelangelo ottuagenario, che fino alla morte merita il
battesimo di divino.
E l'altro divo dell'antichità,
Platone. E Lesage, che termina il suo
immortale Gil Blas a
sessantasette anni.
E Lafontaine, che a sessant'anni pubblica la seconda raccolta delle sue Favole.
E Goethe, olimpico sempre anche dopo gli ottant'anni.
E quel vulcano di spirito e di arguzie che è il Voltaire il
cui ingegno non invecchiò mai.
E Humboldt, che presso i
novant'anni scrive il quarto volume del suo Cosmos.
E Fontenelle e Chevreul, centenari e non mai imbecilli.
E Duverney, l'anatomico,
che ad ottant'anni si fa applaudire nella Accademia di medicina, come
oratore potente.
E la Sand, che nei suoi ultimi romanzi scritti dopo i settant'anni non mostra nessuna fiacchezza nel suo
poderoso ingegno di scrittrice.
E Palmerston e Gladstone,
che governano l'Inghilterra e potrei
dire più che mezzo il mondo civile a più di ottant'anni.
E tanti e tanti altri, che nell'estrema età della vita
continuano a pensare altamente e a fare con energia.
Ma voi potreste dirmi che
i geni fanno classe a parte, che sono rare e onorevolissime eccezioni.
Ed io allora direi subito
che noi ci occupiamo soltanto dei grandissimi, perché essi soli fermano
l'attenzione universale; ma che anche negli strati medi e bassi
dell'intelligenza abbiamo vecchi, che negli affari pedestri della vita o nelle
industrie o nei commerci conservano in tutta la vigoria i nervi del pensiero.
È per me uno dei pochi dogmi incontrastati della biologia, che il primum
nascens è l'ultimum moriens; e così come nell'uovo fecondato la prima forma che si disegna è l'asse cerebrospinale; così nell'organismo che muore l'ultimum moriens è il cervello, con le
sue mille o proteiformi energie.
E il mio dogma non è soltanto vero nel suo complesso e preso nella sua sintesi più larga, ma si afferma
nei più minuti particolari. Ognuno di
noi nasce con diverse attitudini, che segnano
il sentiero in cui cammineremo per tutta la vita; ma nella giovinezza
tutte quante a volta a volta e magari tutte insieme esigono il loro posto al
sole.
Il cervello dell'uomo giovane è un giardino, in cui
sbocciano nello stesso tempo molti fiori e noi non ci curiamo di vedere quale di essi dia più ricca messe di
corolle. C'è tanto da vedere e da
ammirare! Ma più innanzi nella vita i fiori dati dalle piante più
gracili e delicate avvizziscono e rimangono
quelli soltanto delle piante più robuste e che nel terreno d'ogni
cervello trovano il campo più adattato alla loro natura.
E se invece dell'immagine
dei fiori ne volete una forse più fedele,
vi dirò che il cervello di un giovane è un orto che dà molti e svariati frutti; ma non tutti giungono
alla maturità, mentre quello d'un
vecchio è un orto che dà meno frutti, ma maturan tutti e son più saporosi e più nutrienti.
E gli alberi, che
nell'orto del vecchio continuano a dar frutti
sono i più robusti, quelli che eran più conformi alla sua particolare
natura.
Il primum nascens anche qui si manifesta l'ultimum moriens.
L'Azeglio nasce artista,
ma oltre il genio dell'arte ha anche
un vivo amor di patria, ha anche un culto sovrano per la libertà, ha anche un buon senso tetragono.
Orbene nella sua giovinezza e nella
sua età matura egli è a un tempo pittore, scrittore, soldato, uomo politico; ma
giunto alla vecchiaia gli alberi minori non danno più frutti o pochi
soltanto, e in lui sopravvive il grande artista e si diletta soltanto della
pittura, l'ultimum moriens di
quel cervello tanto italiano e tanto polimorfo.
E nella vita di tutti i
grandi uomini, e specialmente di quelli che possiamo chiamar polimorfi
perché dotati di diverse energie, potreste
verificare l'esattezza del mio dogma.
Ma vediamo di approfondire
lo scalpello nelle profonde fibre del
cervello umano, segnando i caratteri propri dell'ingegno nella vecchiaia, onde sfatare, se è possibile, il detto volgare e pessimista, che il vecchio sia
poco meno che un imbecille, che
finisce i periodi a suon d'orecchio, che pensa col pensiero degli altri, che nulla più produce di buono, di bello, di utile all'umana famiglia.
Eccovi dunque il bilancio del pensiero del vecchio.
Il giovane non ha passato:
egli è l'uomo del presente e soprattutto
dell'avvenire, e nei suoi giudizi manca quasi sempre la più esatta delle misure, che è appunto il confronto del passato col tempo che è, col tempo che sarà. Egli
può studiare la storia, ma ben di raro lo farà per piacere.
Il vecchio invece ha
veduto molto, molto sofferto e molto goduto.
Nella sua lunga esperienza ha dovuto correggersi molte volte nei giudizi dati con troppa fretta o ispirati da troppa passione. E quindi più giusto, più equanime.
Egli non odia il passato, ma neppure
teme l'avvenire; perché sa che sono
anelli di una catena, che non ha interruzioni né rotture. Egli era darvinista dieci secoli prima che Darwin
nascesse, e se non è colto nelle scienze naturali o nelle filosofiche lo
è egualmente, perché la teoria
dell'evoluzione sta scritta in tutti
i cervelli che pensano, in tutti gli organismi che vivono; da per tutto.
E il vecchio che ha vissuto molto ha naturalmente in sé una più lunga storia di evoluzioni, ch'egli
contempla con grande serenità, con calma grandissima.
Il giovane, nel tumulto
della sua vita appassionata, nel contrasto dei venti che agitano le vele della
sua navicella coraggiosa, muta spesso
di direzione e di movimento. Ora temerario
si lancia nelle più pazze utopie, ora per reazione si fa conservatore
arrabbiato; oggi socialista, domani difensore del trono e dell'altare; or credente, or miscredente; sempre però sicuro di se stesso e della propria fede.
Quante volte ne ha mutati gli articoli!
Il vecchio invece ha trionfato delle procelle e soprattutto
ha imparato a conoscere la navicella, in cui ha navigato per tanti anni. Dopo
aver attraversato il mare delle dubbiezze è entrato nel porto tranquillo e
sicuro di poche e sicure convinzioni. Egli non
si tormenta più nella ricerca dell'inintelligibile o nella conquista
dell'infinito. Al di là del suo giardino e del
suo orto ha messo Dio o uno zero, e se ne accontenta. Egli ha opinioni ben determinate in religione, in
politica e in morale, e non perde il tempo nel metter acqua in un cribro o nel correr dietro alle tante fate morgane, che
brillano sull'orizzonte dell'uomo
giovane.
Avere poche e sicure
convinzioni dà al vecchio una grande
sicurezza di propositi, che gli accresce valore presso gli uomini e a lui pure rende più facili e piacevoli i
travagli del pensiero. Non è senza
ragione, che da secoli l'umana famiglia
ha sempre chiesto luce e consiglio dai vecchi. Non è invano che Senatus deriva da senex e
che la mitologia cristiana dipinge sempre
il Padre eterno sotto le sembianze d'un vecchio canuto.
Ecco perché egli riesce
soprattutto nelle arti della politica, che
appunto esige sicurezza di terreno per piantarvi edifici che non
crollino al primo soffio di vento.
Il saper troppo, l'avere ali troppo robuste e genio troppo fecondo son tutti impedimenti nell'arte di
governare gli uomini. Pessima poi sopra ogni altra cosa è la potenza
critica in un uomo politico.
Ricorderò sempre a questo proposito ciò che rispondeva il Ricasoli a alcuni deputati di sinistra andati da
lui per persuaderlo a fare una politica più democratica.
Dopo aver giustificato la
sua condotta egli disse a un dipresso così:
“Io non ho grande talento;
ma ho delle convinzioni profonde
acquistate con il molto pensare e miro al mio scopo, miro diritto senza
guardar mai né a destra né a sinistra. Guardo
il mio bersaglio, e non vedo altro, e ci vado attraverso tutto e tutti.
Quel bersaglio non sarà forse molto alto, ma
è il mio, e ad esso concentro tutte le mie forze, tutta la mia energia”.
Senza saperlo, il
Ricasoli dava in quel momento la più fedele
definizione della politica e senza volerlo anche quella della fisonomia
speciale del pensiero del vecchio.
Non c'è bisogno di dimostrare il perché nel vecchio la sintesi sia e debba essere più larga.
Egli ha molto veduto e nel
suo cervello sono entrati tali e tanti
elementi del mondo umano e del mondo cosmico, da allargargli sempre più l'orizzonte. Se il giovane è più alpinista di lui, perché ha polmoni più ampi e garretti
più robusti, il vecchio ha salito più cime del pensiero e ha imparato a
intendere le ombre nelle valli
dell'ignoranza e a non lasciarsi ingannare da tutti i fantasmi della
luce e delle meteore. Egli è presbite anche nel cervello e non soltanto negli
occhi e alla sintesi questo difetto giova assai più che la miopia.
Alla più larga sintesi si
associa nel vecchio anche una maggior ricchezza di associazioni nelle
idee. È questa la conseguenza logica della prima virtù.
Nel giovane vi sono molti
tasti che non rispondono, vi sono
accordi che non riescono, perché ha molte corde vergini, che non hanno
vibrato ancora.
Nel vecchio invece tutti i
tasti sono agevoli, tutte le corde sono
attraversate da mille correnti, e le associazioni delle idee si fanno
pronte e per ogni verso; diffondendosi per tutti i territori del pensiero e del
sentimento.
Questa è grande virtù e
che supplisce in gran parte alla forza
diminuita, all'intensità più debole della corrente prima, che si sprigiona da quel laboratorio massimo della
natura viva, che è un cervello che pensa.
A supplire alla forza iniziale diminuita contribuisce assai
anche la facilità acquistata nella tecnica del pensiero.
Di certo che la macchina
pensante di un giovane è migliore di
quella del vecchio; ma appunto perchè esce da poco dall'officina ha
molta rigidità nelle sue articolazioni, per cui si muove a scatti e chi la maneggia è ancora inesperto.
Nel vecchio invece gli attriti son vinti dall'uso, le
giunture son molli e pieghevoli e il macchinista ha imparato a conoscere tutti i difetti e tutte le virtù della sua
macchina; per cui tutte le forme
diverse di movimenti son divenute in lui quasi automatiche e si fanno
senza fatica e senza esitanza.
Ciò salta all'occhio
specialmente in quel lavoro altissimo, che è la parola.
Quanti intoppi, quanto
balbettamento nell'uomo bambino, prima che la corrente della parola
corra pei nervi alla laringe, alla lingua, alle labbra! Quanti tentativi
inutili, quante storpiature, quanti
involontari idiotismi, prima che l'uomo raggiunga quella bellissima equazione, che apre poi le porte all'eloquenza:
Pensiero = Parola.
Se la vita non fosse tanto
breve ai mille viaggi pensati, vorrei
nei discorsi politici degli oratori più celebri seguire l'evoluzione della parola attraverso le età;
studiando come essa si muti passando dalla prima giovinezza alla
vecchiaia. Sarebbe questo un lavoro utile e fecondo, perché ci permetterebbe di segnare a grandi linee il diverso stile
dell'eloquenza, che pur rimanendo sempre alla stessa altezza, ha però tante
fisionomie, quante ne hanno la pittura e l'architettura.
Se non ho potuto fare queste ricerche con tutte le esigenze della scienza sperimentale, ho però seguito per
quasi trent'anni con studiosa
attenzione i discorsi dei nostri grandi oratori parlamentari dal
Brofferio al Minghetti, dal Cordova al Mancini e al Cavallotti. Or bene mi pare
di aver trovato che l'eloquenza non decresce,
ma cresce con gli anni, acquistando
soprattutto alcuni preziosi caratteri, che riassumerei con le parole di una virilità maggiore.
Nel giovane la parola è
più calda, più prorompente: se volete, più affascinante, perché ispirata
da più calde passioni, perché in essa
sentite il grido della battaglia e l'impeto della lotta. E più adatta ai
tumulti dei meeeting e alla
conquista del popolo nelle piazze o alla conquista delle coscienze sotto le
volte del tempio.
Nel vecchio invece vi è
meno calore, ma maggior potenza di
idee, e l'arte più sottile e più ingegnosa nasconde mirabilmente i tranelli dei sofismi e le trappole dei
sillogismi. L'eloquenza del vecchio
conquista e tien salda la conquista. La prima è una carica di cavalleria o un attacco di bersaglieri; la seconda è un quadrato di fanteria, che non si
rompe nella difesa, o è l'artiglieria
che abbatte gli eserciti e rende sicura e infallibile la vittoria. Ed è perciò che nei parlamenti è la forma di eloquenza che vince ogni altra; anche
quando la voce è più fioca, e la
parola meno battagliera e appassionata.
Sul pulpito e in piazza
vorrei veder sempre un oratore giovane, sulla cattedra e soprattutto nel
parlamento vorrei sempre ammirare oratori canuti.
Se dovessi quindi
riassumere la fisionomia caratteristica del pensiero nell'ultima età della vita, direi che il vecchio ha un
cervello potentemente stereoscopico, mentre il giovane ha un cervello creatore. In questo l'agilità e la
fecondità, in quello la sicurezza e
la tenacità. Nessuno primo, nessuno secondo;
entrambi organi diversi, che adempiono funzioni distinte in quel grande
organismo, che è una società umana.
Quando i progressi
dell'igiene faranno campare per ottant'anni almeno tutti i nati sotto il
sole; l'umana famiglia sarà più felice, più
ordinata, più morale, più intellettuale; per molte ragioni, ma per questa principalissima, che con una popolazione equale avrà un numero molto maggiore
di vecchi.
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