La pipa
Felice il vecchio, che non ha mai fumato e non invidia i fumatori; ma pur troppo gli amici del tabacco son
molti, e tutta la popolosa schiera
degli infelici, dei malcontenti, degli annoiati
trova nella nicoziana un conforto, una sorgente feconda di piccole
gioie.
Fra i fumatori, nessuno fuma meglio né con arte più epicurea
del vecchio.
Se preferisce la pipa, ha
per essa un culto, un'adorazione, che non si suole avere che per le cose
più sante.
Nessuno l'ha a toccare
fuori che lui, nessuno la deve ripulire e tener tersa e lucente fuor di
lui.
La pipa è per lui quasi una creatura viva, appunto perché vive con lui, accompagnandone i pensieri, i
ricordi, le voluttuose sonnolenze.
È anche per questo, che
preferisce fumare nella solitudine della sua cameretta o della sua
passeggiata.
Due quadri della vita
umana ho veduto spesso, in apparenza molto
diversi, in sostanza molto simili: una mamma che lava il proprio bambino, un vecchio che ripulisce la
propria pipa.
E le mamme non gridino al sacrilegio, perché nel mondo dei viventi non v'ha fibra o cellula, che non si
con leghi per nervi invisibili alle fibre e alle cellule le più lontane.
La mamma amorosa contempla
il suo angioletto e lo ammira e ne
segue con l'occhio e con la mano purificatrice i rosei contorni, palleggiandone le soavi rotondità, giuocherellando con le membra minute, che guizzano e
saltellano nell'onda amica. È una
tempesta di carezze e di baci che copre il ciangottar dell'acqua; è una
profonda sensualità delle mani, che
accarezzano, che palpano e direi quasi che parlano con le carni
tenerelle e fresche. Carni belle e palpitanti di vita e che son carni della mamma, perché le ha fatte lei e le ricordano
tutto un mondo di voluttà ardenti, di lunghi dolori, di lunghissime
trepidazioni.
E il vecchio ha la sua
pipa, che per quanto fragile, ha già dieci
anni di vita vissuti senza ferite e senza accidenti, ma con molto onore;
dacché le zone del tempo che fu vi hanno scritto la loro storia in tante
ondette, che dal bianco dorato vanno fino al
nero dell'ebano. Quanto fumo è passato attraverso i pori di quella lucidissima pietra e quante dolci meditazioni hanno accompagnato quel fumo! In quelle
tinte di ambra, di magogano, di noce, il vecchio ripensa mille pensieri
giocondi e le tante ore vissute senza dolore e senz'ira.
E quando la cava dal suo astuccio e la ripulisce cautamente, pazientemente, rispettando le carezze del
tempo, ma levando ogni granello di cenere e passando e ripassando per il
fornello, per il tubo e levigando l'ambra e rimettendola in assetto di guerra, prova un gran piacere, che ai
non fumatori può sembrare puerile, ma
ai veri artisti della nicoziana è tutto un poema.
Chi ha veduto nella buvette del Senato il generale Durando
con la sua eterna pipetta di gesso in mano e l'ha seguito nelle amorose
cure che le prestava, può intendere le infinite
compiacenze del vecchio fumatore, i suoi tanti e lunghi colloqui con la sua
cara compagna di schiuma o di gesso.
Anche per il sigaro il vecchio può aver moine e carezze, ma la poesia è molto minore, perché si rivolge a
una creatura che vive un quarto d'ora.
Il sigaro è un amore di
passaggio, la pipa è un'amante, anzi una moglie; ma una moglie rimasta
sempre amante.
La mano alquanto tremula,
che sfila un Virginia e vi passa e
ripassa la fida paglia, che gli ha tenuto lunga compagnia, è una mano
che gode.
La mano che taglia la
punta di un biondo e nervoso Avana, è
una mano felice, perché promette al vecchio epicureo sogni e profumi.
Ma Virginia e Avana sfumano fumando e di loro ahimé non rimane che un po' di cenere; mentre la pipa,
dopo averci offerto l'olocausto del
suo altare, rimane nel nostro taschino accanto
al cuore; tiepida dell'ultimo fiato, promettitrice di altre gioie future, fino all'infinito.