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Maria Antonietta Torriani Torelli-Viollier alias Marchesa Colombi
Senz'amore

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X.

 

Vicenzino si rimetteva rapidamente. L'Elena, dacchè era tornato così malato, gli usava delle cure gentili ed amorevoli che lo inebriavano. Nell'eccesso della gioia il giovane convalescente doveva far violenza a stesso per non lasciar irrompere la passione che lo agitava. Voleva confidarsi prima a Vincenzo; subito dopo la cerimonia, la domenica, sperava di averlo un momento solo con , e di rivelargli quel segreto che non poteva più contenere.

- Sarà la prima confessione che riceverà, pensava; e mi sembrerà d'essere già unito a lei quando mi avrà ascoltato....

Il venerdì, dopo pranzo, si era trovato solo coll'Elena presso il solito tavolino, che gli richiamava tante dolci memorie. Parlavano di Vincenzo, del gran giorno dell'ordinazione; ma Vicenzino era distratto. Dalla finestra aperta la luce chiara batteva sul capo dell'Elena, ed un leggero soffio d'aria le agitava i riccioli sulla fronte e sul collo. Egli la guardava avidamente, pallido, tremante, e ripensava il bacio di quelle labbra che aveva sentito sulle guancie la sera del suo ritorno.

- Non l'hai osservato anche tu? domandò la Elena che aveva parlato fin allora della tristezza misteriosa di Vincenzo.

- Che cosa? rispose Vicenzino che, assorto nella sua estasi d'amore, non aveva capito nulla. L'Elena lo guardò meravigliata, co' suoi grandi occhi grigi e limpidi. Ma, all'incontrare quello sguardo, Vicenzino si fece rosso come una fiamma, e, sentendo di non poter tacere più a lungo, si alzò ed uscì in giardino.

Passeggiò un pezzo, agitato, nervoso, commosso, ma profondamente felice. Gli era sembrato di leggere una speranza in quegli occhi grigi. Non aveva più che un giorno da aspettare, poi potrebbe parlare del suo amore; parlarne a lei. Vincenzo glielo avrebbe permesso. Si figurava quel momento, ripeteva fra : «O Elena, quanto ti amo!...»

In quella vide uscire in giardino la piccola Maria con una lettera in mano. Mentre si avanzava verso di lui per consegnargliela, guardava la soprascritta e diceva, come se parlasse tra :

- Sembra la mano di Vincenzo; ma non può essere perchè non viene da Novara. Non viene neppure dalla posta; l'ha portata un contadino.

Però quella lettera era proprio di Vincenzo. Anche Vicenzino nell'aprirla pensava: «Come mai non viene da Novara?» Ma appena n'ebbe scorse poche righe, gridò:

- Ah per Dio! poveri noi!

E, respingendo la bambina che gli stava curiosamente dinnanzi, prese la rincorsa ed uscì senza cappello, correndo come un matto.

Quella lettera era il solito addio dei suicida, e cominciava colla solita frase:

- «Quando riceverai questa lettera avrò cessato di vivere». Poi spiegava disordinatamente le sue ragioni: «Non posso ricevere gli ordini maggiori senza commettere un sacrilegio; e d'altra parte non posso rinunciare alla carriera ecclesiastica perchè ridurrei mio padre, che si fa vecchio e malaticcio, alla miseria. Capisco che la mia morte non rimedia a nulla, ma non ho il coraggio di vivere. Non ho voluto rientrare in seminario. Ho errato tutti questi giorni per la campagna come un'anima in pena, cercando la soluzione al terribile problema della mia vita; ma non l'ho trovata. Non so far nulla, non sono in grado di guadagnar nulla. Dopo aver rovinato mio padre ne' suoi ultimi anni, dovrei vivere a sue spese. Vedi che non è possibile; sarebbe una vergogna, un delitto. Preferisco morire...»

Vicenzino fermava tutti i contadini che vedeva per domandare affannosamente, fremendo d'impazienza:

- Sei tu che hai portata questa lettera a casa Dogliani?

Tutti dicevano di no; ed egli correva, di su, di giù, come un matto, agitando la lettera in alto, guardando tutti supplichevolmente, e gridando:

- Chi l'ha portata? Ma chi l'ha portata? Dove posso cercarlo? Mio Dio, dove? dove?

Poi, mentre si avviava, sempre di corsa, per una strada che metteva fuor dal paese, senza sapere dove andasse, si vide venire innanzi il signor Dogliani seguito da un contadino, e l'udì gridare tutto stupito:

- Ho trovato quest'uomo, che dice d'aver portata una lettera di Vincenzo, che è a San Germano, all'albergo del Gallo...

- Ah! a San Germano! Sei chilometri! urlò Vicenzino; e via, con una corsa disperata verso la strada maestra.

- Seguitelo, seguitelo; non vedete che impazzisce? gridava il signor Dogliani tremando tutto sulle vecchie gambe. Intanto il contadino era riuscito a raggiungere Vicenzino, e gli aveva strappata la lettera che egli continuava ad agitare in alto senza sapere quel che facesse. Ma non potè fermarlo.

Il signor Dogliani guardava quell'uomo venire verso di lui col foglio in mano, e pareva che ne avesse paura. Quando l'ebbe preso fece per leggere, ma era già troppo buio, e dovette accostarsi al lume d'una bottega; mormorava:

- Che cos'ha? Cos'è accaduto?

Poi, quando ebbe cominciato a leggere, vacillò come un ubbriaco. Scosse due o tre volte nervosamente il capo, ma continuò a leggere cogli occhi fissi sul foglio, tremando a verga, e sussultanto di tratto in tratto. Ma non gridava, non diceva nulla, e guardava sempre il foglio.

I pochi contadini che, allarmati dalle smanie di Vicenzino, si erano fatti intorno al vecchio, furono pronti a sorreggerlo quando barcollò, e videro che aveva gli occhi vitrei come impietriti e non leggeva più da un pezzo.

 

 

 




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