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Maria Antonietta Torriani Torelli-Viollier alias Marchesa Colombi Senz'amore IntraText CT - Lettura del testo |
XVI.
Però il giorno dopo Vicenzino rassicurò l'Elena. Quella sera era stanco, e triste per aver assistito fin allora un moribondo. Ma era contento della sua felicità, oh, tanto contento. La sua pallidezza e gli occhi infossati confermavano che infatti era stanco. L'Elena si tranquillò, e la sera stessa gli presentò il suo sposo.
Vicenzino fece per lei quanto aveva fatto per le altre cugine. Soltanto, in quei giorni quaresimali, vicino alla Pasqua, colla nuova casa da ordinare, era tanto occupato che di rado poteva passare la sera cogli sposi. E mentre essi deploravano la sua assenza, egli, solo nel suo studio squallido come una cella da frate, si sforzava di leggere o di studiare, ma rimaneva sempre cogli occhi fissi senza veder nulla, mentre le lagrime gli sgorgavano sulle pagine.
Vincenzo, che giunse in paese pochi giorni prima delle nozze, trovò il cugino molto abbattuto. Ma la sua venuta fece tanto piacere a Vicenzino, che presto le traccie della sua stanchezza scomparvero. Fu soltanto un po' commosso il giorno della cerimonia nel benedire gli sposi, e dovette scusarsi di non fare nessun discorso di circostanza in causa di quel suo malessere nervoso, per cui alla menoma lettura, alla menoma parola un po' tenera, si turbava fino al pianto.
- Resterò io a finire il mio permesso qui per farti guarire, disse Vincenzo abbracciandolo allegramente. Io non dico parole tenere.
Ed infatti, partita anche l'Elena, il suo umore gioviale era la sola cosa che mettesse un po' di vita in quella casa deserta. Erano già traslocati nella casa parrocchiale, ma parecchie camere rimanevano chiuse. Vicenzino le aveva preparate per l'Elena. Durante il soggiorno di Vincenzo a Santhià, il giovane prete si sentì riscaldare il cuore da quell'amicizia che aveva riempita tutta la sua gioventù. E gli rinacque la speranza di vedersi crescere intorno i bimbi dell'amico, di aiutarlo ad allevarli ed istruirli, di trovare un pascolo pel suo cuore amoroso in quei nuovi affetti. Vincenzo non ne parlava mai. Forse aveva anche lui un segreto come l'Elena. Forse se lo chiudeva nell'anima come lei fin dal giorno in cui aveva preferito morire che vivere senz'amore. Ma Vicenzino aveva bisogno di quel conforto ora che l'amico stava per lasciarlo; ed il giorno della sua partenza gli disse:
- Quando tornerai?
- Chissà! rispose Vincenzo. C'è un tratto da Napoli a qui. Quando potrò avere un permesso un po' lungo....
- E.... tornerai solo? domandò Vicenzino esitando.
- Come, solo? ripetè l'altro. Poi, ad un tratto indovinando dal sorriso di Vicenzino cosa aveva voluto dirgli, esclamò con una risata:
- Ah! no no. Dio mi scampi! voglio la mia libertà. Il matrimonio non lo desiderano che i preti, perchè non lo possono fare.
Vicenzino sentì un brivido corrergli per tutto il corpo. Era per questo che si era sacrificato!
Gli anni passarono lenti, monotoni, tristi nella casa parrocchiale. Il vecchio s'andò lentamente spegnendo, perdendo ogni giorno una parte delle sue facoltà, finchè chiuse gli occhi, ed il giovane parroco rimase solo. Solo a trent'anni, senza fervore religioso per riempirgli il cuore, camminando faticosamente sull'arida via del dovere. Il suo aspetto concentrato e mesto non gli ravvicinava i cuori. Tutti lo rispettavano, era circondato di stima, ma non aveva amici. Era sempre pallido e magro, la sua persona alta e fine s'incurvava come quella d'un vecchio, ed i capelli biondi cominciavano ad incanutire. In paese dicevano che si distruggesse a forza di macerazioni e digiuni devoti. Lo credevano un santo: nessuno sapeva che era un martire. Qualcuno cominciò a dire che era di quei cristiani entusiasti, di cui si fanno i missionari. Altri ripeterono che voleva farsi missionario. La voce finì per diffondersi in paese: «Il parroco va in missione alle Indie.»
Vicenzino lo seppe, ma non aveva la vocazione nè l'energia per quell'impresa. E continuò la sua vita monotona, triste, solitaria.
Un giorno, dopo cinque anni, l'Elena gli scrisse una lettera disperata. Suo marito era morto di febbre gialla sul bastimento che li riconduceva in Italia. Era sbarcata a Genova con un bambino. Non aveva coraggio di vivere fra la gente; il movimento della città la spaventava. Gli domandava di accoglierla. «Sarò la custode della tua casa, e tu alleverai il mio povero Vicenzino. Mi perdonerai il mio immenso dolore. Non sarò una compagnia piacevole come altre volte; ma ti compenserò col mio affetto della tua grande bontà, e tu m'insegnerai colla tua fede a rassegnarmi...»
Fu l'ultimo sfogo di passione, l'ultima convulsione di pianto, che scosse l'anima forte e combattuta di Vicenzino. L'ultima lotta della sua vita. Rispose all'Elena.
«Non sai che mi faccio missionario? È un pezzo che nessuno ignora questo mio disegno in paese. Non ho più casa da offrirti. Colla prossima missione partirò per le Indie. Saluta Vincenzo, e digli che si faccia una famiglia anche lui. È triste invecchiar solo.»
FINE.