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Maria Antonietta Torriani Torelli-Viollier alias Marchesa Colombi Senz'amore IntraText CT - Lettura del testo |
VII.
Vincenzo doveva passare dieci giorni a Santhià per cominciare l'anno nuovo colla sua famiglia. Ma, malgrado la presenza dei due giovani, la casa era malinconica e silenziosa. Vicenzino aveva il cuore riboccante di riconoscenza, ma sentiva che non avrebbe potuto parlarne senza commoversi, ed evitava quell'argomento. Guardava lungamente Vincenzo, ed i suoi occhi si empivano di lagrime. La stessa povertà della casa che lo aveva ospitato lo commoveva. Le ventimila lire date a suo padre acquistavano un valore assai maggiore, dacchè sapeva che il signor Anselmo viveva quasi meschinamente, e la sua ammirazione per quello zio, facendosi più grande, aumentava la sua tristezza per i ricordi del passato.
Anche Vincenzo, con grande stupore delle sue sorelle, parlava poco ed era spesso impensierito. Quando, con una vecchia burla che aveva sempre lusingata la sua vanità, lo chiamavano arcivescovo, non s'insuperbiva più affatto, e con quella cortesia che si usa tra fratelli e sorelle, scoteva le spalle e borbottava: «Stupide».
La Laura, discorrendo coll'Elena di quel cambiamento, diceva:
- Non è più tanto vanitoso Vincenzo; si va migliorando.
Ma l'Elena, che non era assorta nelle fancende di casa, per le quali non aveva gusto, ed aveva più agio di studiare il fratello, rispondeva impensierita:
- Chissà che cos'abbia, povero Vincenzo!
Una mattina che i due giovani erano usciti a fare una lunga passeggiata sulla neve gelata della strada maestra, incontrarono un gruppo di contadine con dei panieri di ova e pollame, che andavano a vendere a Santhià. Una bella donnona sulla trentina, che camminava davanti a tutte, dondolandosi sui fianchi, guardò arditamente in faccia Vincenzo, poi, ammiccando alle compagne con un riso maligno che le scopriva dei bellissimi denti, susurrò abbastanza forte per essere udita:
- Che bel prete!
Le altre risero forte.
Vincenzo si fece rosso, i suoi occhi lampeggiarono di sdegno; mosse un passo innanzi come se volesse attaccar briga; ma subito si frenò, e mormorò con rabbia:
- Sciocche! Villane!
Vicenzino, che aveva abbassato gli occhi per pudore, fu meravigliato di quel risentimento, e disse:
- Via, non t'ha detto nulla di male, infine.....
- Sono villane, ripetè Vincenzo con denti stretti. Non sanno veder un uomo vestito di nero senza chiamarlo prete.
- Ti fanno un onore anticipato, tornò a dire Vicenzino con piglio conciliativo; se non sei ancora prete lo sarai.
Vincenzo stette un po' senza rispondere, guardando in terra, poi disse colla voce strozzata:
- Già, lo sarò.
Vicenzino si fermò sui due piedi e fissò in volto il cugino. Questi era acceso come una fiamma, teneva gli occhi chini a terra, e si mordeva rabbiosamente le labbra. Vicenzino gli prese le mani e gli domandò con affetto, ma coll'accento imperioso di un amico che ha diritto di conoscere i segreti dell'amico:
- Che cos'hai?
Vincenzo non rispose e scosse il capo come per dire: «A che serve? È un caso disperato». E due lucciconi, che gli tremavano sugli occhi, caddero come due perle sulle mani congiunte dei due amici.
- Non sei contento di far il prete? tornò a domandare Vicenzino.
- Saresti contento tu? rispose l'altro con uno scoppio di voce che tradì un singhiozzo.
- Io non ho la vocazione.
- Ed io l'ho la vocazione? Ho il benefizio; ho il dovere di conservare quella rendita al babbo che è vecchio, alle sorelle che non hanno dote... Eccola la mia vocazione! Debbo sagrificarmi per gli altri; sagrificarmi tutta la vita.
- Eri pur contento del tuo stato, prima.... insistè Vicenzino.
- Prima ero un ragazzo. Non pensavo neppure d'aver una patria. Credevo che le guerre si facessero solamente nei libri di Storia. Perchè non avevo mai visto un Tedesco qui, non pensavo che vi sono delle provincie d'Italia che essi invadono.....
E raccontò le sue letture, le sue febbri d'entusiasmo patriottico, le lagrime divorate in segreto.... Parlava con enfasi, piangeva, tremava tutto ed esclamava disperatamente:
- Dovrò rimanere inerte come un vile! Come un vile!
Vicenzino aveva già espresso all'amico il suo piano d'avvenire: compiere da sè in casa quell'anno di studi per non obbligare lo zio a pagargli una pensione a Vercelli; poi prendere il diploma di maestro superiore, e collocarsi come insegnante nel ginnasio pareggiato di Santhià per guadagnarsi la vita, durante il tempo che gli mancava ancora prima di essere chiamato alla coscrizione. Ma egli pure aveva sentimenti patriottici e si proponeva, se durante quei tre anni Vittorio Emanuele od altri avessero fatto qualche cosa, di arruolarsi come volontario.
Egli comprese dunque l'afflizione di Vincenzo, la sua lotta crudele tra il dovere di figlio e quello di cittadino, e, non vedendo altro mezzo di consolarlo, gli disse:
- Chi impedisce ad un prete di battersi quando occorra per la sua patria?
- Nulla glielo impedisce nell'eccitamento di una crisi politica, nell'ardore di una battaglia; ma il giorno dopo tornerà ad essere estraneo a tutto quel che si fa pel suo paese; sarà sempre un prete, ed io sento che son nato per essere un soldato. Oh, se non avessi quel benefizio che mi lega...
- Se tu fossi cappellano d'un reggimento..., del mio reggimento...., disse Vicenzino.
Nella sua desolazione Vincenzo s'aggrappò a quell'idea che gli permetteva di fare una vita attiva, di vivere in caserma, di battersi, di raccogliere i feriti, di assisterli, di conservare alla sua famiglia il benefizio del quale viveva, essendo meno prete ed un po' soldato. Ne parlarono a lungo, e Vincenzo, coll'ardore che metteva in ogni cosa, finì coll'innamorarsi della sua missione di cappellano, e gli ultimi giorni della sua vacanza apparve animato, eccitato, contento, e partì colla fantasia riscaldata, facendo giurare a Vicenzino di tenerlo informato di quanto si preparerebbe per la liberazione di Venezia, e di chiamarlo al primo sintomo di prossima guerra.