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Maria Antonietta Torriani Torelli-Viollier alias Marchesa Colombi
Senz'amore

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XI.

 

Intanto Vicenzino proseguiva la sua corsa sfrenata, fremendo all'idea di non giungere in tempo, singhiozzando, smaniando ad alta voce. Dopo un tratto vide venire una carrozza, e le si precipitò contro a rischio di farsi sfracellare, gridando colla voce strozzata dall'ansimare violento:

- Lasciatemi salire; presto; bisogna che io sia a San Germano fra un quarto d'ora.

Era la carrozza di una famiglia signorile di Santhià; il cocchiere conosceva il piccolo Dogliani, l'americano, e lo tirò su quasi senza fermare, dicendo:

- Perchè non pigliare la strada ferrata, se aveva tanta fretta?

A quel pensiero Vicenzino si cacciò le mani nei capelli e mise un grido furioso.

«Aveva lasciato morire il cugino per la sua balordaggine!» Come mai non aveva pensato alla strada ferrata? Era impazzito di certo...

E fece per balzar giù dalla carrozza, come se volesse prendere il treno. Davvero il dolore e lo spavento lo facevano delirare. Il cocchiere lo trattenne, e, un po' colle buone, un po' colla violenza, riuscì a persuaderlo che il treno era passato da mezz'ora, per conseguenza prima che egli avesse ricevuta la lettera di Vincenzo. Era commosso anche lui da quella disperazione, e frustava i cavalli senza pietà, e li faceva volare addirittura sulla strada maestra. Ma Vicenzino si impazientiva di rimanere inerte in carrozza; batteva i piedi furiosamente, si mordeva i pugni, si strappava i capelli.

Appena vide il campanile della chiesa di San Germano, cercò un'altra volta di buttarsi giù, come per arrivare più presto all'albergo; ma il cocchiere lo frenò ancora giurandogli che arriverebbero prima colla carrozza; ed infatti, dopo due minuti, si fermava all'albergo del Gallo, dove Vicenzino saltò nell'atrio e infilò la scala, senza neppur aver aperto lo sportello della carrozza.

L'oste corse fuori dalla cucina, e gli gridò dietro:

- Dove va? Eh, signore, dove va? E l'altro, senza fermarsi:

- C'è qui mio cugino; un giovane che si è chiuso in camera per uccidersi; se pure non s'è buttato in acqua.... Presto, presto, per carità!...

Fu un allarme generale. Oste, ostessa, tutta la famiglia, tutto il vicinato invase la scala e si avventò all'uscio dell'unico ospite dell'albergo.

- Ha detto che si coricava presto perchè non istava bene,.... borbottava l'oste tutto impaurito. Chi poteva pensare?...

L'uscio non era neppure chiuso a chiave. Vincenzo sapeva che in quella modesta locanda di villaggio non c'era caso che i camerieri entrassero a sorprenderlo. Il povero giovane era steso sul letto, colle vene dei polsi aperte, pallido, freddo, morto. Il braccio destro pendeva giù dal letto, ed il sangue sgocciolava ancora per terra. Il sinistro era steso lungo il fianco ed immerso nel sangue che aveva inzuppate lenzuola e coperte. Ma un grumo che si era fermato sulla ferita aveva arrestato l'emorragia.

- Oh mio Dio! Se gli fosse rimasto tanto sangue da farlo rivivere! esclamò Vicenzino; e, mentre fasciava stretto l'altro braccio, gridava:

- Chiamate il medico, il farmacista, chiunque può aiutarlo.

L'oste spinse un ragazzo fuori dell'uscio, dicendogli:

- Va, corri.

Ma si strinse nelle spalle sfiduciato, e tutti crollavano il capo. Quel giovane era morto.

La voce di una tragedia all'albergo del Gallo, era già corsa da un capo all'altro del paese; e il medico, che passava la serata in farmacia, si era affrettato spontaneamente, e s'avviava su per le scale, appunto quando il ragazzo scendeva in cerca di lui. Lo respinse per salire più presto, ed entrò affannato nella camera, domandando:

- Cosa c'è? Cos'è stato?

Tutti si scostarono per lasciarlo avvicinare al cadavere; ma appena egli lo vide, gridò:

- Per Dio! è troppo tardi. L'avete lasciato morire!...

- No, no! urlò Vicenzino. Senta, non può essere morto. Guardi; qui il sangue si è rappreso.

Il medico esaminò il povero giacente, gli applicò un orecchio sul petto, e rimase quasi un minuto oscultando; quando si rizzò, il suo volto non esprimeva nulla di consolante. Strinse forte il torace del paziente, lo scosse ripetutamente, poi oscultò di nuovo. Nella camera regnava un silenzio solenne. Tutti gli occhi erano fissi sul medico. Vicenzino, che lo spiava più avidamente di tutti, appena lo vide risollevare il capo, mise un grido di gioia. Infatti il medico disse:

- C'è un battito lievissimo, irregolare, ma c'è. E subito prendendo il moribondo per le spalle, lo tirò sino alla sponda del letto, e gli abbassò il capo fin quasi in terra, poi si mise a stropicciargli forte tutto il corpo. Dopo alcuni minuti la pelle cominciò ad arrossire un pochino, e le pulsazioni si fecero più distinte. Ma il malato era talmente dissanguato, che non ricuperava i sensi. Il rum, l'etere, tutti i cordiali portati sollecitamente dal farmacista, non riescirono a farlo rinvenire.

- Povero giovane, disse il medico; questo non è di quelli che si suicidano soltanto un poco per commuovere la gente. L'ha fatto sul serio.

- Ma non morrà? implorò Vicenzino. Non è possibile, non deve morire!

Il medico si strinse nelle spalle, ed applicò al paziente due vescicanti che aveva fatti preparare. Sotto l'azione di quella prova dolorosa, Vincenzo ebbe un lieve sussulto, e poco dopo mosse una mano, come per portarla alla parte dolente.

Ma non fu che un cenno, a cui le forze non risposero, e, dalla bocca aperta, non uscì alcuna, voce. Tuttavia la respirazione si era fatta quasi regolare, e, dopo circa mezz'ora di cure energiche, Vincenzo aperse gli occhi e fissando le pupille dilatate sul volto di Vicenzino che gli stava dinnanzi, parve riconoscerlo.

Tuttavia la sentenza del medico non fu consolante.

- Ha perduto troppo sangue, disse; è impossibile che si riabbia da sè. Soltanto la trasfusione potrebbe salvarlo.

Vicenzino si rizzò, impetuoso ed ardente come un eroe che corre al sacrifizio, gridando:

- Oh il mio sangue, tutto il mio sangue per lui!

Ma anche questa volta il suo eroismo fu inutile.

L'oste possedeva un agnello, ed il medico preferì aprire le vene di quella bestia, che quelle di un essere umano, il quale non sembrava neppur averne di troppo. L'operazione fu fatta con rapidità, e l'effetto ne fu quasi immediato.

L'infermo mise due o tre gemiti, girò gli occhi intorno, fece un lieve cenno di saluto a Vicenzino, ingoiò qualche cucchiaio di marsala, poi ricadde in un assopimento profondo ma tranquillo. Allora il medico dettò le prescrizioni per la notte; brodo ristretto, vino, cordiali, ed il più assoluto riposo; poi si ritirò, promettendo di tornare il mattino, e lasciando buone speranze.

Vicenzino rimase solo dinnanzi a quell'ombra dell'amico adorato, del fanciullo forte e felice, che era andato a cercarlo nel suo abbandono, che gli aveva dato una casa, una famiglia.

 

 

 




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