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Maria Antonietta Torriani Torelli-Viollier alias Marchesa Colombi Senz'amore IntraText CT - Lettura del testo |
XV.
Così passarono due anni. L'Elena ne aveva ventitrè ed aveva già preso l'aspetto calmo ed un po' grave d'una zitellona. Si vedeva che aveva accettata la sua situazione, e, dal sorriso dolce e sereno che volgeva a suo padre ed a Vicenzino, dall'aria riposata colla quale badava alla sua casa e prendeva cura di loro, si comprendeva che era contenta; quei due affetti bastavano ormai al suo cuore. Vincenzo faceva tratto tratto delle visite a Santhià, e riempiva la casa del rumore allegro della sua spada e della sua voce gioconda. Era un bell'ufficiale, elegante, spiritoso, gaio; e Vicenzino s'aspettava di volta in volta la notizia del suo matrimonio. Non poteva tardare. Era per avere una famiglia che non aveva voluto essere prete, ed il cuore amoroso di Vicenzino si struggeva d'avere la sua parte di quella famiglia giovinetta.
Intanto il vecchio parroco sentiva il peso di quei due anni di più, ed aveva rinunciato alla sua carica, che, dopo la Pasqua, doveva essere occupata da Vicenzino. Mancava poco più d'un mese all'avverarsi del melanconico sogno, lungamente vagheggiato, di trasportare il vecchio zio e la cugina nella casa parrocchiale, e di stabilirvisi in famiglia, pel calmo ed uniforme avvenire che li aspettava. Vicenzino si occupava delle riparazioni indispensabili alla casa, e ci metteva tutto il suo cuore. Ogni cosa era modesta anzi disadorna. Le mura erano bianche in tutte le stanze, senz'altro ornamento che pochi quadri sacri. La camera destinata al signor Dogliani era la sola in cui ci fosse il pavimento coperto da un tappeto, ed una sedia a bracciuoli. Ma l'austerità dell'addobbo era mitigata dai fiori che ornavano le finestre, dalla vegetazione abbondante che verdeggiava nel piccolo giardino, dalla prospettiva grandiosa dei monti lontani e dei colli, dall'aria pura e dal sole che entravano in abbondanza dagli ampi finestroni. Semplici com'erano, tanto lui che l'Elena, potevano vivere felici in quella parrocchia un poco isolata dal paese; e l'Elena avrebbe trovato modo di rendere elegante quella povera dimora, col modo grazioso di collocare un mobile, con qualche pianta verde, o soltanto colla sua presenza.
Era circa la metà di marzo; le giornate erano già lunghe, ed un tempo costantemente splendido anticipava la primavera. Vicenzino era stato trattenuto a lungo presso un moribondo, e quella sera giungeva molto in ritardo in casa Dogliani. Contro le abitudini freddolose del vecchio, la porta a vetrate che dava sul giardino era aperta, ed una luce, insolitamente abbagliante, metteva come un gran quadro bianco in quella cornice vuota, che si disegnava sul fondo scuro della sera. Vicenzino, che era entrato appunto dal giardino per abbreviarsi la strada, pensò quale festa ricorresse il domani. L'Elena aveva l'abitudine di festeggiare le solennità con qualche improvvisata la sera della vigilia per compensare Vicenzino delle maggiori fatiche che doveva sostenere in quelle circostanze. Gli suonava qualche bel pezzo di musica sacra sul pianoforte, gli faceva trovare tutta una tavola coperta di fiori, che poi disponevano insieme per la sua chiesa, dei ricami o delle trine fatte da lei per le tovaglie del suo altare. Ma no. Il domani non era che la quarta domenica di quaresima.... Cosa poteva essere quella novità?
Vicenzino entrò sorridendo, malgrado il suo aspetto stanco e abbattuto, come per andare incontro alla lieta novella. Ma non c'era nulla di nuovo. Soltanto la due grandi lampade del camino erano accese, e, sulla credenza, c'erano ancora delle posate, dei piatti di dolci e di frutta, delle bottiglie, come quando c'è stato un invito a pranzo.
- Delle novità questa sera? domandò Vicenzino all'Elena che gli era andata incontro fino alla porta.
- O, delle grandi novità...., rispose la fanciulla con un accento tutto nuovo. Egli la guardò come per interrogarla, e la vide colorita in volto, cogli occhi luccicanti, e con una bella rosa nei capelli.
- Che cos'è? Cos'è stato? È tornato Vincenzo? tornò a dire Vicenzino.
No, non ancora. Il babbo ti dirà..., disse l'Elena mettendogli una sedia accanto alla poltrona del signor Dogliani. Poi se ne andò al pianoforte che era aperto, e si mise a suonare un minuetto, con dei pianissimo che sfumavano come un profumo lieve di viola, e degli andante che parevano scoppi di risa.
Vicenzino, meravigliato di quella musica tutt'altro che quaresimale, domandò allo zio:
- Ma si può sapere che bella cosa è accaduta, che qui si fa festa?
- O, la festa non è per noi, mio caro Vicenzino, sospirò il vecchio. Noi resteremo soli, non avrai più che questo povero vecchio infermo nella tua bella casa parrocchiale....
Vicenzino si sentì impallidire, e non ebbe la forza di parlare. L'infermo riprese:
- La nostra Elena se ne va anche lei.
- È capitato uno sposo? disse Vicenzino tutto tremante.
- O, è un pezzo che è capitato. Sono sette anni che lo aspetta. Era nelle Indie... Vicenzino si alzò come per andare a congratularsi colla cugina, ma in realtà per nascondere il tremito che lo scoteva tutto.
S'avviò lentamente, si fermò a guardare in giardino, poi chiuse le vetrate, mormorando che l'aria era troppo fresca per lo zio; e finalmente, pallido ancora ma padrone di sè, andò a sedere presso l'Elena, e le domandò:
- Dunque avevi un segreto?
- Sì, disse l'Elena voltandosi a guardarlo coi suoi begli occhi limpidi. Ma non devi lagnarti, perchè ne profittavate tutti. Era il segreto del mio buon umore, della rassegnazione con cui vedevo passare gli anni e partire le mie sorelle. Ero certa che sarebbe tornato.
- Da sette anni? balbettò Vicenzino.
- Sì. Da quando tu eri a Vercelli col tuo povero babbo. Egli passò quell'anno qui in permesso; s'era ammalato nel suo primo viaggio al Giappone....
- È in marina?
- Sì; nella marina mercantile.
- Ah, era per questo che amavi tanto i libri di viaggi, i vasti orizzonti, i quadri di marina....
- Sapevo che quella sarebbe un giorno la mia vita.
- Ma eri certa fin d'allora che pensava a te, che sarebbe tornato?
- Ero certa del suo cuore come lo sono del tuo, rispose l'Elena con tutta la fede del suo forte amore, senza dubitare della pena che poteva fare al povero prete quel confronto.
- In sette anni non hai mai avuto un dubbio? domandò ancora Vicenzino aggrappandosi ad un'ultima speranza, che, almeno in un'ora di dubbio, quel giovane cuore si fosse rivolto a lui.
- Mai. Disse risolutamente l'Elena. Se avessi dubitato di lui sarei morta.
Vicenzino si sentì morire in cuore l'ultima gioia. Non lo aveva amato mai; non lo aveva compreso; non era per lui che era rimasta fanciulla. Era per un altro! Anche il suo passato, il solo ricordo che lo consolasse, il solo raggio d'amore della sua vita, era spento. Ebbe uno di quegli impeti di dolore irresistibili, che possono sopraffare anche le anime più forti. Riaperse la porta del giardino, ed uscì a capo scoperto nell'oscurità. L'Elena credette che volesse passeggiare un poco per continuare il suo interrogatorio, e, devota alla sua autorità da fratello prete, si alzò per seguirlo. Ma egli camminava a passi concitati e s'era già perduto nel buio della notte.
- Vicenzino non sembra contento del mio matrimonio, disse l'Elena rientrando presso il padre, e spingendo la sua poltrona a ruote per condurlo a coricarsi.
Il vecchio scosse il capo bianco, e sospirò:
- Gli è che la vita sarà triste per noi. Quanto a me sono vecchio, pazienza. Ma lui ha ventisei anni....