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Carolina Invernizio
I misteri delle soffitte

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VIII.

 

Nei patti stabiliti da Cinzia col conte, la cortigiana si manifestò pratica e ponderata. Prima di tutto, non volle fare le cose con precipitazione: una rottura improvvisa con Passiflora avrebbe provocato spiegazioni, forse un duello; e Livio doveva evitare uno scandalo per riguardo alla moglie.

Il conte avrebbe dunque continuato a frequentare la casa del marchese Passiflora, fingendo di esservi attirato dal giuoco, ma ogni mattina i due amanti si vedrebbero in qualche appartamento ammobiliato, dove Livio abiterebbe. Quando poi il marchese sollecitasse il matrimonio, Cinzia gli confesserebbe di voler riprendere la propria libertà.

La cortigiana volle pure che Livio le giurasse che per qualche tempo non rivedrebbe la contessa, perchè essa era gelosa di lei.

Il conte giurò tutto quanto essa volle, accettò tutti i patti che a Cinzia piacque fargli sottoscrivere e si dette subito attorno per trovare l'appartamento che desiderava.

Egli ne prese uno al pianterreno, su di un corso deserto, in un palazzina abitata dai soli padroni, due vecchi negozianti in ritiro, che passavano quasi tutto l'anno in campagna.

In quel momento la casa era vuota. Il conte non aveva nemmeno bisogno di passare innanzi al portinaio: aveva un'entrata particolare dal giardino.

Due tappezzieri allestirono in pochi giorni il quartiere, ma il conte non prese alcun domestico. Si accordò col portinaio e la moglie di esso per la pulizia delle stanze e ricevette Cinzia quasi tutti i giorni.

Una mattina il conte stava per uscire dall'albergo dove si recava a dormire ogni notte perchè tutti ignorassero il suo ritiro segreto, quando si trovò a faccia a faccia con Fabio.

- Tu qui? - esclamò. - È successo qualche cosa a Bianca? -

Fabio aveva la fisionomia tranquilla.

- No, rassicuratevi; la contessa sta assai meglio; sono venuto a Torino per eseguire alcune sue commissioni; ma prima ho desiderato vedervi. -

Il conte guardò l'orologio: erano le nove; aveva mezz'ora a sua disposizione.

- Hai fatto benissimo! - rispose. - Vieni!

Il conte rientrò nell'albergo, e condotto Fabio nel proprio appartamento:

- Ebbene, che hai da dirmi? - gli chiese.

- Volevo soltanto avvertirvi che la contessa va migliorando ogni giorno; non vaneggia più, non mi respinge quando le parlo di voi, anzi sembra ascoltarmi con molto interesse. Però ho dovuto trasgredire al vostro ordine e dirle che sono veramente Fabio Ribera. -

Livio aggrottò le sopracciglia.

- È stata un'imprudenza!

- L'ho commessa nel vostro interesse, - rispose il giovane - perchè così ho potuto dimostrarle quanto s'ingannava sul vostro conto, parlandole di tutti i benefizi da voi ricevuti, giurandole che voi non prendeste alcuna parte nell'assassinio di Giulietta. Se ho fatto male, ve ne chiedo perdono! -

Il conte gli sorrise con bontà.

- Ti sono anzi grato della tua devozione. Ma che risponde Bianca sentendo perorare la mia causa?

- Rimane pensosa. Ieri disse queste parole:

«- Che io mi sia sempre ingannata sul conto di Livio? Che abbia avuto una benda sugli occhi? -

«Non aggiunse altro, ma ieri sera mi chiese dolcemente se sarei venuto a Torino ad acquistarle alcuni libri e dei pezzi di musica, che desiderava. Mi affrettai a rispondere che ero lieto di compiacerla.

«Io credo però che la contessa mi abbia inviato a Torino colla speranza che io vi veda e vi parli di lei; sarebbe dunque bene che ritornaste alla villa. -

Il conte lo fissava con grande attenzione.

- Dimmi la verità, Bianca stessa ti manda da me.

- No, ve lo giuro!

- Aspettiamo dunque che lei mandi a cercarmi! - esclamò sorridendo il conte, alzandosi. - Aspettiamo che la sua guarigione sia completa. In questo momento non potrei abbandonare Torino; ho qui affari che non ammettono dilazioni. Forse fra qualche settimana farò una scappata. Non parlare a Bianca di me; se t'interroga, dille che non mi hai veduto. -

Fabio pure si era alzato.

Capiva che Livio voleva sbarazzarsi di lui.

La pendola sonava le dieci: Livio sussultò.

- Ho un appuntamento; - disse - ti lascio; ci rivedremo alla villa.

- Scendo con voi. - Appena in istrada, il conte, senza neppure stendere la mano a Fabio per la fretta, salì in una carrozza che stazionava dinanzi all'albergo, gridando forte al cocchiere:

- Corso Grugliasco, e di corsa! -

Fabio tenne dietro cogli occhi alla vettura, e quando la vide sparire il suo volto divenne triste e cupo. Dove correva il conte? Aveva dunque delle tresche, dei raggiri?

Agitato, Fabio salì a sua volta in un fiacchere dando al vetturino l'indirizzo del cavaliere Umberto Trani.

Il magistrato lo ricevette subito e sussultò nel vederlo.

- Vengo da parte della contessa Bianca Rossano, che vi manda questa lettera, - disse Fabio.

Umberto fece un brusco movimento.

- La contessa Bianca? - ripetè. - L'avete veduta? Le avete parlato?

- Sono al suo servizio fino dalla mia uscita di prigione.

- Chi vi ha dato quel posto?

- Il conte Livio, facendomi passare presso la servitù e presso la contessa stessa per un antico suo cameriere di nome Martino. Ma voi sarete meglio informato dalla lettera. -

Il magistrato offrì una sedia a Fabio, e, sedutosi egli stesso allo scrittoio, lacerò la busta e lesse quanto Bianca gli scriveva.

/# «Finalmente! Dio ha compiuto il miracolo: Fabio ha confessato tutto, si pente del suo delitto, è divenuto nostro alleato, nostro amico, disposto a tutto per conoscere il segreto della sua nascita, i legami che l'uniscono al conte, ed aiutarci a vendicare tanti poveri innocenti.» #/

Il magistrato si fermò: i suoi occhi scintillavano di contento fissandosi sul volto di Fabio.

- È vero ciò che mi scrive la contessa? - chiese Umberto.

- È vero; - replicò Fabio senza sconcertarsi - solo vi aggiungo che alla buona signora si deve il miracolo; ella sola ha saputo mostrarmi il mio accecamento. Io sono stato molto colpevole, signore, e darei tutto il mio sangue per espiare.

- Ed io vi aiuterò nella vostra opera di espiazione, - rispose il magistrato.

E si rimise a leggere.

Bianca gli faceva il racconto di quanto era accaduto fra lei e Fabio.

- La nostra causa è vinta! - esclamò finalmente il Trani. - Ah! lo vedranno coloro che credevano di mettere anche me nel sacco!... Sapremo dimostrare chi è stato il solo colpevole! -

Nascose la lettera nel portafogli, si fregò le mani, poi disse al giovane:

- Adesso avvicinatevi e parliamo: le ricerche che volete fare per conoscere il legame che ha reso di voi, galantuomo, il complice di un gentiluomo altrettanto vile quanto miserabile, l'ho incominciate io stesso e con buon risultato. Ebbene, quello che la contessa Bianca suppone, è la verità: voi siete il secondo figlio della contessa Rossano. -

Fabio arrossì, poi tornò pallido: tutto il suo corpo tremava dalla commozione.

- Suo figlio? - ripetè, - E non mi ha dato il nome di mio padre?

- Ascoltatemi, Fabio, e non credete che io oltraggi la memoria della donna che fu vostra madre: tutto quanto vi dirò, posso provarvelo. Oh! questa minuziosa investigazione del passato di una morta mi è costata non pochi sforzi, ma ci sono riuscito. -

Infatti il magistrato narrò tutta la storia della contessa Stefana Rossano, del frutto del suo adulterio, delle dissolutezze di Livio, che fece poi vittima Giulietta, armando la mano di Fabio, e la povera contessa Bianca.

- Ora, - concluse - il conte è di nuovo ìncapriccito di Cinzia, e forse finirà col proporvi di sopprimere anche sua moglie. -

Un grido d'angoscia sfuggì dalla strozza di Fabio.

- Non temete per la contessa Bianca; - soggiunse il magistrato - il conte ormai è nelle nostre mani: Cinzia è nostra alleata. Colei detesta il conte, e ambisce a divenir moglie del marchese Passiflora. Ora non fa che tenere a bada Livio, ed attende un mio cenno per fargli confessare tutto, mentre voi, io ed altri due testimoni, nascosti in una stanza attigua, ascolteremo la sua confessione. Potete trattenervi a Torino? Io mi accorderò stasera con Cinzia, e domani notte potrete sentir confermare dalla bocca stessa di vostro fratello quanto già sapete.

- Ho promesso alla contessa Bianca di portarle stasera una vostra risposta, e non vorrei mancare.

- Ebbene, andate. Ma domani verso quest'ora tornate da me, vi darò le mie istruzioni; noi non faremo scandali, ma il conte merita di essere punito. -

 

 

 




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