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Carolina Invernizio
I misteri delle soffitte

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IV.

 

Erano circa le dieci. Nella villa regnava il più perfetto silenzio. I domestici si erano coricati, così Milia, dopo avere scambiate poche parole con Fabio.

Bianca, distesa sul letto, sembrava dormisse l'ultimo sonno.

Quando il conte entrò con Fabio, questi disse:

- Io temo che la vista del cadavere finisca col turbarvi e non possiate sopportarla; se me lo permettete, tiro le tende del letto.

- Fai pure! - rispose il conte.

Fabio si affrettò ad obbedire.

Una sola lampada rischiarava la stanza.

- Volete che accenda un altro lume? - chiese Fabio.

- No, - rispose il conte - basta così.... Spingi piuttosto quella poltrona presso alla mia, perchè dobbiamo discorrere. -

Fabio fece quanto egli desiderava.

- Se ho voluto passare la notte qui con te, - cominciò il conte con voce cupa - è stato per rivelarti ciò che nessun altro deve sapere, per farti una confessione che ti strazierà il cuore, come ha straziato il mio. -

Livio sembrò reprimere un singhiozzo.

- Mio Dio, che è successo? - chiese Fabio. - Forse correte nuovi pericoli? Cercano ancora di farvi del male?

- Sì, ed è quella morta, capisci, che si vendica di me, non perdonandomi di avere smascherato il suo amante; quella morta che mi ha odiato fino all'ultimo momento.

- Se non foste voi che me lo diceste, non lo crederei, perchè, vi ripeto, la contessa in questi ultimi tempi sembrava cambiata a vostro riguardo.

- Per meglio ingannarti! - interruppe il conte. - Tu, così ingenuo, fidente, non te ne accorgesti; ma io posso dirti che è riuscita a rivedere il suo amante, posso provarti che Bianca è morta per vendicarsi di me.

- Morta per vendicarsi di voi? - ripete con accento di sorpresa Fabio. - Scusate, conte: non vi comprendo. -

Il conte volse uno sguardo rapido al letto, come se temesse che la morta sorgesse a smentirlo; poi disse:

- Tu credi che la morte di Bianca sia stata naturale? -

Fabio finse di scattare sulla poltrona, stralunò gli occhi.

- Ma non so, non capisco...! -

Livio si chinò ancora più verso lui.

- Mia moglie è morta avvelenata! - disse piano.

Fabio gettò un grido.

- Avvelenata? Come? Da chi?

- Da stessa.

- Un suicidio, dunque?

- Sì, un suicidio, per perdermi. -

Fabio era divenuto pensieroso.

- Ma come ha potuto procurarsi il veleno?....

- Ecco ciò che ignoro, ma un momento o l'altro lo scopriremo.

- Ma voi, in qual modo indovinaste...?

- Dalla lettera che tu mi consegnasti da parte della defunta, lettera che è tutta una minaccia, un insulto per me. Bianca mi dice che ha nascosto nella cassaforte il resto dell'elixir da me inviatole, con la dichiarazione che contiene del veleno.

- Non è vero, però? - interruppe Fabio, mostrandosi agitato.

II conte alzò le spalle.

- Non capisci che il veleno vi è stato posto da Bianca, la quale ha così dato sfogo al suo odio contro me! Ma se quella boccetta con quella dichiarazione venisse trovata, io sarei perduto. -

Il viso di Fabio si era contratto.

Egli volse uno sguardo disperato alla cassaforte.

- Come fare? La chiave non è nella serratura, e noi non possiamo sforzare il mobile.

- Io so dove si trova la chiave; - disse lentamente il conte - Bianca stessa me lo dice nella sua lettera. Ma ella è sicura che io non la toglierò mai dal posto dove si trova, e per questo mi affido a te. Sì, tu solo puoi rendermi un tale servizio, e me lo farai, altrimenti ne va del mio onore, della mia vita.

- L'onore e la vita del vostro schiavo - disse Fabio - non hanno alcun valore, quando si tratta della vostra salvezza; io sono pronto a sacrificarli per voi. Ditemi dove si trova quella chiave.

- Al collo della morta, - rispose il conte tremando - ed io non avrò mai il coraggio di togliergliela. -

Fabio si passò una mano sulla fronte.

- Sarebbe una profanazione, quasi un delitto!

- Pensa che, diversamente, io sono perduto; ricordati la raccomandazione della tua benefattrice, la preghiera di tua madre. -

Fabio scattò in piedi.

- Avete ragione! - disse con accento risoluto. - Perdonatemi se ho esitato un istante. -

Si diresse di passo fermo verso il letto funebre, ne tirò di nuovo le tende.

Il conte, più livido del cadavere, seguiva ogni movimento del giovane, senza muoversi dal suo posto.

Egli vide Fabio chinarsi verso la salma e ad un tratto indietreggiare con un grido, mentre la morta si sollevava sul letto, e con una voce che sembrava venisse di sotterra, pronunziava queste parole:

- Non ti basta, Livio, di aver fatto di tuo fratello un assassino; vuoi che sia anche ladro? -

Il conte tentò di rispondere, ma la voce gli spirò nella gola; fece per alzarsi, ma i suoi piedi ricusarono di muoversi e si ripiegò svenuto.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Quando risensò, era nella propria camera e dinanzi a lui, colle braccia incrociate sul petto, stava Fabio.

Ma il giovane non aveva più l'aspetto timido, sommesso, che il conte gli conosceva.

Egli alzava fieramente la bella testa, ed i suoi occhi fissi su lui avevano un'espressione di freddo disprezzo.

- Io sogno.... - mormorò Livio.

- No, tu sei sveglio, Caino.... - rispose Fabio sordamente. - Guardami, guardami bene.... Sono io, Fabio.... tuo fratello! -

Il conte ricominciava a riprendere la sua audacia.

Si raddrizzò con violenza.

- Mio fratello.... tu? Chi ti ha dato ad intendere simili menzogne?

- Dimentichi la confessione fatta da te stesso alla tua degna amante Cinzia? - rispose Fabio ridivenendo ad un tratto calmo, ma di una calma terribile. - Io ero ad ascoltarti, e non ero solo: altri raccolsero la tua confessione, mentre tu aprivi per la prima volta la tua anima alla donna che ti tradiva.

- Tu menti! - ruggì il conte.

- Ho le prove di quanto ti dico, e sono in mani sicure.

- Ebbene, ammettendo che tu sia figlio di mia madre, tu sei un bastardo, e non pretenderai adesso di avere gli stessi diritti del figlio legittimo.... Dovresti ringraziare Dio se ti venne dato un nome! -

Fabio vacillò sotto l'ingiuria, ma sollevando tosto con più fierezza la testa:

- Sì, quel nome mi sarebbe bastato, - pronunziò - se tu non ti fossi compiaciuto di trascinarlo nel fango. Io non ti contendo i tuoi diritti, ma sono qui per chiederti conto di tutte le infamie che m'inducesti a commettere. Che facesti tu e mia madre del fanciullo che nella sua innocenza vi credeva suoi benefattori, del fanciullo che aveva lo stesso vostro sangue nelle vene? Un vile schiavo ed un sicario. Una povera fanciulla da te ingannata sotto il mio nome, ti dava noia per i tuoi progetti di matrimonio; tu armasti la mia mano per sbarazzarti di lei, facendola apparire un mostro di dissolutezza. Una buona creatura da me amata suscitò il tuo capriccio, e tu fosti lieto della mia condanna che la toglieva a me e la dava nelle tue mani. Avevi ideato di perderla. -

- Non è vero! - urlò il conte.

- Se essa è sfuggita al tuo oltraggio, - proseguì Fabio - non è stato per tua volontà. Un giovane onesto, che aveva raccolta tua figlia, che venerava la contessa come una santa, destò la tua invidia e te ne sbarazzasti, facendolo passare per ladro. Non parlo di tutte le altre tue vittime: tuo suocero, la signora Rivalta, morti di crepacuore. Vengo alla contessa. Non ti bastava di averle tolto il padre, cercasti di sopprimerla avvelenandola. Ed avevi scelto di nuovo me per versare la morte alla povera martire. Ma Dio era stanco delle tue infamie e permise che io aprissi gli occhi sul tuo conto e che la contessa fosse salva. -

Un grido di rabbia sfuggì dalle labbra di Livio.

- È dunque commedia la morte di Bianca? - esclamò.

- Sì, commedia, per smascherarti interamente. Neppure davanti a quella donna che tu credevi cadavere avesti un lampo di rimorso per quello che volevi farmi commettere. Ebbene, vedi: benchè io sia povero, disprezzato, non abbia il nome che tu porti, mi sento più grande di te, vorrei cambiare la mia posizione colla tua. Potrei ucciderti con la mie mani, ma non voglio fare la parte di Caino; eppure, se ti lasciassimo vivere, tu faresti ancora del male! -

Quest'ultima frase riempì Livio di terrore. Egli si portò le mani in tasca, come se cercasse un'arme che non aveva, digrignò i denti e con voce spezzata:

- Che vuoi dunque da me? - chiese. - Pensi che io voglia farmi saltare le cervella?

- No, qualcuno ti suggerirà una morte meno violenta. -

Fabio aprì l'uscio e chiamò a voce alta:

- Gina! -

La figlia di Giulietta Lovera comparve. Essa assomigliava così stranamente alla madre, che il conte indietreggiò terrorizzato, come se si fosse veduto sorgere dinanzi la sua vittima.

La fanciulla vestiva di nero, ed il suo adorabile viso aveva una gravità che colpiva.

Ella teneva nella mano destra una chiave, ed avvicinandosi al conte:

- La mamma vi manda questa chiave, - disse, con una voce che scosse tutte le fibre del miserabile - perchè possiate aprire la cassaforte e prendere la boccetta di liquore che vi guarirà per sempre. -

Livio non rispose, non stese la mano.

Guardava quella fanciulla, e grosse gocce di sudore gli scorrevano sulla fronte.

- Non la volete? - proseguì Gina. - Avete paura? Eppure la mamma mi ha detto che siete forte e terribile! Io vi temevo e vi odiavo senza conoscervi, ma ora che mi hanno detto che siete ammalato, non vi temo vi odio più, e vi darò la medicina per guarire, così diverrete buono, vi pentirete del male fatto. -

Il conte continuava a guardarla, e ad un tratto chiese bruscamente:

- Come sei qui?

- Dio mi ha guidata qui per salvare la mamma.

- È dunque la contessa, la tua mamma? - ripetè il conte sogghignando.

- Sì, la mammina del cuore; l'altra mamma.... me l'hanno uccisa, ma Dio punirà il suo assassino! -

Il sogghigno del conte si accentuò.

- Sai chi sia stato il suo assassino? Guardalo.... l'hai dinanzi a te. -

E le indicò Fabio, che era divenuto livido.

La fanciulla gettò un grido, poi, spinta da un'angoscia indicibile, si slanciò verso Fabio.

- Non è vero! - esclamò, - Dimmelo tu! Quell'uomo cattivo ha mentito per far del male anche a te!

- No, Gina; - rispose con gravità e tristezza il giovane - quell'uomo ha detto la verità: per obbedire a lui, io tolsi dal mondo la tua povera mamma. -

Gina si mise a singhiozzare.

Fabio le si inginocchiò vicino.

- Io ho pianto a lacrime di sangue il delitto fattomi commettere da quell'uomo, - proseguì - ma la tua povera mamma apparve a me una notte, stendendomi la mano, dicendomi che mi avrebbe perdonato il giorno in cui il vero colpevole fosse punito. Io ti giuro, Gina, che quando colui sarà punito, mi ucciderò, e tu allora mi perdonerai come mi perdonerà tua madre. -

La fanciulla esitò un istante, poi si slanciò al collo di Fabio.

- Io non voglio che tu ti uccida; ti perdono, come ti perdonerà la mamma, ti vorrò bene come prima, perchè tu non sei colpevole; l'assassino è lui! -

E volgendosi al conte:

- Sì, siete voi, - soggiunse - doppiamente cattivo, perchè dopo che avete fatto ammazzare la mamma, accusate un altro: la mamma non vi perdonerà mai, come io non vi perdono: voi mi fate paura, io vorrei vedervi morto! -

Gettò la chiave in terra e si avvinghiò di nuovo a Fabio.

- Portami via, - mormorò supplichevole - non voglio vederlo! -

Nello sguardo del conte passò un lampo di odio, ma Fabio e la bambina non se ne avvidero, perchè uscirono dalla stanza, lasciandolo solo.

La collera di Livio, fino allora repressa, scoppiò terribile. Egli morse con rabbia disperata un fazzoletto che teneva nelle mani, imprecò, bestemmiò.

- Anche lui contro di me! - diceva. - Caino! Mi ha chiamato Caino, e lo sarò! Anche Cinzia mi ha tradito! Miserabile! Se potessi averla fra le mani.... Ah! credono che io voglia prendere il veleno? Stupidi tutti! La vita mi preme troppo e voglio conservarla per vendicarmi! Ah! tutti sperano che io scompaia! Ebbene, non sarà questa la soluzione che vi aspettate! Io prenderò ancora la mia rivincita, e quale rivincita: lo vedrete! -

Egli aprì un cassetto del suo scrittoio e ne trasse una rivoltella carica a sei colpi, che si mise in tasca.

Poi raccolse da terra la chiave che vi aveva gettata Gina, e si avviò all'appartamento di sua moglie.

Era sorto il giorno, ma nella villa il silenzio era perfetto.

Il conte entrò nella camera di Bianca.

Non vi era alcuno.

Livio volse subito gli sguardi alla cassaforte, e quando vi giunse vicino, i suoi occhi si fecero ardenti.

Egli mise la chiave nella serratura, aprì.

Vide subito la boccetta dell'elixir, con accanto un foglio piegato.

Ma prima di prenderlo il conte rovistò febbrilmente nella cassaforte, sperando di trovarvi dei valori, o i gioielli della contessa.

La cassaforte era vuota.

Un'onda di sangue gli salì al capo.

- Nulla, più nulla! - gridò.

Allora, con una rabbia impossibile a descriversi, strappò coi denti il foglio vergato da Bianca senza neppure leggerlo, e afferrata la boccetta, la scagliò a terra: il liquido si sparse sul pavimento.

Poi, con una furia da pazzo, il conte si slanciò verso l'uscio.

Ma sulla soglia stava la contessa Bianca, sorridendo con sanguinosa ironia.

Il conte indietreggiò come fulminato. Egli non riconosceva quasi più sua moglie in quella donna dal volto animato, dagli occhi brillanti.

Essa inoltrò di qualche passo e disse:

- Sapevo bene che non avevate cuore orgoglio, che la vostra anima è inaccessibile al pentimento, che nulla vi avrebbe commosso, neppure la vista della vostra innocente bambina. Inoltre, siete troppo vigliacco per uccidervi! -

Ad ogni insulto di quella donna, il conte trasaliva; ma non era quello l'istante di porre in opera quanto aveva divisato. Giacchè sua moglie era , egli l'avrebbe costretta a dargli tutto il denaro, a firmare ciò che voleva.

- Venite voi dunque a darmi la morte? - domandò.

Bianca fece un atto di altero disprezzo.

- Non sono un'assassina! - . rispose, - E giacchè siete tanto attaccato alla vita, nessuno qui ve la toglierà. Solo vi avverto che, dietro la vostra completa confessione, che cinque testimoni, compresi due magistrati, hanno accolta, voi non sfuggirete alla giustizia umana. È già stato spiccato l'ordine di arrestarvi, e solo dietro una mia preghiera, per non suscitare scandalo, hanno lasciato che prima venissi a proporvi io stessa il patto, che solo varrà a salvarvi.

- E questo patto? - chiese egli con tono leggermente beffardo.

- Voi lascerete subito l'Italia: vostro fratello stesso vi accompagnerà fino all'Havre, ed al momento del vostro imbarco per il nuovo mondo, vi consegnerà una somma bastante a sopperire al vostro viaggio, ai vostri primi bisogni. Dopo, cercherete di guadagnarvi la vita ed espiare, col lavoro, l'indegna vostra condotta passata. Per me sarete morto, perchè scriverete un biglietto, in cui direte che, stanco di un'esistenza torturata dai rimorsi, vi siete ucciso. -

Il conte era ritornato calmo.

- E questo biglietto devo lasciarlo a voi?

- Sì.

- Ebbene, sarete soddisfatta; datemi carta e calamaio, ed io lo scriverò subito per mostrarvi che non sono il vile che credete e che qualche cosa di buono è ancora in me. -

Mentre Bianca obbediva, il conte si strinse il capo fra le dita convulse, e come parlando a stesso:

- Sì, sono stato un grande colpevole! - disse in tono violento. - Non merito il perdono di alcuno! -

La contessa era commossa: senza guardare il conte, si chinò a disporre sul tavolino la carta da lettere ed il calamaio.

In quel momento sentì un soffio ardente alle sue spalle; si volse di scatto e si trovò dinanzi il marito, livido, con gli sguardi scintillanti di selvaggia energia, la mano armata della rivoltella.

- Credevi di trionfare, - esclamò Livio con un'esaltazione che andò crescendo - credevi di liberarti per sempre di me, di avermi nelle tue mani vinto, umiliato! Invece sei tu nelle mie: quella carta servirà a te stessa per scrivere che metà della tua sostanza mi appartiene interamente. Vedi che sono discreto; ma se tu esiti a scrivere, io ti uccido! -

La contessa, alla vista della rivoltella, aveva provato un brivido di terrore, ma subito riprese la sua calma, perchè vide sollevarsi il panneggiamento di un uscio ed apparire Fabio alterato, irriconoscibile per lo spavento.

Egli inoltrava in punta di piedi dietro al fratello: ma all'istante di afferrare il braccio che teneva la rivoltella, un movimento lo tradì.

Livio si rivolse e gettò un grido di rabbia.

- Ah! tu stavi a spiarmi? - urlò furente. - Vattene, vattene, o non rispondo più di me!

- Colpisci dunque, Caino, colpisci! - esclamò Fabio presentando il petto al fratello.

Bianca, presentendo il pericolo che il giovane correva, si gettò a sua volta sopra il conte per disarmarlo, ma non fu a tempo.

Uno sparo rintronò, e Fabio, colpito alla spalla sinistra, cadde senza gettare un grido.

- Assassino, fratricida! - urlò Bianca pazza dal terrore. - Aiuto! Aiuto! -

Due uomini si precipitarono nella stanza: Aldo Pomigliano e Umberto Trani.

Livio non li riconobbe: egli non era più un uomo, ma una belva.

- Fatemi largo.... o ammazzo tutti! -

Tre altri spari rintronarono nella stanza: fortunatamente i colpi andarono a vuoto.

Ma Livio aveva ottenuto in tal modo il passo libero e si slanciò fuori, mentre gli altri non si occuparono più che di Fabio steso a terra, immerso nel sangue. Il conte scese, sempre correndo, nel parco, e si mise a percorrerlo come un forsennato, continuando a sparare colpi all'impazzata.

Ma la rivoltella era ormai scarica; tuttavia egli continuava a fare scattare il grilletto, in preda a un delirio orribile, mentre le tenebre avvolgevano la sua mente.

Alla svolta di un viale si fermò: un uomo gli era sorto dinanzi, un uomo armato egli pure di rivoltella.

- Ah! finalmente ti ritrovo! Mi riconosci? - disse costui sbarrandogli il passo. - La Provvidenza mi ha scelto per porre un termine ai tuoi delitti: tu morrai per mano mia!

- Non so chi siate! Indietro, o vi uccido io per il primo! - urlò a sua volta il conte.

E spianò contro lui la rivoltella scarica.

- Io morrò, ma vendicato! - rispose prontamente l'altro, lasciando a sua volta partire il colpo.

Fu la cosa di un attimo. Un lampo brillò, un grido si intese, e il conte, colpito in pieno petto, cadde al suolo fulminato.

L'uomo che aveva fatto giustizia era il signor Guglielmo Rivalta.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Fabio apriva gli occhi alla vita dopo quindici giorni di alternativa fra speranze e timori.

Egli si guardava attorno senza pronunziare parola.

Una donna, col viso alterato dalle veglie e dal dolore, osservava quella prima manifestazione di vita con occhi inondati di pianto: era Ilda.

Allorchè il medico, visitato il ferito, dichiarò che il caso era mortale e che soltanto un miracolo poteva salvare Fabio, Ilda esclamò con passione:

- Io compirò il miracolo! Io lo salverò! -

E non lasciandosi vincere dal dolore, curò Fabio giorno e notte.

Egli era sempre in preda al delirio ed evocava ad alta voce le scene più orribili della sua esistenza, quelle che più erano rimaste impresse nella sua mente.

Invano Ilda cercava di calmare quel delirio con delle pezze ghiacciate.

Fabio si dibatteva, faceva degli sforzi, come se volesse difendersi da un nemico invisibile, respingeva la mano amica, pronta a salvarlo.

E batteva l'aria con le braccia, cercava di gettarsi dal letto, quindi vi ricadeva spossato, mentre le lacrime inondavano il volto di Ilda.

Di quando in quando Fabio sembrava riconoscerla, poi tornava a delirare, consumando così le sue forze, mentre Ilda pregava Dio che prendesse la sua vita, ma salvasse Fabio.

Ma Dio, senza volere tanto sacrifizio da lei, le rendeva l'uomo redento dal dolore, dal pentimento!

Lo sguardo di Fabio, dopo aver vagato a lungo qua e , si fermò ad un tratto, per la prima volta con un lampo di intelligenza, su Ilda, e per la prima volta sembrò che la vedesse.

- Tu? - mormorò. - Tu, mia adorata? Perchè vicina a me? -

Ilda non seppe resistere; chinandosi verso lui, mormorò con voce commossa:

- Per salvarti. -

Fabio fece un brusco movimento.

- Per salvarmi? Forse che corro qualche pericolo?

- No; ma sei stato molto malato. Ora, però, grazie a Dio, tutto è passato: tu sei guarito....

- Per merito tuo, non è vero? -

Ilda sorrise: Fabio le stese la mano; ma spossato da quel breve sforzo, richiuse gli occhi e si addormentò.

Dormì per molte ore, Ilda si mosse dal suo posto.

Quando il medico giunse, Fabio dormiva sempre, lo svegliò, assicurando Ilda che quel riposo tranquillo era vita per lui.

- Quando si sveglierà, - disse - comprenderà tutto e potrà dirsi completamente guarito. -

La contessa Bianca, Aldo o Gina entrarono nella camera per assicurarsi coi loro occhi del miglioramento di Fabio.

Ed un sospiro di sollievo sfuggì dai loro petti.

Allorchè Fabio riaperse di nuovo gli occhi, era perfettamente in .

Riconobbe Ilda e sorrise.

- Ah! sei tu, sempre tu! - disse con voce debole. - Quanto sei stata buona con me, che ti ho disconosciuta! Dimmi: fui ferito gravemente?

- Sì, ma oramai ogni pericolo è scomparso.

- Mi trovo sempre alla villa Bianca?

- Sempre. -

Fabio si passò una mano scarna sulla fronte, e con voce leggermente alterata:

- E mio fratello? - mormorò.

- Non pensare a lui, adesso: quando sarai più forte ti dirò tutto.

- Lascia almeno che ringrazi te, che mi hai dato una seconda vita. -

Le stese le mani, l'attirò a se: le loro labbra s'incontrarono in un lungo bacio.

Il domani egli era più forte, e, risvegliandosi, trovò al suo capezzale non solo Ilda, ma la contessa Bianca, Gina ed Aldo.

Quante esclamazioni di gioia quando il convalescente li salutò tutti a nome, sorrise loro fissandoli con sguardi dolci e turbati!

Per molti giorni nessuno ricordò a Fabio i fatti avvenuti; ma allorchè il giovane cominciò ad alzarsi, ruppero il silenzio che diveniva ormai penoso.

Ilda lo informò di quanto accadde dopo la scena rapida e violenta fra lui ed il fratello, che aveva cercato di ucciderlo.

Raccontò la fine del conte.

La gente, però, non sapeva il vero; la notizia era stata diffusa dal Trani, dal Meralta e dal marchese di Passiflora: Livio Rossano si era suicidato.

Un mandato di arresto era stato spiccato contro lui, dopo una confessione firmata da cinque testimoni, in cui il conte aveva rivelato delle perfidie che nessuno avrebbe mai immaginate.

Così si seppe che l'assassinio di Giulietta Lovera era stato ordito e fatto consumare da lui onde sbarazzarsi della giovane che gl'impediva di contrarre il suo matrimonio con Bianca.

Così pure si scoprì che il tentato strangolamento di Ilda ed il furto del quale venne accusato Aldo Pomigliano, erano stati perpetrati dallo stesso conte pe' suoi fini tenebrosi.

Inoltre il conte stava per commettere un ultimo e più infame delitto cercando di avvelenare la moglie; ma la giustizia, avvertita in tempo, si era recata alla villa per arrestarlo.

Nella colluttazione che aveva avuto luogo per impossessarsi di Livio, questi, perduta la testa, aveva tirato alcuni colpi di rivoltella, andati a vuoto, poi si era slanciato nel parco, ed ivi si era suicidato.

Ilda aggiunse che Cinzia, arrestata, aveva confermato quei particolari, ed era stata tale l'impressione provata per la tragica fine del conte, che la sciagurata si trovava morente nell'infermeria delle carceri.

La giovane concluse che nessuno aveva fatto parola della ferita riportata da Fabio, dei suoi legami col conte, alcuno avrebbe avuto il minimo dubbio sul suicidio di lui, se una lettera di Guglielmo Rivalta, ricevuta dalla contessa Bianca, non avesse rivelato che lo sventurato aveva fatto giustizia del colpevole e si era poi ritirato in un convento a finire i suoi giorni, persuaso che Dio lo avrebbe perdonato e ricongiunto alla sua adorata Severina.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Sei mesi dopo, la villa Bianca era di nuovo in vendita.

Bianca Rossano si era ritirata nella tenuta di suo padre, e Fabio, marito felice di Ilda, era divenuto amministratore dei beni della contessa. Sua moglie era la più devota amica della giovane vedova.

Gina non aveva più lasciata la sua cara mamma. Aldo invece aveva ripreso dimora a Torino, continuando i suoi studi ed i suoi esperimenti sopra un modello di macchina, che un giorno gli procurerebbe fama e fortuna.

Il tempo scorreva tranquillo nella tenuta.

Una volta alla settimana Aldo vi compariva, ed era una vera festa per tutti, ma specialmente per Bianca.

Due anni scorsero così.

Una mattina Bianca ricevette un telegramma che le fece battere il cuore a colpi precipitosi,

Diceva; «Stasera sarò costì a prendere il premio del mio lavoro. Aldo

Questo voleva dire che il disegno esposto della macchina inventata da Aldo aveva riportato un trionfo.

Ed a questo trionfo era collegato il suo avvenire e quello della contessa.

Perchè egli non avrebbe mai aspirato alla mano di lei finchè non avesse potuto offrirle un nome degno di lei.

Quando Aldo giunse alla tenuta, tutti erano ad aspettarlo.

Egli fu condotto in casa quasi in trionfo; ma dopo cena, quando la notte fu calata, tutti si ritirarono, lasciando Bianca e il giovane soli.

Ella sedeva accanto al balcone aperto; egli le si mise ai piedi.

La luna brillava, inondandoli di un mite e soave chiarore.

- Bianca, adorata! - sussurrò Aldo guardando la giovane che la felicità rendeva ancora più bella. - Ora sarai mia per sempre, non è vero? Nulla più ci dividerà! Ora anch'io ho uno stato da offrirti....

- Credi forse che se tu non fossi riuscito avrei rinunciato a te? - rispose Bianca senza arrossire. - Io fui tua fino da quando mi considerasti come una sorella, e se adesso vado orgogliosa del tuo trionfo, è solo per te. Aldo, credi al mio amore?

- Se ci credo! Ma è il tuo amore che mi ha dato la forza di soffrire, di lottare! E qual premio migliore posso ottenere che quello di farti mia per sempre! Bianca, io ti adoro, noi saremo felici, l'avvenire è nostro! -

L'attirò a , senza che ella opponesse resistenza, e per la prima volta le loro labbra s'incontrarono in un lungo bacio d'amore.

 

FINE.

 



[1] "" nel testo. [Nota per l'edizione elettronica]




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