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Carolina Invernizio I misteri delle soffitte IntraText CT - Lettura del testo |
VII.
L'assassino aveva subito un primo interrogatorio nel gabinetto del giudice istruttore, ma a tutte le domande di questi si rifiutò di rispondere, giurando che era innocente.
Nel camiciotto del pierrot, nelle tasche dei calzoni nulla si era trovato che potesse stabilirne la identità.
Ma il giudice istruttore, rileggendo i punti salienti dell'inchiesta, fu colpito da una osservazione che dapprima gli era sfuggita.
Era il rapporto dell'ispettore e di un agente, i quali avevano osservato l'effetto prodotto dalla vista della sorella di Aldo Pomigliano sulla povera Giulietta, la quale pronunziò parole strane a suo riguardo:
- Lei? Lei? Ma non sa....? -
Dunque, costei conosceva la giovane, e forse lo studente stesso era stato in intimi rapporti colla sventurata.
Assalito da questi sospetti, Umberto Trani fece chiamare l'ispettore, interrogandolo su questa circostanza.
- Io dubito, - rispose l'ispettore - che quella signora sia sorella dello studente. Il signor Aldo Pomigliano non è ricco, e a furia di sacrifici riesce a sbarcare il lunario. Ora quella signora portava orecchini di brillanti di una grossezza maravigliosa, aveva le dita cariche di anelli di valore, un abito ricchissimo. A me pare che una provinciale non vestirebbe in tal guisa per recarsi a trovare un fratello povero nelle soffitte.
- Avete ragione. Quello studente mi ha gabbato. Ma saprò fargli pagar cara la sua astuzia. Intanto vi ringrazio delle vostre informazioni. -
Dopo un paio di giorni, il Trani fece chiamare Aldo, cui disse semplicemente che telegrafasse alla sorella di venire a Torino, avendo necessità di parlare con lei.
Quando Aldo, sconvolto, era uscito dal gabinetto del giudice, vi entrò un agente per avvertirlo che Teresa, colei che teneva in custodia la bimba della vittima, veduto il ritratto che la questura aveva fatto fare all'assassino, l'aveva riconosciuto per il seduttore della povera Giulietta.
Il magistrato si fregò le mani dalla soddisfazione.
- Siamo in porto! - esclamò. - Le lettere della vittima ci danno il nome dell'assassino. -
Ne prese una dal pacchetto che aveva sopra lo scrittoio, ne guardò la firma e fece un gesto di trionfo.
- Fabio Ribera! Si vede che egli non supponeva che la sua vittima conservasse tutte le sue lettere. Ora sarà facile avere delle informazioni su lui; procuratemele. -
La sera dello stesso giorno ebbe un esteso rapporto sull'assassino.
Fabio Ribera era designato come un giovane onestissimo, commesso in un negozio di mode. Dieci giorni prima del fatto, aveva chiesto al principale di assentarsi per un mese, dovendo recarsi fuori di Torino per affari di famiglia. Per cui il principale lo credeva in viaggio.
Nessuno poteva prestar fede all'accusa contro lui, tanto il suo tenore di vita era quieto. E poi, si sapeva che amava una buona fanciulla, commessa nello stesso negozio, e che dovevano presto sposarsi. Anzi, la giovane era persuasa che il suo Fabio si trovasse lungi da Torino, appunto per ritirare carte relative al loro matrimonio. Il giudice istruttore era pensieroso.
- La matassa è più imbrogliata di quello che credevo! - diceva fra sè. - Se il rapporto dice il vero, quale sarebbe stato il movente dell'assassinio? Forse che Teresa, la moglie del falegname, si è ingannata credendo di riconoscerlo? Li metterò a confronto. -
Il domani, verso le dieci, il prigioniero fu condotto nel gabinetto del magistrato.
- Ebbene, persistete a negare di essere stato l'assassino di Giulietta, sebbene designato da lei stessa prima di morire? - gli domandò il magistrato.
- Sì, signore.
- Chiamate la teste! - disse il giudice al cancelliere. L'accusato si rivolse verso l'uscio di entrata e si trovò a faccia a faccia con Teresa.
Ma egli non fece alcun gesto di sorpresa, come se si fosse trovato dinanzi ad una persona sconosciuta.
Teresa, invece, dopo averlo guardato un momento, gridò con accento indignato:
- Sì, lo riconosco, è lui, il birbante! È il fidanzato di Giulietta, colui che vidi spesso con la poverina!
- V'ingannate! - rispose il giovane.
- Ah! m'inganno? La vedremo, assassino!... Sei proprio tu: ti riconosco dal neo che hai sulla guancia. -
Il giudice istruttore soggiunse:
- Ormai è inutile che neghiate, Fabio Ribera! -
Un tuffo di sangue salì al viso dell'accusato.
- Sapete il mio nome? - balbettò.
- Sappiamo tutto quanto vi riguarda, e le vostre lettere da voi firmate, scritte a quella povera infelice, sono qui ad attestare la vostra iniquità verso colei che, dopo essere stata vittima di un'infame seduzione, fu da voi assassinata! -
L'accusato ascoltava come se non capisse.
- Le mie lettere? Firmate da me?
- Sì, da voi, guardate: non riconoscete la vostra calligrafia, la vostra firma? -
Così dicendo, il giudice istruttore pose sotto gli occhi dell'accusato il foglio tolto poco prima dal pacchetto.
Il giovane lo guardò, e subito cadde svenuto.
Quello svenimento fu per il magistrato una prova luminosa della colpabilità del giovane.
Egli aveva cambiato interamente aspetto.
Vi era in lui qualche cosa di risoluto, come se compiesse un dovere penoso dinanzi al quale non si indietreggia.
- Sono pronto a rispondere a tutte le vostre interrogazioni! - disse.
Un lampo di trionfo passò negli occhi del magistrato, che riunite alcune carte e fatto un segno al cancelliere, disse all'accusato:
- Prima di tutto, il vostro nome e cognome?
- La vostra età?
- Dove siete nato?
- A Torino.
- La vostra professione?
- Commesso in un negozio di mode.
- Confessate di aver colpito volontariamente, coll'intenzione di uccidere, l'operaia Giulietta Lovera, detta la Bionda?
- Lo confesso.
- Il vostro delitto è stato premeditato?
- No. Giulietta stessa mi ci spinse.
- In qual modo?
- Un tempo Giulietta fu mia amante. Ma poi la incontrai due volte al ballo pubblico con un individuo che non volle dirmi chi fosse; incontrai lo stesso individuo una sera sulle scale della sua abitazione e fin da quel momento ruppi ogni relazione con lei.
- Cioè, non vi faceste più vedere, senza spiegarle il motivo della rottura. Agiste da vile. Quando l'abbandonaste, sapevate di averla resa madre?
- No; seppi un mese fa che essa aveva una bambina, ma non sono sicuro della mia paternità.
- Calunniate la morta!
- Ho tutto il diritto di fare questa supposizione, dal momento che Giulietta mi nascose il suo stato. E confrontando la data della nascita della piccina, è facile desumere che la giovane era già madre prima della nostra separazione.
- Da quando la lasciaste, non la rivedeste più?
- La vidi un mese fa. Non pensavo più a lei, vivevo tranquillo, quando una mattina nell'uscire di casa m'imbattei con Giulietta. Essa mi disse:
«- Venivo a cercarvi.
«- Sono ai vostri ordini, - risposi.
«Capivo che era inevitabile una spiegazione.
«La condussi nel mio piccolo alloggio, le chiesi ciò che desiderava.
«Giulietta mi rimproverò la mia condotta, insultandomi. E fu allora che mi rivelò la sua maternità,
«Ma io a mia volta le risposi indignato che non la credevo, e allusi ad altri suoi sconosciuti amanti.
«Giulietta andò su tutte le furie. Poi mi intimò di abbandonare la fanciulla che da tre mesi è mia fidanzata e che dovevo sposare dopo Pasqua. Le chiesi con qual diritto mi imponeva questo, ed aggiunsi che mai avrei acconsentito al suo volere.
«- Lo farete, altrimenti andrò io stessa da quella giovane, mostrandole la vostra creatura. -
«Ebbi paura. Io amo Ilda, e sono da lei riamato. Se Giulietta si fosse presentata davvero a lei, la giovinetta non avrebbe più voluto saperne di me.
«La scongiurai di desistere dalla sua idea, le offersi perfino di passarle una pensione per la bambina.
«Tutto fu inutile.
«- Se fra quindici giorni non ho prove sicure che l'avete abbandonata, - mi disse - penserò io ad allontanarvi da lei. -
«Se ne andò, senza che io avessi la forza di trattenerla. -
Il magistrato l'aveva ascoltato con aria severa.
- Allora, - disse - concepiste il disegno di assassinarla?
- No, - rispose Fabio. - Io provavo soltanto un rancore amaro contro Giulietta, cui scrissi supplicandola di risparmiarmi, soprattutto di risparmiare Ilda. Ma più io mi umiliavo, più Giulietta diveniva crudele.
«- Vi dò altri otto giorni di tempo, - rispose alle mie preghiere - spirati i quali sarò inesorabile! Se io non avrò il vostro anello di sposa, non l'avrà neppur l'altra; è giustizia. -
«Ero furente, ma non pensavo di ucciderla. Volli avere un ultimo colloquio con lei, deliberato a suicidarmi se ella fosse inflessibile.
«Scelsi, per recarmi da Giulietta, la sera di giovedì grasso, sicuro che una parte degli inquilini delle soffitte sarebbero assenti. Io tenevo ancora una chiave della stanza di Giulietta.
«Non sapendo quello che potesse accadermi, avevo chiesto un permesso al mio principale, dicendo di assentarmi da Torino per andare a ritirare delle carte concernenti il mio matrimonio.
«Passai parte della sera girovagando per le strade nel mio costume da pierrot.
«Era quasi la mezzanotte quando mi decisi di arrischiare tutto, pure di non perdere Ilda.
«Salii le scale, introdussi la chiave nella serratura e stavo per aprire, allorchè il rumore di gente che saliva le scale mi fece spengere il cerino e dirigere da quella parte.
«Mi trovai a faccia a faccia col giovane che poi mi arrestò e che mi pento non avere strangolato. Egli teneva stretta al braccio una signora elegantissima, in domino nero.
«La mia presenza li rese muti; forse ispirai loro paura. Il giovane si affrettò ad aprire il suo uscio, a introdurre la signora, e disparve con lei.
«Allora entrai a mia volta nella soffitta di Giulietta, e accesi una candela.
«Io la svegliai, chiamandola per nome.
«Essa aprì gli occhi ed esclamò:
«- Tu! Che vieni a far qui, a quest'ora? Come sei entrato?
«- Colla chiave che mi desti un giorno tu stessa: domani scade il termine da te impostomi, e vengo per sapere se sei decisa a rovinarmi, a distogliere da me la fanciulla che amo.
«- Miserabile! - esclamò. - Non mi rovinasti, tu? No, non ti risparmierò!... Voglio che Ilda ti disprezzi, ti odi! -
«- E se io ti facessi tacere per sempre? - le dissi.
- Tu?... Ma io chiamerò aiuto.... Assassino!... -
«Alzava la voce; io non fui più padrone di me, e colpii, eccitato dalle grida di lei, cieco di furore, di rabbia.
- E non pensaste all'innocente creatura che riposava tranquilla presso sua madre e che è vostra figlia? - disse il giudice istruttore.
- Respingo in modo assoluto tale paternità.
- Non vi pentite di aver uccisa la giovane che un giorno amaste?
- No; essa mi ha spinto al delitto minacciandomi di farmi perdere l'amore di Ilda.
- L'avete perduto lo stesso, macchiandovi le mani di sangue. Credete che, se quella giovinetta è onesta, possa amare un assassino? Voi le desterete orrore.
- Non lo dite, non lo dite, o impazzo! -
Ed il giovane, fino allora risoluto, quasi calmo, divenne tremante, agitato, i suoi occhi si empirono di lacrime, le sue mani si torcevano con violenza.
A stento potè firmare il suo interrogatorio, così che la calligrafia apparve ben diversa da quella delle lettere. Ma il magistrato non vi pose mente, e se anche l'avesse osservato, non ne avrebbe fatto caso tanto la mano del giovane tremava.
Mentre egli usciva dal gabinetto del giudice istruttore, una signora elegante, che aveva consegnato allora un biglietto per il magistrato ed attendeva di essere ricevuta, trasalì nel vedere l'imputato.
Eppure Bianca, giacchè era lei, non conosceva l'assassino di Giulietta! Ma quel giovane pallido, di aspetto quasi femmineo, le ricordò vagamente suo marito.
L'assassino, dal canto suo, sussultò alla vista di quella signora nella quale riconobbe il domino di quella notte funesta in cui aveva naufragato tutta la sua felicità.
Bianca entrò nel gabinetto del giudice istruttore. Egli le andò incontro coi segni del più profondo rispetto.
- Desiderate parlarmi? Posso esservi utile in qualche cosa, contessa Rossano?
- Non contessa Rossano; - rispose Bianca con voce debole, ma ferma - sibbene la sorella di Aldo, il domino misterioso che si trovò presente alla morte della povera Giulietta assassinata! -