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Carolina Invernizio
I misteri delle soffitte

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X.

 

L'istruttoria si chiuse senza incidenti. L'assassino era confesso. Si aspettava il processo.

Nelle soffitte della casa dove abitò la povera Giulietta era un vero fermento. Quando si seppe che il cognato di Aldo era giunto da Ivrea per ritirare l'orfanella, molti inquilini corsero da Teresa per abbracciare ancora una volta la piccola Gina, e per vedere il marito di quella bellissima signora in domino, veduta nella tragica notte.

Il signor Rivalta giunse in compagnia del giudice istruttore e di Aldo.

Quando entrarono nella soffitta, Teresa teneva in braccio Gina, già pronta; presso a lei era il marito. Entrambi avevano gli occhi pieni di lacrime; la piccina invece sorrideva, guardando sorpresa tutta la gente che l'attorniava.

Per alcuni giorni Gina aveva pianto, chiamando la mamma; ma a quell'età presto si dimentica, e dopo una settimana la bimba si trastullava allegramente con altre piccine pel corridoio.

Il giudice istruttore sorrise a Teresa.

- Sapete già, a quello che vedo, il motivo per cui siamo qui! - disse.

- Sì, signore; - rispose Teresa - il signor Aldo ci avvertì ieri sera, e sebbene ci sentiamo spezzare il cuore nel separarci da questa creatura, pure comprendiamo ch'è pel suo bene.

- Voi ragionate da quella savia donna che siete, e, credetelo, io stesso non avrei dato il permesso di togliervela, se non sapevo che veniva affidata a buone mani. Spero che la piccina non avrà difficoltà ad andare col signor Rivalta.

- Vuoi venire con me? - chiese questi a Gina, mentre le porgeva una bambola, che aveva tolta dalla tasca del soprabito.

- Sì, - rispose Gina tendendo le manine per afferrare la bambola.

- Carina! - esclamò il signor Rivalta; e rivolto a Teresa soggiunse: - Mia moglie vi manda questa busta per ricompensarvi delle cure da voi avute in questo frattempo per la bambina. -

Così dicendo aveva tratto dal grosso portafogli una busta che porse a Teresa.

Ma questa rifiutò.

- Non accetto, signore, perchè io tenni la bimba per affetto e non per interesse. Ringrazi la sua signora a nome mio, e le dica piuttosto che mi farà un regalo dandomi qual che volta nuove di Gina e permettendomi di recarmi una volta o l'altra a trovarla.

- Vi vedremo con piacere, - rispose il signor Rivalta.

Poco dopo, Aldo col cognato e la bambina, salutato il giudice istruttore che si trattenne ancora avendo da parlare a Lorenzo ed a sua moglie, salirono in una carrozza per recarsi alla stazione.

Aldo guardò l'orologio.

- Non c'è tempo da perdere: - disse - mancano venticinque minuti alla partenza del treno e Speranza sarà ad aspettarci.

- Sono ansioso di conoscere questa bella incognita, che non hai ancora saputo chi sia, - disse il signor Rivalta.

- Perchè non ho voluto saperlo; - rispose con calore il giovane - il mistero mi affascina. Ma Speranza è una gentildonna che merita ogni interesse. Al postutto, mi ha detto che oggi stesso ci rivelerà il suo nome e quanto la riguarda, perchè le parrebbe di mancare di fiducia in mia sorella, in te ed in me se continuasse a serbare il suo incognito. -

Giunsero alla stazione. Gina, cullata dal moto della vettura, si era addormentata colla testina appoggiata al petto di Guglielmo. Questi scese con lei fra le braccia e vide tosto che Aldo, aperto l'altro sportello, si precipitava incontro ad una signora vestita di un elegantissimo abito da viaggio, accompagnata da una donna che portava una valigia.

- Grazie, grazie di essere venuta! - disse Aldo.

Bianca, giacchè era lei, sorrise.

- E la bambina?

- Eccola con mio cognato; vieni, Guglielmo! -

Seguì una breve presentazione. Intanto la donna che portava la valigia, guardando la piccola addormentata, esclamava:

- Dio, come è bella!

- Te l'avevo detto, Celia! - esclamò Bianca. - Ma presto: consegna la valigia al signor Aldo, e tu vattene: non abbiamo tempo da perdere. Ricordati i miei ordini.

- Saranno eseguiti a puntino.

- Aldo, va' a prendere i biglietti, o perderemo il treno! - disse Guglielmo.

- I biglietti li ho già presi io, - esclamò Bianca - appunto per non perdere tempo! -

Lo studente ammirò la squisita gentilezza della signora, Guglielmo ebbe ragione di offendersi di quell'atto.

Un momento dopo si trovavano tutti e quattro in un vagone di prima classe. Erano soli.

Guglielmo depose sul divano la bambina, che continuava a dormire, Bianca sedette di faccia a lei e vicina a Aldo.

Di fronte aveva Guglielmo, il quale ammirava la incognita che, sollevato il fitto velo, mostrava il suo bel volto.

Avevano appena oltrepassata la stazione di Caluso, quando Gina si svegliò.

Dapprima si guardò attorno quasi spaurita, ma veduto Guglielmo gli sorrise e gli stese le manine. Egli la sollevò per baciarla, poi mostrandole Bianca:

- Conosci quella signora? - chiese.

Gina scosse il biondo capo.

- Chi è? - chiese.

- Sono la tua mammina; - esclamò Bianca - vuoi venire in braccio a me? -

Gina le si slanciò subito al collo, e la contessa la coprì di baci ripetendo:

- Io sono la mamma, sai, carina, e questo signore è il babbo! -

E le additava Aldo.

La bambina passò nelle braccia del giovinotto e gli porse subito le labbra.

Il viaggio fu lieto. Essi giunsero ad Ivrea quasi senza accorgersene.

Il signor Rivalta abitava un po' fuori della città, non lungi dalla stazione, in un modesto fabbricato composto di un solo piano e di un pianterreno, con un vasto giardino ed un orto.

Severina corse ad abbracciare Aldo, poi salutò la contessa Bianca, indi, sollevando Gina, esclamò:

- Ecco la mia angioletta, la mia nipotina! -

Un bel cane da caccia mandava latrati giulivi, festeggiando gli arrivati.

Entrarono in casa, una casetta semplice, ma linda e ridente.

La sorella di Aldo, Severina, non assomigliava al fratello che nel colore dei capelli e nel sorriso. Essa era piccola, piuttosto paffuta, coi colori di una mela-rosa. Ma da tutta la sua persona traspariva la bontà.

Severina condusse Bianca nella camera che le aveva preparata, perchè la contessa aveva promesso di trattenersi un paio di giorni presso la famiglia Rivalta.

Appena furono sole e Bianca si fu tolta il cappello, Severina l'abbracciò.

- Come siete bella! - disse con ingenuo entusiasmo, - Ah! comprendo come vi si possa adorare: io sento di volervi molto bene, e saremo amiche, non è vero?

- Più che amiche, sorelle! - esclamò Bianca ricambiando i suoi baci.

Quando scesero si tenevano a braccetto.

Severina lasciò Bianca con Aldo per vedere se tutto era in ordine per il pranzo. Guglielmo era andato a cambiarsi d'abito, e Gina si baloccava in giardino.

- Che giornata incantevole! - disse la contessa. - Come mi sento felice in quest'atmosfera sana e affettuosa!

Aldo la guardava con immensa tenerezza.

- Perchè non rimanete qui a lungo?

- Perchè non posso. -

Una leggiera nube di tristezza era apparsa sulla sua fronte, ma tosto disparve.

Il pranzo fu allegrissimo: Gina sorrideva a tutti, inviava baci sulla punta dei ditini a Bianca, ad Aldo chiamandoli babbo e mamma, e si sporgeva ogni tanto ad accarezzare Guglielmo e Severina, che le erano accanto e si occupavano continuamente di lei.

Quando fu portato il caffè, Gina fu lasciata libera di correre in giardino, la donna di servizio si era ritirata in cucina a sbrigare le sue faccende, e gli altri rimasero liberi di discorrere.

- Ecco il momento di dirvi tutto quanto mi concerne! - esclamò Bianca con un sospiro. - Vi prego di ascoltarmi. -

Tutti le porsero orecchio.

- Io sono la contessa Bianca Rossano....

- Rossano? - interruppe Guglielmo. - Io ho conosciuto un conte Sebastiano Rossano, morto una diecina di anni fa!

- Era il padre di mio marito, - disse Bianca.

La fronte di Guglielmo si oscurò.

- Ma allora, conosco anche vostro marito, il conte Livio.

- Precisamente: Livio è il suo nome. -

Guglielmo stava per riaprire la bocca, ma Severina glielo impedì.

- Lascia che parli lei, - disse - e poi ci dirai tu come conosci persone di cui non mi parlasti mai.

- Prima di continuare, - soggiunse Bianca - ditemi signor Rivalta: è vero che il padre di Livio fu un uomo dissoluto, perverso?

- No! - rispose Guglielmo. - Il conte Sebastiano Rossano era il fiore dei gentiluomini. Povero conte! Egli fu abbeverato di dispiaceri e morì di crepacuore....

- A cagione del figlio, non è vero? - proruppe Bianca, - Oh! ditemi tutto: sappiate che io sono una vittima del miserabile, cui mi trovo legata per sempre. -

Aldo si sentì torcere il cuore.

Spesso aveva pensato che quella nobile, pura creatura non doveva essere libera; ma l'idea che fosse unita ad un uomo ignobile, gli procurava un così acuto dolore, che gli pareva di morire.

Guglielmo aveva rivolto uno sguardo di profonda compassione alla contessa.

- Povera signora! - disse colla sua semplice franchezza. - M'immagino la vita che dovete condurre con lui. Egli è stato un figlio malvagio, non può essere un buon marito. Di lui io non so altro che, morti i suoi, condusse un'esistenza sfrenata, e in pochi anni divorò il patrimonio lasciatogli, la sostanza ammassata con sudori e lacrime dal padre. Sarei curioso di sapere in qual modo abbia trovato una moglie vostra pari.

- Coll'inganno più vile! - rispose Bianca.

E narrò tutta la sua vita, non nascondendo i recenti patti stabiliti col marito e come questi li avesse accettati, temendo di perdere le rendite di cui godeva. Assicurò inoltre che ormai si trovava libera di ogni sua volontà ed avrebbe potuto dedicarsi a Gina, recarsi sovente a trovarla. A questa punto Aldo le rivolse sguardi pieni d'amore e di riconoscenza.

Le ore trascorsero in quelle intime confidenze: poi tutti sì alzarono da tavola per fare una passeggiata in giardino.

Aldo doveva ripartire la stessa sera per Torino, ma prima di quell'ora potè trovarsi un istante da solo con Bianca. Essi erano assai commossi, guardandosi.

- Prima di partire, - disse il giovane - volevo chiedervi, contessa....

- Contessa? - interruppe vivamente Bianca. - Per voi, Aldo, sono e rimarrò sempre Speranza. -

Un raggio di gioia brillò sul volto dello studente, che presa la mano di Bianca se la portò alle labbra.

Bianca arrossì di gioia.

- Che volevate dunque chiedermi prima di partire? - domandò.

- I vostri ordini. -

Ella rise come una bambina, fissandolo con occhi luminosi.

- Eccoli. Prima di tutto dovete studiare, perchè non vorrei che per causa mia trascuraste le vostre lezioni.

- Da che vi conosco sento ancor più il desiderio di applicarmi, perchè voglio che non abbiate mai nulla da rimproverare a vostro fratello.

- Sono sicura che sarò sempre contenta di voi. Voi saprete inalzarvi nelle più eccelse sfere.

- Con voi per amica mi sento davvero capace di tanto! -

Un sorriso di Bianca fu la risposta.

La sera, sola nella graziosa camera che le avevano destinata, Bianca, invece di coricarsi, sedette su di una poltrona e si pose a fantasticare. Come era passato rapido quel giorno! Come si sentiva lieta, sollevata!

Ricordava l'ultimo saluto di Aldo, prima di recarsi alla stazione.

- A rivederci, mia Speranza! -

Sì, ella sarebbe la sua speranza, il suo raggio di sole, come egli lo era per lei.

Nella semplicità della sua anima, Bianca non credeva di commettere una colpa abbandonandosi a quell'affetto puro, profondo, che nulla aveva di volgare.

 

 




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