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Carolina Invernizio I misteri delle soffitte IntraText CT - Lettura del testo |
X.
Quando la contessa Bianca Rossano, aperta la busta che credeva contenesse la lettera di Aldo, trasse invece il biglietto del marchese Passiflora e lo lesse provò un'angoscia spaventevole ed ebbe appena la forza di suonare il campanello per chiamare la cameriera.
Celia accorse, e vedendo la signora così abbattuta, chiese con sgomento:
- Sono stata tradita.
- Per carità, si spieghi! Chi l'ha tradita?
- Non lo so, ma tu forse potrai scoprirlo.
- Mi alca che cosa devo fare: io sono pronta a tutto per lei.
- Hai mai rivelato ad altri che le lettere a te indirizzate ferme in posta erano per me?
- Giammai! - proruppe Celia in preda a un febbrile orgasmo, ma con l'accento della verità
- Eppure, qualcuno l'ha saputo, ha fatto ritirare una di quelle lettere.
- Impossibile! - gridò Celia. - L'impiegato postale non può consegnarle che a me....
- La lettera che oggi hai ritirata e conteneva questo biglietto ti proverà il contrario: leggi. -
Celia obbedì, lasciando sfuggire un'esclamazione di terrore.
- Ma io non comprendo.... - balbettò. - Qui si parla di un pericolo del signor Aldo, della bambina... -
Con un gesto la contessa l'interruppe.
- Questo biglietto è un tranello; il marchese Passiflora nulla sa di quello che mi riguarda, e se ha indirizzata la lettera a te, per certo ne ebbe un'altra di Aldo tra le mani. -
- Non posso crederci, contessa. Se me lo permette, vado subito alla posta, non potendo rimanere in questa incertezza.
- Vai. -
E Bianca attese che la sua cameriera le recasse la conferma di quanto credeva.
Celia non stette assente più di mezz'ora. Quando tornò, il suo viso aveva un atteggiamento così addolorato, che Bianca ne fu commossa.
- Ebbene, avevo ragione? - chiese la contessa sollevandosi sulla poltrona.
- Sì; una miserabile si è presentata all'impiegato della posta con un mio biglietto, in cui pregavo di consegnare la lettera a me diretta, trovandomi ammalata.
- Chi può essere colei?
- Dai connotati ho capito che si tratta di Peretta, la sotto-cameriera. -
Bianca fece un atto di sorpresa.
- Ma essa sarà stata spinta da altri. Va' a dirle che ho bisogno di parlarle; ma, te ne prego, fa' che non sospetti di che si tratta.
- L'obbedirò, benchè mi senta il desiderio di torcerle il collo. -
Peretta comparì in compagnia di Celia.
Era una bella ragazza, dall'aria un po' sfrontata.
- La signora contessa ha bisogno di me? - chiese.
Questa obbedì.
- Ora dimmi: - domandò Bianca a Peretta - quanto ti hanno dato per ritirare dalla posta una lettera diretta a Celia?
- Io non capisco.... - balbettò la ragazza.
- È inutile che tu finga; so tutto, e se ricusi di parlare, questa sera stessa dormirai in prigione. -
Peretta si abbandonò sopra una sedia.
- Se tu dirai la verità, nessuno ti farà del male e continuerò a tenerti al mio servizio.
- Ebbene, tanto peggio per coloro che mi hanno messa nell'imbroglio. È verissimo: io ho ritirato dalla posta una lettera diretta a Celia, per istigazione e dietro il biglietto di un uomo che mi fa la corte.
- No; da che gli consegnai la lettera non l'ho più veduto.
- Ti ha parlato di me?
- No, mai, lo giuro! Mi disse soltanto che voleva sapere gli intrighi di Celia, perchè io ebbi l'imprudenza di confidargli che l'avevo vista recarsi alla posta a ritirare delle lettere.
- Va bene, puoi andartene; ma se vuoi rimanere al mio servizio, non agire più con una leggerezza che avrebbe potuto aprirti le porte d'una prigione, ove Celia fosse stata così cattiva da denunziarti.
- Per carità, signora contessa, mi perdoni e preghi Celia di perdonarmi! -
Ormai certa che si trattava di un tranello del marchese Passiflora, Bianca si confidò al padre.
Sappiamo già quello che fece il signor Moreno in casa del marchese Passiflora.
Bianca aspettava il padre in preda a mille tristi presentimenti. Quando egli fu di ritorno, le disse:
- Tu avevi indovinato: il marchese ha commesso una vile azione; ma io sono giunto a strappargli questa lettera che, resa pubblica, sarebbe stata il tuo disonore e la mia morte. -
Un'onda di sangue imporporò la fronte di Bianca, mentre i suoi occhi si velavano di lacrime.
- Padre mio!
- Hai avuto torto a permettere ad Aldo un linguaggio familiare, che potrebbe far credere ad una relazione colpevole. Basterebbero queste frasi per perderti! «Quando ritorneranno quei brevi e rapidi istanti passati insieme con la nostra bambina? Dal giorno che tu sei partita, ella si è fatta triste, triste, e chiama sempre la sua mammina. E ieri l'altro, appena mi vide, mi corse incontro, gridando: «Babbo, perchè non hai condotto teco la mamma?» Ora dimmi se questa lettera non sarebbe la tua condanna, il tuo disonore. Tuo marito avrebbe potuto con essa intentarti un processo d'adulterio, ed il colpevole sarebbe passato per vittima, avrebbe trionfato! -
Bianca chinò il capo sul petto: sentiva che suo padre aveva ragione.
- Per fortuna, - continuò il signor Moreno - il pericolo adesso è scomparso; ma il marchese Passiflora non è uomo da sopportare in pace l'umiliazione che gli ho fatta subire: bisogna guardarsi da lui. Intanto tu non devi più scrivere, nè ricevere lettere dal signor Pomigliano: l'avvertirò io. -
Bianca non replicò, ma uscito il padre diede in un pianto dirotto. Così le era tolta la gioia di intrattenersi per lettera con Aldo, di sapere le nuove di Gina, perchè essa era legata da una catena infrangibile.
Celia, trovata la sua padrona piangente, fece sforzi straordinari per consolarla.
- Non si disperi così; - le disse quando ne seppe la cagione - se non può più scrivere, andrò io a trovare il signor Aldo e le porterò sue nuove. -
- No, - rispose - sarebbe lo stesso che disobbedire a mio padre; ed egli soffre già troppo per cagion mia. -
Il suo accesso di debolezza era passato ed ella si ripromise di attendere gli avvenimenti.
Quella sera, prima di coricarsi, la contessa, inginocchiata, pregava:
- Mio Dio, fate che Aldo non mi dimentichi, e se il pensare a lui è una colpa, fate tacere il mio cuore e non mi punite maggiormente, Signore! -
*
* *
Il conte Rossano, quando gl'invitati della bella Cleo si misero a cena, scomparve, senza salutare alcuno, dalla palazzina. Attraversato un salotto, aprì un uscio, e si trovò in un elegantissimo gabinetto, tappezzato di stoffa ricamata d'oro, dai mobili preziosi, paraventi, stuoie, giardiniere, e dal quale si accedeva nella camera da letto di Ilda.
Il conte voleva avere quella sera stessa un colloquio da solo a solo con la giovane.
La camera ed il gabinetto erano illuminati da lampade col globo velato, che proiettavano all'intorno una luce debolissima.
Il conte cercò a suo agio il luogo per nascondersi e lo trovò in un vano comodissimo, nascosto da un drappeggio di velluto che scendeva fino sul tappeto. Dietro quel vano potè mettere una seggiola, onde starvi più comodo.
Egli riandava gli avvenimenti di quella sera, e delle vampe di calore gli salivano al capo.
Non gli pareva naturale l'osservazione di Aldo sulla sua somiglianza con Fabio Ribera.
Ilda doveva aver detto della relazione che esisteva fra lui e l'assassino.... Fors'anche aveva supposto e confidato agli altri che l'istigatore di quel delitto doveva essere lui.
E mormorava:
- Insensata, tu non scoprirai nulla, nè gli altri saranno più fortunati di te. L'assassino è Fabio; nessun mezzo, per quanto abile, varrà a strappargli di bocca la verità. Egli mi è troppo devoto! -
Un sorriso diabolico sfiorava le sue labbra.