Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Carolina Invernizio
I misteri delle soffitte

IntraText CT - Lettura del testo

Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

III.

 

Stefana ebbe violente crisi di simulato dolore.

Il conte Rossano, avvertito da un telegramma, accorse subito e circondò la moglie di delicate premure.

La colonia dei bagnanti andò a iscriversi nel registro posto in una sala della villa, ma Stefana non ricevette alcuno.

Il trasporto della defunta dalla villa alla stazione fu veramente commovente. Stefana, col figlio fra le braccia ed il conte accanto a lei, seguiva in vettura il carro funebre, coperto di corone, e prese posto nel vagone riservato, dove era stato messo il feretro. Al cimitero, ella volle assistere al seppellimento della salma.

Per un anno, la contessa visse ritirata, non occupandosi che del suo Livio, inebriandosi al cicaleccio di lui, che non lasciava quasi mai la mammina.

Poi Stefana ricominciò a frequentare la società, riprese la sua esistenza di piaceri.

Livio, crescendo, le assomigliava non soltanto nel fisico, ma soprattutto nel morale: nulla aveva di suo padre, nulla! Il conte avrebbe voluto educarlo con una certa severità; ma come resistere alla moglie?

- Abbiamo quest'unico figlio; - diceva Stefana - vuoi che ci muoia per il troppo studio? Lascialo sviluppare: per ora gli daremo una buona istitutrice, più tardi un ottimo precettore, che sceglierò io stessa. -

Se Livio studiava poco, aveva in compenso una malizia innata e la profonda ipocrisia della madre. Era capacissimo di tormentare una bestia per il solo gusto di vederla soffrire, salvo poi, se compariva qualcuno, di piangere e disperarsi.

Il conte lavorava da mane a sera; la moglie faceva sperpero di denaro.

Un giorno la contessa s'intratteneva nel suo salotto con un ufficiale di cavalleria, che da lungo tempo le faceva la corte ed al quale essa aveva concesso un particolare colloquio.

Mentre l'ufficiale, inginocchiato ai piedi di Stefana, le chiedeva pietà del suo soffrire, un uscio si spalancò con impeto e Livio, il quale allora aveva sette anni, si precipitò dentro, gridando:

- Mamma, c'è il babbo! -

La malizia di quel fanciullo gli fece comprendere che quel colloquio, sorpreso dal padre, poteva cagionare un grave dolore alla madre.

E quando il conte entrò nel salotto, la contessa stava tranquillamente disegnando presso un tavolino: l'ufficiale era uscito da un altro uscio, guidato da Livio.

Da questo si può comprendere l'educazione del fanciullo e come madre e figlio dovessero adorarsi e andare pienamente d'accordo.

Un giorno il conte si recò all'estero a cagione del fallimento di una Casa commerciale, colla quale egli era cointeressato. La sua assenza doveva essere di pochi mesi, invece si prolungò oltre un anno.

In questo frattempo la contessa Stefana parve rinunciare alla vita elegante, scapigliata. Non riceveva più, si mostrava di rado in carrozza al passeggio, e la sua salute sembrava alterata.

Livio la sorprese sovente sdraiata su di una lunga poltrona, pallida, affranta, piangente.

- Che hai, mamma, che hai? - le diceva coprendola di baci. - Il babbo ti ha dato qualche dispiacere?

- No, angelo mio, no! Sono triste, senza sapere il perchè! - rispondeva la contessa.

Ma Livio non era persuaso. Egli aveva allora dodici anni e sembrava un ragazzo educatissimo: sapeva stare in società, aveva tutta la grazia e il sorriso affascinante della mamma. Ma in fondo era vizioso, indolente, e non si approfondiva in cosa alcuna.

Aveva i sensi precocemente sviluppati e l'aspetto di un arcangelo.

Una mattina, quando stava per alzarsi, il cameriere gli consegnò una lettera della contessa.

Livio ebbe un moto di sorpresa.

- Dov'è la mamma? - domandò.

- È partita! -

Il fanciullo strappò febbrilmente la busta, e lesse:

 

«Amor mio!

«Ho bisogno di assentarmi dal palazzo, almeno per una settimana: lascio te, che sei un ometto, a guidare la casa. Se arrivasse tuo padre e altri chiedesse il motivo della mia assenza, rispondi che un dovere di gratitudine mi ha condotta presso la madre, ammalatissima, della mia cameriera, la quale parte con me. Conduco meco anche il cocchiere, suo marito. Mostrami in questa circostanza l'amore che mi porti, non facendo scene per la mia lontananza e scusando cogli altri la mia partenza. Ti adoro e ti bacio

 

Livio rimase impassibile.

E nelle due settimane che la contessa rimase assente, egli seppe tenere un contegno da vero ometto.

Quando il conte arrivò, la contessa era già tornata. Egli trovò sua moglie assai pallida, come se uscisse da una malattia, e abbracciandola si scusò della sua lunga assenza.

- D'ora innanzi, non starai tanto tempo lontano, non è vero? - gli disse Stefana stretta al collo di lui. - Quanto mi ha fatto soffrire questa separazione, benchè avessi meco mio figlio! -

Il conte non si saziava di baciarla: era commosso della fedeltà di quella donna adorata.

- In questo frattempo ho avuto anche un altro dispiacere: la mamma della mia cameriera, colei che mi ha portata in braccio piccina, è morta. Essa volle rivedermi prima di chiudere gli occhi per sempre.

- Povera donna!

- Mi recai da lei con la cameriera e il cocchiere, cui essa ha lasciato una casetta di campagna con alcune vigne, ed ho dovuto, con mio dispiacere, rinunziare a quei due fidi servitori, che ormai vogliono accudire ai loro beni. -

Il conte non ebbe il minimo sospetto che tutta quella storia fosse una menzogna.

Ma Livio, sebbene fanciullo, non credette alle parole della madre, cui disse:

- Tu menti: hai un segreto per me, e non vuoi rivelarmelo.

- Lo saprai più tardi; adesso sarebbe inutile, - rispose Stefana - ti prego di non insistere. -

Gli anni scorsero.

Stefana, come divorata da un pensiero tormentoso, si diede nuovamente alla pazza gioia.

Il conte continuava la sua via di sacrificio, persuaso che la donna adorata meritava tutto il suo grande amore, tutta la sua devozione.

Una notte la contessa si sentì colta da brividi ed ebbe ad un tratto il presentimento della sua prossima fine.

Sentì agghiacciarsi di terrore: non voleva morire, senza fare una importante rivelazione a suo figlio.

Con quella forza di volontà che aveva sempre distinto Stefana in tutte le pericolose circostanze della sua vita, scese dal letto, indossò una vestaglia, e barcollando si diresse nella camera del figlio.

Questi, vedendola, si spaventò e chiese:

- Mamma, che hai? Tu soffri?

- Sì, caro; - rispose ella - sento in me qualche cosa che si spezza, ed ho paura di morire. -

Egli la guardava convulso.

- Perchè ti sei alzata? Vuoi che ti riconduca a letto, che mandi per un medico?

- No, più tardi; prima voglio rivelarti un segreto che da dieci anni mi pesa sul cuore. Ascoltami. -

Ella sedette accanto al letto del figlio e prese a dire:

- Ti ricordi come, dieci anni fa, mentre tuo padre si trovava in viaggio, io mi assentassi da casa?

- Lo ricordo perfettamente, mamma; ho sempre impresso le raccomandazioni fattemi nella tua lettera, e sebbene bambino, non prestai fede quando dicesti che eri partita per riabbracciare una morente.

- Avevi indovinato, Livio: io non mi allontanai da Torino; mi nascosi coi miei fidati servi in un piccolo appartamento già preso in affitto sotto il loro nome, ed in quell'appartamento diedi alla luce un bambino, che non porterà mai il nome tuo, godrà del tuo patrimonio. Tuo fratello fu legalmente riconosciuto come figlio dei coniugi Ribera, che per me avrebbero fatto qualsiasi sacrifizio. Ora ti spiegherò i motivi che mi indussero a lasciar vivere quel fanciullo.

«Se tuo padre fosse stato in quel tempo a Torino, non avrei potuto nascondergli il mio stato ed egli sarebbe stato felice d'avere un altro figlio, un altro erede.

«Ma io non volevo: avrei odiato quel secondo fanciullo se prendeva posto in questa casa perchè tu solo regni nel mio cuore, nell'anima mia, tu solo fai parte di me. Se volli dare un nome a tuo fratello, lo feci perchè tu avessi più tardi un uomo da far agire a tuo talento, un uomo che ad un tuo cenno diverrà tuo schiavo e sul quale avrai un potere di vita e di morte. -

Livio guardava sua madre credendo vaneggiasse. Ella comprese quello sguardo.

- Tu pensi - soggiunse - che la febbre mi abbia dato al cervello, che io deliri: no, rassicurati, Livio, ho tutto il mio senno e te lo provo.

«Fabio Ribera, tale è il nome di tuo fratello, fu dato a balia ad una donna che, come tutti, lo credette veramente figlio della mia cameriera.

«L'anno seguente, i due coniugi lo presero in casa, e per quattro anni Fabio visse con loro, che lo facevano pregare ogni sera per me, dinanzi al mio ritratto, dicendogli che ero la sua benefattrice.

«Volle disgrazia che quando Fabio compiva i cinque anni, la cameriera e suo marito fossero portati al camposanto. Ma la donna lasciava a suo figlio una lettera, che io stessa le dettai e che, unita ad un'altra scritta da me, consegnerai tu stesso a Fabio, quando avrà vent'anni.

«Tu leggerai quelle lettere, che non sono suggellate, prima di consegnarle a Fabio.

«Egli è ora in un collegio modesto il cui rettore mi assicura che non vi è allievo migliore di lui.

- Vuol dire che non mi rassomiglia! - interruppe ridendo Livio.

- Oh! tu per me hai tutte le perfezioni, e Fabio non avrebbe mai preso nel mio cuore il tuo posto. Peraltro, tu compirai l'opera mia verso lui, ne farai un buon operaio, e gli dirai che deve tutto a te, acciocchè sia pronto a qualsiasi sacrificio per amor tuo. Ora, caro, accompagnami nella mia camera; voglio consegnarti quelle lettere. -

Livio, vestitosi in fretta, seguì la madre, che ebbe ancora la forza di aprire il serracarte e consegnare al figlio una piccola cassetta d'ebano, scongiurandolo di andare subito a nasconderla.

Quando Livio ritornò, la contessa gli cadde fra le braccia, balbettando:

- Chiama aiuto, mi sento morire! -

Livio la trasportò sul letto, poi attraversò le stanze urlando, chiamando i domestici, destando tutti.

- Presto, un medico! - gridava. - La mamma muore! -

Il conte si precipitò nella camera della moglie.

- Stefana, Stefana, che hai? - gridava, spaventato.

La contessa non rispose. Aveva gli occhi fissi, immobili.

A un tratto balbettò:

- Aria.... aria.... soffoco.... Dio, Dio!... -

Venne spalancata la finestra, mentre padre e figlio sostenevano Stefana per le spalle.

Il medico giunse e recò alla contessa un sollievo momentaneo con iniezioni d'etere e con l'ossigeno; ma dichiarò il caso disperato: si trattava di una pericardite acuta.

Poco dopo Stefana chiamò:

- Sebastiano! -

Il conte fu in un attimo vicino a lei, che l'attirò al suo petto per mormorare:

- Muoio.... ama molto Livio.... per me.... -

Il conte rispose con un lacerante singhiozzo.

Troppo lungo sarebbe descrivere la scena dolorosa che ne seguì.

Ma il medico aveva ragione: Stefana entrò in agonia, indi il suo cuore cessò di battere.

Se il conte Sebastiano, colpito da quella morte improvvisa, sembrò impazzire, la disperazione di Livio non ebbe limiti. Nessuno riusciva a staccarlo dal cadavere della madre, che copriva di baci appassionati.

Di fronte a quell'immenso dolore, il padre fece tacere il suo.

Egli ricordava le ultime parole di Stefana e, avvicinatosi al figlio, lo sollevò, lo strinse fra le sue braccia, balbettando:

- Piangi con me, Livio, piangi col tuo povero babbo, che ha pure il cuore spezzato! -

Per la prima volta il giovane ebbe uno slancio sincero di riconoscenza, per la prima volta si tenne stretto al padre, confondendo le lacrime con quelle di lui.

Per molte settimane padre e figlio vagarono per la palazzina come in attesa che la contessa Stefana comparisse.

Essi passavano lunghe ore nella camera di lei, dove un ritratto ad olio di Stefana la riproduceva in tutto lo splendore della sua bellezza.

Un giorno il conte, stringendo la mano al figlio, gli disse:

- Io mi rimetterò agli affari: tu pure cerca un'occupazione: così potremo far tacere il nostro dolore. -

Il giovane non rispose.

Quel giorno stesso egli si chiuse nella sua camera ed aprì per la prima volta la cassetta d'ebano, consegnatagli dalla madre.

Conteneva due lettere, in una busta non suggellata.

La soprascritta di una di esse diceva: «A mio figlio

Era vergata da una mano a lui sconosciuta e diceva:

 

«Caro figlio,

«Questa lettera che io ti scrivo in punto di morte non ti verrà consegnata che quando avrai compiuti vent'anni. Sarà dunque allora la voce di una morta che parlerà al tuo cuore, e tu devi ascoltarla.

«Guai se tu non obbedissi a quella voce! Io non avrei più riposo nella tomba e tu saresti maledetto per tutta l'eternità!

«Ascoltami, dunque. Dal momento che tu sarai un uomo, dedicherai tutta la tua esistenza alla contessa Stefana Rossano, tua benefattrice.

«A lei tu devi tutto, ricordalo, e qualunque cosa ti imponesse, l'eseguirai: io stessa, tua madre, te lo comando. Sii colla tua benefattrice umile, devoto, rispettoso; pensa che a lei sola devi la tua istruzione, che essa sola ha sopperito a tutte le spese per allevarti, per fare di te un uomo onesto. La tua vita stessa non basterebbe a pagare il debito di riconoscenza che hai con lei.

«Addio, figlio mio, addio! Ti bacio e ti benedico. Tua madre

 

«Flavì Ribera

 

L'altra lettera era scritta da Stefana. Livio lesse:

 

«Mio buon Fabio,

«Speravo di poter compiere il voto espressomi dalla tua povera mamma prima di morire: consegnarti una sua lettera, quando tu fossi un uomo. Ma io pure cedo innanzi tempo a quella legge fatale della natura, che non dovrebbe colpire le madri, finchè sono necessarie alle loro creature. Ho il presentimento che la mia fine si avvicini, e non voglio morire senza aggiungere alla lettera di tua madre la mia ultima raccomandazione. Le due lettere ti saranno consegnate da mio figlio.

«Tu sai quanto io sia stata affezionata alla tua povera mamma, e come abbia adempiuto la promessa a lei fatta di vegliare su te. Ti ho voluto bene come se tu fossi mio figlio: ebbene, su mio figlio tu riverserai tutta la riconoscenza che nutri per me, tu obbedirai ad ogni sua volontà, farai ciò che egli ti ordinerà di fare: questo io desidero.

«Appena avrò chiusi gli occhi, mio figlio, il conte Livio Rossano, diverrà il tuo benefattore.

«Amalo molto in cambio di tutto quanto farà per te e di ciò che io feci alla tua povera mamma; cerca di provargli, fosse anche a costo della tua vita, la tua gratitudine; contribuisci, per quanto puoi, alla sua felicità.

«Tu sei un ragazzo assennato, e quando avrai questa mia sarai un uomo capace di dare a due povere morte la maggiore soddisfazione che possono avere da te. E quando verrai a pregare sulla mia tomba, su quella di tua madre, noi riconosceremo il suono della tua voce, e se ci dirai di averci obbedite, riposeremo tranquille, benedicendoti. Se invece tu ci disobbedissi, tua madre ed io non troveremmo più pace nella tomba e tu saresti maledetto.

«Ma tu sei buono, onesto, hai cuore, e ci ascolterai. Ti mando un bacio con tutta l'anima e ti benedico. La tua benefattrice

 

«Contessa Stefana Rossano

 

Livio stette per alcuni minuti con quella lettera fra le mani.

- Cara mamma! - mormorò. - Essa ha pensato a me solo fino all'ultimo istante! Ebbene, per amor suo mi occuperò di Fabio, quando anche egli non mi giovasse a niente e dovesse procurarmi noie e spese. -

Presa questa risoluzione, suggellò le due lettere, le mise nella cassettina, ed il giorno seguente, vestito a lutto, col volto atteggiato ad una grande mestizia, si presentava al collegio dove Fabio veniva educato.

Appena diede il suo nome, venne introdotto nel gabinetto del direttore.

Questi, un vecchio di modesto aspetto, dal volto spirante la più grande bontà, gli andò incontro premuroso e, con voce commossa:

- Vi ringrazio, signor conte, - disse - dell'onore che mi fate colla vostra visita. Conosco la disgrazia che vi ha colpito, e ne soffro, come ne soffre il protetto dalla compianta signora contessa.

- Io sono venuto espressamente per vederlo e parlargli, - rispose Livio. - La mia santa mamma ha amato quel ragazzo come un figlio, ed io crederei di mancare al mio dovere, se non prendessi il suo posto in quest'opera di carità.

- Voi siete degno figlio della povera signora! - soggiunse il direttore. - Sono lieto di potervi dire che il ragazzo merita davvero tutta la vostra premura: è il migliore degli allievi nostri, e vi assicuro che i vostri benefizi non andranno perduti.

- Meglio così! -

Il direttore diede ordine perchè Fabio fosse chiamato.

Il ragazzo non tardò a comparire nella sua uniforme del collegio. Era davvero un bel fanciullo, biondo, roseo, e Livio notò subito che gli assomigliava.

Fabio, entrando, guardò prima con sorpresa Livio, poi grosse lacrime gli caddero dagli occhi, e congiungendo le mani con espressione commovente:

- Non m'inganno: - balbettò - lei è il figlio della contessa, della mia benefattrice: le somiglia tanto! -

E, prima che il conte potesse prevederlo, Fabio gli cadde ai piedi svenuto.

- Vedete come è sensibile! - disse il direttore, mentre aiutava Livio a sollevare il ragazzo, a distenderlo sul divano. - Dal giorno in cui seppe della morte della contessa, non è stato più bene. -

Egli fece portare dell'acqua e dell'aceto, ne inzuppò un fazzoletto, che pose sulla fronte del fanciullo.

Fabio aprì gli occhi ed il suo primo sguardo fu per Livio.

Allora si mise novamente a piangere.

Il giovane conte lo sollevò, lo strinse al suo petto.

- Piangi.... piangi! - gli disse. - Non verserai mai abbastanza lacrime per quella santa che ci ha lasciati. Io pure ho il cuore spezzato, io che ho perduto in lei la migliore delle madri. Sappi che ella non si dimenticò di te: mi raccomandò di non abbandonarti mai, e puoi star certo che il suo voto sarà esaudito.

- Oh! signor conte, io non so esprimermi, ma se potesse leggere nel mio cuore, vedrebbe quanta devozione racchiude! La mia benefattrice mi parlava sempre di lei, ed io l'amavo senza conoscerlo; ora sento che sarei pronto a versare per lei tutto il mio sangue.

- Grazie, Fabio; non dimenticherò mai le tue parole. -

Calmata la piena degli affetti, Livio, con un accento quasi paterno domandò a Fabio dei suoi studi, delle sue aspirazioni.

- Le mie aspirazioni non sono molto alte: - rispose mestamente il ragazzo - io vorrei compiere il corso commerciale per entrare come contabile in qualche magazzino, dove potessi guadagnarmi da vivere. L'unica mia ambizione è di rimanere a Torino per poter vedere di quando in quando lei. -

Amare ed essere amato da Livio, serbare un culto profondo alla sua benefattrice, ecco ormai dove Fabio compendiava tutta la sua vita.

- Tu sei proprio un bravo ragazzo! - disse Livio baciandolo sulla fronte. - Io vado orgoglioso di proteggerti, e puoi star certo che verrò spesso a trovarti. -

Infatti non passava settimana senza che il contino si recasse al collegio, e se egli ne usciva commosso dai colloqui avuti con Fabio, il povero ragazzo contava quelle ore come le più felici della sua esistenza, che radicavano in lui profondamente il desiderio di dedicarsi al suo benefattore.

 

 

 




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

IntraText® (V89) Copyright 1996-2007 EuloTech SRL