Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Carolina Invernizio I misteri delle soffitte IntraText CT - Lettura del testo |
VII.
Come già sappiamo, la povera Giulietta, dopo l'abbandono dell'amante, tentò di suicidarsi; ma fu salvata. L'affettuosa premura dei vicini le rese poi il coraggio di vivere.
Quando fu madre, allevò con amore la sua creatura, pur continuando a lavorare per guadagnarsi la vita.
Il nome di Fabio Ribera non era più uscito dalle sue labbra, ma la giovane non lo dimenticava.
Spesso, seduta accanto alla culla della sua creatura, il suo pensiero correva al bel giovane che aveva appassionatamente amato, o rileggeva le lettere di lui, e calde lacrime le scorrevano dagli occhi.
Menzogna, l'amore! Menzogne, i giuramenti!
Una mattina, Giulietta, affidata Gina a Teresa Pavin, era uscita per riportare del lavoro.
Giunta in via Garibaldi, una carrozza padronale si fermò vicina a lei. Ella si volse istintivamente a guardare chi scendeva, e credette ad un tratto di cadere a terra fulminata.
Dalla vettura era sceso un bell'uomo, elegantissimo, che aveva i lineamenti di Fabio Ribera. Egli porse poi la mano ad una giovane di una bellezza maravigliosa, dicendole con una voce che la povera Giulietta riconobbe tosto:
La coppia entrò in un negozio, e Giulietta rimase immobile, stupidita, come fuori di sè.
Fu scossa dalla voce dello staffiere, ch'era sceso dalla cassetta e che, vedendo quella bella ragazza, non si lasciò sfuggire l'occasione di farle un complimento.
Giulietta, assalita da un'idea improvvisa, sorrise all'audace staffiere, esclamando:
- La vostra padrona è più bella di me!
- La signora contessa è bruna ed a me piacciono le bionde! - rispose lo staffiere.
- Ah! è una contessa?
- Meritereste d'esserlo anche voi!
- Ed è suo marito, quel signore che l'accompagna?
- Sì, è il conte Livio Rossano. -
Che ella si fosse ingannata? Ma no, era lui, proprio lui!
- Il conte Rossano? - ripetè sorridendo. - Ah! mi pare di averlo sentito nominare...
- .... per aver corso molto la cavallina con belle ragazze pari vostro, - sussurrò in fretta e piano lo staffiere.
Giulietta si sentì torcere il cuore; tuttavia soggiunse con aria maliziosa:
- Ah! lo so.... Abita sul corso.... -
Fingeva di cercare il nome, come se non lo ricordasse.
- ....Palestro, - disse lo staffiere.
- Sì.... sì, è proprio lui! - proruppe ridendo Giulietta. - E tal padrone, tal domestico. -
Si allontanò, lasciando lo staffiere intontito.
Ella camminava in fretta, con la testa in fiamme.
- Ah! l'infame, - mormorava - era un conte, e si è finto un semplice commesso di banca! Il nome datomi era falso.... Ma lo smaschererò; forse sua moglie ignora tutto. Essa è bellissima ed ha il viso di buona. Se mi recassi da lei? Merita forse, quel miserabile, di essere un marito felice? -
Giulietta si guardò bene dal far parola con alcuno di quell'incontro; ma formò subito il suo piano.
Ella si recò sul corso Palestro, ed entrata da una lattivendola, le disse:
- Scusate, abita qui vicino la contessa Bianca Rossano?
- Precisamente: la servo io di latte. Che buona signora! È proprio un angelo!
- Non sapete se cerca una cameriera?
- Qualche tempo fa, sì, me lo disse Celia, la prima cameriera; ma credo che ora abbiano trovato.
- Peccato! - disse Giulietta. - Sarei andata volentieri in quella casa, dove si deve star bene.
- Per la contessa, sì. Ma il conte è una vecchia volpe! Ne ha fatte e ne fa di tutti i colori!
- Buono a sapersi! Se è così, non invidio le cameriere di quella casa. -
Giulietta salutò la lattivendola e se ne andò.
Frattanto si propose di accertarsi che il conte Rossano e Fabio Ribera fossero veramente un solo uomo.
La sera, affidata Gina a Teresa con un pretesto qualunque, si mise a spiare vicino al palazzo e ne vide uscire il conte. Gli tenne dietro. Quando fu giunto ad una svolta del viale, Giulietta gli si avvicinò, e battendogli sulla spalla:
- Buona sera, Fabio Ribera! - disse a voce alta.
Il conte si volse, pallido come un sudario.
Riconobbe Giulietta, ma volle fingere la sorpresa.
- Dite a me, signorina? - chiese con brusco accento.
- Sì, non fare quell'aria stupida! - rispose Giulietta sollevando arditamente la bella testa. - Oh! so bene adesso che il mondo ti conosce per Livio Rossano; ma per me sei Fabio Ribera, commesso di una banca.... fallita. -
E la giovane diede in una risata piena di sarcasmo, di amarezza, di disperazione.
- Io non vi comprendo, signorina! - arrischiò il conte.
- No? Ebbene, andrò a spiegarmi con tua moglie, e quando le avrò raccontato la mia storia e mostrato le tue lettere, sono certa che c'intenderemo. -
Livio fremette, e con voce tremante, in preda alla più grande agitazione:
- No, tu non lo farai, Giulietta! - balbettò.
- Ah! mi riconosci, adesso? Ricordi ancora il mio nome?
- Io non ti ho mai dimenticata, - diss'egli ritrovando a un tratto tutto il suo spirito, preparandosi a scolparsi. - Vieni, andiamo a casa tua, ti spiegherò tutto; vedrai che non sono colpevole come forse pensi. Le apparenze ingannano....
- Davvero? Ebbene, a casa mia non riporrai più piede; ma conducimi dove vuoi, foss'anche in un luogo infame, come facesti quando ero ancora una fanciulla onesta, purchè possa una buona volta gettarti sul volto tutte le tue viltà. -
Il conte era sulle spine, perchè la giovane andava alzando la voce.
Ma fece uno sforzo su sè stesso e disse vivamente:
- Ebbene, vieni. -
Si mise a camminare rapidamente e Giulietta lo seguì.
Giunsero ad una stazione di vetture.
Il conte aprì lo sportello di una di esse, perchè la giovane vi salisse.
Ella non si oppose.
Livio si rivolse al vetturino, gli dette con voce ferma un indirizzo, poi salì accanto a Giulietta.
Non scambiarono una parola fino a quando la vettura si fermò.
Allora il conte disse alla giovane:
Saltò a terra e disparve nel vestibolo di un bel palazzo. Salì al terzo piano, sonò all'uscio di destra. Una giovane cameriera venne ad aprire.
- Sì. -
Un uscio si schiuse e comparve Cinzia.
- Oh! che piacere! - esclamò, facendo l'atto di saltargli al collo.
Ma vedendolo pallido, colla fronte corrugata, ristette.
- Che hai?
- Andiamo nella tua camera: ho bisogno di dirti due parole in fretta. -
Cinzia si affrettò ad introdurlo.
- Che c'è dunque? Che ti succede?
Il conte la informò di quanto accadeva, e soggiunse:
- Bisogna assolutamente che io conceda a Giulietta il colloquio che mi chiede. Tu mi cederai il salotto, e te ne andrai con Rosetta.
- Rosetta la manderò fuori, ma io, caro mio, rimarrò qui, perchè voglio sapere la parte che debbo fare. D'altronde, fra noi, lo sai, non devono esserci segreti.... Se rifiuti, conduci pure la tua colomba in altro luogo. -
Il conte fremeva, ma fu costretto a cedere.
Egli ridiscese di volo le scale e fece salire Giulietta in casa della ballerina.
Appena entrato nel salotto, il conte gettò il cappello su di una poltrona e fece l'atto di inginocchiarsi dinanzi a Giulietta.
Ma la giovane lo guardò con disprezzo.
- È inutile che ricominciate l'ipocrita commedia! - disse. - Se la ingenua fanciulla vi cedette, la donna saprà mantenere la propria dignità.
- Non mi sarà permesso di scolparmi?...
- Scolparvi? Come lo potete? Sarei curiosa di saperlo. -
Ella aveva assunto un tono beffardo, altero.
Livio parlò dapprima a voce bassa, velata, ma che si fece a mano a mano più forte:
- Sono stato un miserabile, un infame, non lo nego, ma l'amore che voi m'ispiraste al primo vedervi mi fece perdere la testa.
- L'amore! - interruppe Giulietta ironica.
- Sì, io vi amai al nostro primo incontro, ed avrei voluto presentarmi a voi sotto le mie vere spoglie. Ma seppi che il vostro sogno era di sposare un impiegato o un commesso, e per attirarvi a me v'ingannai, ma adorandovi come nessuna donna è stata adorata.
- Ed è questa la vostra discolpa? - esclamò fremente di sdegno Giulietta, fissando sul conte gli occhi fiammeggianti. - Vi piacqui, e per passare il tempo ingannaste la povera operaia che nulla sapeva della vita, che non sospettava gl'intrighi dei vostri pari. Un giorno, stanco del vostro capriccio, mi abbandonaste, senza pensare che forse questa misera tradita era madre! -
Il conte indietreggiò. Giulietta seguitò, animandosi:
- La vostra infamia cangiò ad un tratto il mio amore in un profondo disprezzo, e l'uomo che doveva abbellire la mia vita divenne per me un oggetto d'odio, di terrore. Ma io pure ero stata colpevole, e non perdonavo a me stessa il mio fallo. Mi rinchiusi in una solitudine assoluta, accettai rassegnata la mia maternità, mi dedicai alla mia creatura, nè mi curai di venire in cerca di voi. Vi avevo dimenticato, quando il caso volle che v'incontrassi.
«Seppi allora come il sedicente Fabio Ribera non fosse che il conte Livio Rossano.
«Seppi inoltre che la contessa vostra moglie ignora la vostra perversità, si crede adorata, mentre voi la ingannate con avventuriere.
«Se mi avessero detto che eravate un buon marito, forse non mi sarei neppure curata di rivedervi; ma nel sapere che vi prendete giuoco anche della più onesta delle mogli, ho sentito di odiarvi come non vi avevo odiato per il vostro tradimento.
«Ed ho trovato la mia vendetta.
«Non è giusto che l'ipocrita abbia sempre a trionfare: io vi smaschererò dinanzi a vostra moglie. -
Il pallido volto di Giulietta si era fatto di fuoco, i suoi occhi fiammeggiavano.
Il conte la guardava, e gli pareva più bella così audace, minacciosa, che umile e tenera.
- Fai pure, - disse - ma un giorno rimprovererai te stessa di avermi giudicato più colpevole di quello che sono.
«Tu ignori, Giulietta, che cosa sia il mondo nel quale io vivo. Non scuso affatto la colpa commessa verso di te: ma ascoltami.
«Io non potevo sposarti, perchè quando ti conobbi ero già rovinato, e per me, avvezzo allo splendore, alla ricchezza, la miseria è peggiore della morte.
«Se fossi nato un povero operaio, anch'io forse sarei stato migliore. Ti amavo, ripeto, ma avevo in disgusto la povertà. E quest'orrore lo sentivo anche per te. Avrei voluto farti un trono d'oro, vederti regnare sopra tutte le altre donne. Ma se allora ti avessi detto tutto ciò, tu, fiera ed onesta, non mi avresti amato. Allora ricorsi all'unico mezzo che mi restava per legarti a me per sempre: farti mia, colla promessa che saresti mia moglie; e ci riuscii.
«Ma credi che questo bastasse a saziare l'amore quasi feroce che mi avevi ispirato? No! Il mio sogno persisteva. Volli essere di nuovo ricco, e soltanto per te, e sposai una donna che non amavo, per avere i suoi milioni da offrirti. -
Giulietta rivolse il capo con disgusto.
- La vostra infamia mi stomaca! Potevate mai sperare che io divenissi la vostra amante, calpestando una donna che io rispetto per quanto disprezzo voi?
- Credi forse che io non mi disprezzi? Eppure per te commetterei anche un delitto! Sì, sì: ad un tuo cenno mia moglie sparirà dal mondo, e noi potremo essere ancora felici con la nostra creatura. -
Le si era avvicinato fremente.
Giulietta lo respinse con orrore.
- Sciagurato! - esclamò. - Se ancora avessi nutrito un atomo di tenerezza per voi, le vostre parole l'avrebbero distrutto. Povera contessa, caduta nelle vostre mani! Ma no, non è giusto che essa continui ad illudersi sul conto vostro; mi parrebbe di essere vostra complice se non la illuminassi! -
Livio si morse a sangue le labbra.
- L'avvertirai? - chiese fra i denti.
- Sì! - rispose Giulietta freddamente.
- A noi due, dunque! - esclamò Livio. - Io ti ho offerto la pace, e tu vuoi la guerra. Sia. Ti do tempo un mese a pensarci.
- Non attenderò tanto per smascherarvi.
- Giulietta! -
Il volto di lui prese un'espressione così terribile, che la giovane credette fosse giunta l'ultima sua ora.
Allora pensò alla sua bambina, che senza lei sarebbe rimasta sola al mondo. E tutta la sua energia cadde; una lacrima corse nei suoi occhi e balbettò:
- Ebbene, no, non parlerò! -
Il volto di Livio espresse il trionfo.
Giulietta fuggì da quella casa come pazza.
Livio non aveva fatto un moto per trattenerla, ma nei suoi occhi era un lampo sinistro.
- Ella parlerà, ne sono sicuro! - pensava. - Ma io saprò chiuderle la bocca. -
Una mano che gli batteva sulla spalla lo fece trasalire.
- Hai sentito? - chiese il conte sorridendo.
Cinzia era più pallida del solito. La voce le uscì come un sibilo dalle labbra:
- Ho sentito tutto, e ti dico una cosa sola: mi fai orrore! -