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Carolina Invernizio I misteri delle soffitte IntraText CT - Lettura del testo |
VIII.
Fabio Ribera era al colmo della felicità. Amava ed era amato. Ilda sarebbe presto sua moglie.
La dolcezza infinita, la gravità melanconica di Fabio si affiatavano mirabilmente con la fierezza dei sentimenti di Ilda, il suo fascino incantevole. Una sera che il conte si era recato a trovare il suo protetto, si accòrse che un cambiamento era avvenuto in lui. Fabio sembrava più bello, aveva l'aria felice.
- Sei innamorato! - gli disse sorridendo.
- È vero. Amo una fanciulla bella e buona, la quale mi corrisponde: è una commessa del magazzino dove mi avete impiegato. -
- Una commessa? Una civettina che vorrà imbrogliarti. Fabio, ricordati come anch'io sia stato giocato da una fanciulla dal volto d'angelo.
- Colei non aveva cuore! - interruppe Fabio. - Ma io sono certo della fedeltà di Ilda, del suo amore per me. -
- Tu sei un ingenuo, e nulla conosci del mondo e della vita. È così facile, alla tua età, ingannarsi! Ma io che sono più vecchio di te e t'amo come un figlio, vedrò e giudicherò la tua prescelta. -
Il volto di Fabio si era illuminato.
- Quanto siete buono! Per certo, quando conoscerete Ilda, approverete la mia scelta.
- Ebbene, avvertila che domenica sera mi condurrai con te.
Livio fu puntuale all'appuntamento.
Egli rimase soggiogato dalla bellezza della fanciulla, e provò una gioia infernale al pensiero di tentarla, di contenderla al fratello.
Ilda peraltro provò subito per il conte una ripugnanza istintiva, ebbe il presentimento che quel gentiluomo dal sorriso mendace le porterebbe disgrazia.
Livio comprese che non riuscirebbe a vincere il cuore di quella fanciulla e provò una rabbia interna, che si guardò bene dal dimostrare, ma giurò a sè stesso che Ilda sarebbe sua.
Il conte aveva quasi dimenticato le sue minacce a Giulietta, allorchè una mattina incontrò la sventurata vicino al suo palazzo.
Ella, nel vederlo, divenne pallida, ma non abbassò gli occhi dinanzi allo sguardo di lui. Sembrava minacciarlo.
- Di dove vieni? - le domandò con arroganza.
- Parlate a me? - disse a voce alta Giulietta.
Il conte cambiò subito espressione.
- Scusate; - disse - vi avevo presa per la cameriera di mia moglie. -
E si affrettò ad entrare nel palazzo. Il portinaio passeggiava sotto il vestibolo.
- È stata qui una giovane bionda a chiedere della contessa? - domandò.
- Bene: se venisse, dirai sempre che la contessa non riceve. -
Livio non era tranquillo. Quel giorno pensò sempre a Giulietta, e la sera, mentre si recava dalla fidanzata di Fabio, si fermò di botto, dicendo:
- Ho trovato! Toglierò di mezzo una donna che mi è divenuta odiosa, getterò tanto fango su Fabio, che Ilda non dovrà più provare che orrore per lui, e tutto andrà per il mio meglio! -
La mattina seguente scrisse a Fabio:
«Mentre scrivo queste parole, tremo dalla febbre, dal dolore....
«Ieri ero felice: oggi tutto si rivolta contro me: e soffro tanto, che vorrei morire.
«Non posso scriverti di più, mi si confonde la vista dal pianto; vieni stasera nel mio quartierino da scapolo, dove passammo insieme tante ore, ricordando la nostra cara morta. Di faccia al ritratto di lei troverò il coraggio di dirti tutto, di chiederti un sacrificio.
«Colui che ti protegge e ti ama.»
La sera, Fabio, pallido da far pietà, sonava con mano convulsa all'appartamento indicatogli dal conte. Livio vi si trovava da un'ora.
Il gentiluomo sembrava invecchiato di vent'anni: i suoi occhi portavano le tracce delle lacrime versate.
- Grazie di essere venuto! - balbettò vedendo Fabio.
Questi gli disse:
- Che cosa vi è accaduto? Ditemi tutto, e se la mia vita stessa è necessaria per sollevarvi, prendetela; è vostra. -
Il conte gli gettò le braccia al collo, tenne la testa appoggiata alla guancia di lui, e per qualche minuto non seppe che pronunziare:
Poi si calmò alquanto, e sollevando la testa, proruppe con un tremito nella voce:
- Ti ricordi, Fabio, di quella sciagurata che ebbi la follia di amare e m'ingannò vilmente?
- Volete parlare di Giulietta Lovera? - interruppe il giovane.
- Sì, di lei, il mio genio crudele, Ed io che non volevo credere ai presentimenti!... -
Si passò la mano sulla fronte e proseguì:
- Ero felice, non pensavo più a lei, da che ho sposato la donna che adoro e dalla quale sono adorato. Ma ora la mia felicità sta per distruggersi.... e più ci penso, meno so come porvi rimedio. E tutto per lei.... per Giulietta. -
- Ma che pretende ancora, quella sciagurata? Che vuol fare? -
Il conte rimase per un istante silenzioso, come affranto. Egli recitava la parte che si era prefisso con un'arte che avrebbe ingannato chiunque.
- Te lo dirò! - rispose a voce bassa, soffocata. - Giulietta ha saputo che sono ammogliato, ricco, felice, ed è venuta a ricercarmi. Ella mi ha minacciato di presentarsi a mia moglie, di consegnarle delle lettere che ebbi la debolezza di scriverle, di raccontarle che io, dopo averla resa madre, l'abbandonai con una creatura.
- Miserabile! - proruppe Fabio. - Come può inventare simili infamie?
- Giulietta è capace di tutto.
- Ebbene, avvertite voi stesso la contessa!
- Oh! no.... mai! - esclamò con slancio il conte. - Dovrei confessarle di avere amato quella sciagurata, e Bianca non me lo perdonerebbe, perchè la cara bimba si è illusa di essere stata l'unico amore della mia vita ed io non voglio distruggere un'illusione che forma la sua felicità.
- Volete che mi rechi io stesso da Giulietta, la induca a desistere dalle sue minacce?
- Povero ragazzo! - interruppe il conte - ella ti riderebbe sul viso. Oh! se ci fosse ancora la mia povera mamma, saprebbe darmi un consiglio! -
E volgendo i suoi sguardi sopra una fotografia della contessa Rossano, disse con accento lacerante:
- Mamma, mamma, vieni tu in mio aiuto, ispira a me o a Fabio un mezzo per allontanare il pericolo! -
Anche Fabio aveva rivolti gli occhi al ritratto della contessa, ed in quel momento ricordò la lettera da lei vergata prima di morire, come ricordò le supreme parole di sua madre.
Entrambe quelle morte l'incitavano a sacrificare la sua vita, l'onor suo per il suo benefattore.
Avrebbe egli esitato? Esse stesso gli inviarono una suprema ispirazione.
- Il mezzo ci sarebbe, - disse - e, per quanto terribile, io stesso non esiterò a compierlo. -
Rialzò il capo: gli sguardi dei due uomini s'incrociarono e parvero comprendersi.
- Tu vorresti ucciderla? - disse Livio a voce bassa.
- Sì.... sono disposto a commettere anche un delitto per rendervi la tranquillità.
- No; è troppo! Sarebbe una vigliaccheria la mia se accettassi. Ma la tua risoluzione è buona: io stesso sopprimerò Giulietta. -
Grosse lacrime sgorgarono dai suoi occhi, ma le asciugò rapidamente, come se arrossisse della sua debolezza.
- Voi, esporvi al pericolo di essere arrestato, condannato come assassino? - proruppe con slancio Fabio. - E credete che io potrei permetterlo? A me solo tocca a sacrificarmi, e lo farò. Il vostro nome non deve neppur venire pronunziato. -
Il conte volle dargli l'estremo colpo.
- Non pensi a Ilda? - mormorò.
Un lungo sospiro sfuggì dal petto di Fabio, una lacrima velò i suoi occhi; ma vincendosi subito:
- Prima di Ilda ci siete voi, voi, cui tutto debbo! - esclamò. - Sì, lo ripeto, io solo terrò da voi lontana la disperazione. Voi partirete da Torino con vostra moglie acciocchè nessun sospetto possa sfiorarvi, e checchè accada, il vostro nome non uscirà dal mio labbro. -
Fabio si era andato animando. Aveva l'esaltazione dello schiavo credente che tutto sacrificherebbe per il suo idolo. E l'idolo del povero commesso era il conte Livio. Ah! se avesse potuto leggere nel cuore di lui!
Il conte non dubitava delle parole di Fabio; egli sentiva di tenere la sua vittima nelle mani.
- Oh! Fabio, Fabio mio, dovrò dunque a te, a te solo la mia liberazione! -
Egli si stringeva a Fabio, chiamandolo suo salvatore, affascinandolo con tenere parole, e consigliandogli quanto desiderava con una destrezza infinita.
Fabio lasciò il conte a mezzanotte, e tornò a casa vacillando come un ubriaco.
Quando fu solo nella propria camera, si sgomentò.
Assassino! Sarebbe un assassino! E Ilda?
Il pensiero della sua adorata gli produsse una vertigine.
- Ella resterà libera, - mormorò - sarà felice con un altro! -
In quella notte sognò la contessa Rossano e la madre. Le due morte uscivano dalla tomba per dirgli:
- Compi il tuo dovere se non vuoi essere maledetto da noi. Quella donna non deve più vivere, è necessario che ella muoia per la felicità di Livio. -
Fabio si alzò come ipnotizzato, Fin da quel momento la sua risoluzione fu presa. Alla sera, quando si trovò con Ilda, le parlò di un suo prossimo viaggio per alcune carte concernenti il loro matrimonio,
La fanciulla non doveva aver sospetti.
Fabio accomodò le cose in modo da non suscitare il minimo dubbio.
Una volta lontano da Ilda, si sentì più calmo.
Il conte gli aveva consegnato una chiave della soffitta di Giulietta, dandogli i consigli necessari per l'adempimento del truce misfatto.
Il carnevale favorì l'assassino. La sera prima del delitto, durante un'assenza di Giulietta, Fabio potè penetrare nella soffitta della sventurata, studiarne la disposizione dei mobili, degli oggetti.
Rilesse ancora una volta la lettera della madre e quella della contessa, e dopo averle baciate, le strappò a minutissimi pezzi.
La mattina seguente acquistò gli abiti da pierrot; la sera pranzò macchinalmente, ingoiò due bicchierini di cognac.
Era livido sotto la biacca che gl'impiastricciava il volto.
Quando entrò, verso le undici, nel casamento abitato da Giulietta, aveva il cervello in fiamme e con la mano destra stringeva convulsamente un coltello, che teneva nella tasca dei calzoni.
- La colpirò nel sonno, nessuno se ne accorgerà e avrò il tempo di allontanarmi tranquillamente. -
Ma nell'avvicinarsi all'uscio della soffitta gli tremavano le gambe.
Udì un rumore di voci e di passi: comparve lo studente Aldo, col misterioso domino.
Fabio attese un istante, poi entrò risoluto nella soffitta di Giulietta: tenebre profonde.
Egli accese un cerino e, veduta sulla tavola una candela, si accostò.
Giulietta, svegliatasi ad un tratto, si sollevò sul letto terrorizzata.
- Chi siete? Che volete? - chiese con voce soffocata.
Di un salto Fabio le fu sopra.
- Tacete! - disse a denti stretti.
Ma Giulietta, che lo guardava cogli occhi spalancati, mandò un'esclamazione:
- Assassino! Ti riconosco! Lasciami, o griderò a tutti che il conte Livio Rossano.... -
La sventurata non finì.
Il nome evocato fece tacere il senso di pietà sorto, a suo malgrado, nel petto di Fabio.
Egli alzò la mano armata di coltello e colpì.
Un grido sinistro echeggiò nella stanza: il colpo non aveva dato nel segno.
Coi capelli irti, smarrito, ansante, Fabio alzò una seconda volta la mano.
Allora avvenne una lotta terribile fra l'assassino e la vittima.
Egli colpiva, colpiva sempre, e quando vide Giulietta cadere rantolante, si slanciò verso l'uscio, l'aprì.
Ma una donna gli sbarrava il passo: Teresa.