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Carolina Invernizio
I misteri delle soffitte

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IV.

 

Quando Guglielmo e Severina seppero dell'accusa contro Aldo, della sua entrata in prigione, credettero d'impazzire dal dolore.

Una sera, al momento di coricarsi, i coniugi Rivalta sentirono bussare alla porta di strada.

Era una signora alta, velata, avvolta in un mantello.

- Chi cerca, signora? - disse Guglielmo che era andato ad aprire.

- Cerco di lei, signor Rivalta: sono mandata da Aldo Pomigliano.

- Entri, entri, la prego! -

L'introdusse nella saletta, accese la lampada, e attraverso il velo che copriva il volto della signora scòrse delle sembianze giovanissime, leggiadre.

Severina, sentendo una voce di donna, era frettolosamente scesa. Guglielmo le disse vivamente:

- La signora viene da parte di tuo fratello.

- Davvero? - proruppe Severina avvicinandosi alla sconosciuta. - L'ha veduto? Gli ha parlato?

- No, signora; ma sono portatrice di una sua lettera, consegnatami dal cavaliere Umberto Trani. Eccola.

- Leggila subito, Guglielmo! - esclamò la signora Rivalta. - E lei si accomodi, signora! -

Le indicò il divano, poi corse vicino al marito per leggere, dietro le spalle di lui, la lettera del fratello. Aldo scriveva:

 

«Caro Guglielmo,

«Questa lettera ha due scopi: presentarti la giovane che te la consegnerà, rassicurarti sulla mia sorte e pregarti di rassicurare Severina. Mi trovo in prigione sotto un'orribile accusa in cui venne coinvolta anche la latrice della presente: ella, mercè l'opera di persona influente, è riuscita a fuggire ed è assolutamente necessario che tu la nasconda, la sottragga a tutte le ricerche che si faranno di lei. È la signorina Ilda Corato.»

 

Guglielmo e Severina interruppero la lettura, guardando sbalorditi la giovane, che intanto si era sollevata il velo e fissava su di essi i suoi sguardi ammaliatori.

- Ma non è lei - disse la signora Rivalta non potendo contenersi - che, come annunziavano i giornali, accusò mio fratello di aver tentato di strangolarla e di averla derubata? -

Ilda doveva essere d'accordo con Aldo e con Umberto Trani, perchè rispose:

- I giornali hanno riportato il falso: io accusai il vero autore del tentato assassinio e del furto, ma non vollero credermi perchè in quella notte Aldo era presso di me e gli trovarono nel soprabito i gioielli, che il vero ladro vi aveva posti. Il giudice istruttore, incaricato dell'inchiesta, disse che era tutta una commedia preparata da me e da suo fratello per perdere l'altro.

- E non avete potuto dimostrare in alcun modo la vostra innocenza?

- No, perchè tutte le prove erano contro noi. Ma lasciate che vi racconti tutto.

- Prima terminiamo la lettera di Aldo! - osservò Severina.

- Essa non è che il riassunto di quanto io debbo dirvi, - soggiunse Ilda.

- Se è così, potremo leggerla anche dopo, - disse Guglielmo - e se la signorina non è stanca e vuol raccontare....

- Dirò tutto. Il signor Aldo era già in prigione quando fu spiccato il mandato di cattura anche per me. Ora dovete sapere che fra il cavalier Meralta, magistrato che deve istruire questo processo, ed il cavalier Umberto Trani, che voi conoscete, esiste un sordo rancore, perchè il Trani aveva chiesto di fare l'inchiesta, e non solo venne escluso per i suoi rapporti d'amicizia col signor Moreno o come frequentatore della mia casa, ma lo accusarono di aver sottratto altra volta alla giustizia la contessa Rossano per favorire la gentildonna ed Aldo, nascondendo i loro rapporti al conte per odio contro lui.

«Il Trani avrebbe potuto facilmente scolparsi di tali accuse; ma non lo fece per suoi motivi particolari e si limitò a dire che il tempo avrebbe dimostrato dove era la verità e dove la menzogna. Egli è convinto delle colpe del conte ed ha giurato di smascherarlo e di abbassare l'alterigia del suo collega, che momentaneamente trionfa. Il Trani si è dedicato interamente a questo scopo e dice che riuscirà. Intanto, per mezzo di un agente segreto, che gli è fidatissimo, ha potuto tenere corrispondenza con Aldo, al quale ha dato tutte le sue istruzioni. Così ha avuto questa lettera per voi ed ha potuto avvertirmi in tempo del mandato di cattura ed inviarmi qui, come il luogo, per ora, più sicuro per me.

«Ho lasciato i miei bagagli in stazione ed in un baule tengo un travestimento completo da contadina della valle di Susa. Io so parlare il dialetto di quella vallata. Voi figurerete di avermi conosciuta a Susa, in una famiglia presso cui ero come serva. Direte che quei signori, recandosi fuori d'Italia, mi hanno raccomandata a voi, finchè non abbia trovato un altro servizio. Con questo travestimento potrò anche andare e tornare da Torino senza che nessuno badi a me. Il mio scopo, secondo l'istruzione di Aldo, è di avvicinarmi alla contessa Bianca, di poterle parlare, dirle che il signor Pomigliano le raccomanda di essere tranquilla, che il suo pensiero sarà sempre vicino a lei; ho pure un biglietto da consegnare alla contessa.

- Però il mio povero fratello verrà condannato! - interruppe commossa Severina.

- Temo di sì, - rispose schiettamente Ilda - perchè hanno troppo interesse di toglierlo di mezzo. Ma Aldo vi prega di non tentare alcun passo per sottrarlo alla sua sorte; dice che subirà la condanna senza ribellione, certo di avere un momento o l'altro una rivincita. Egli pensa più a Bianca che a sè: teme solo per lei. -

Severina piangeva.

- È un'anima nobile e grande, e un giorno trionferà per certo con la sua innocenza! - soggiunse Ilda.

La giovane aveva ripreso tutta la sua energia di un tempo, e le sue parole finirono col consolare i coniugi Rivalta.

Ilda fu alloggiata nella stanza dei forestieri, ma per due giorni nè Gina, nè la servetta di casa la videro. Il terzo giorno comparve nei suoi abiti di montanara, che la rendevano irriconoscibile.

Gina fece subito amicizia con lei.

Di lì a due giorni, Ilda seppe della morte del signor Moreno, e molto se ne afflisse. Per saperne la causa, volle andare a Torino e si recò direttamente a casa del Trani.

Il magistrato stava per mettersi a tavola colla moglie ed i figli, quando gli fu annunziato che una giovane montanara chiedeva di essere ricevuta da lui avendo urgente bisogno di parlargli.

Un po' sorpreso, Umberto diede ordine che fosse introdotta nel suo studio.

- Che desiderate da me? - le chiese entrando.

- Ospitalità per qualche giorno, - rispose Ilda.

Al suono di quella voce, Umberto guardò la montanara, sbalordito.

- Voi? Voi? - disse, stendendole la mano.

Ilda raccontò perchè era venuta a Torino: le lacrime offuscarono i suoi occhi ricordando il signor Moreno e Bianca.

Anche il signor Trani era molto commosso.

- Quella morte ha recato a me pure una grande impressione! - disse. - Il signor Moreno ha avuto il colpo mentre si trovava nel proprio salotto solo col genero. Un domestico asserisce di aver sentito il povero signore gridare: «È un'infamia, un'infamia!»

- E la contessa Bianca?

- Vi parlerò più tardi di lei; adesso, senza complimenti, venite a pranzo con me, altrimenti la minestra si fredda.

- Che dirà la vostra signora, vedendomi?

- Mia moglie è la mia vera metà, a parte di tutti i miei segreti, e potete stare tranquilla sulla sua accoglienza; seguitemi. -

Il magistrato condusse Ilda nella sala da pranzo, ed ammiccando alla moglie, che guardava stupita la bella e giovane montanara, disse a voce alta:

- Guarda chi ti conduco, Norina! È la figlia del nostro fittavolo di Susa, che tu non conosci ancora; è venuta a Torino per una cura, giacchè è anemica; suo padre me la raccomanda. Resterà qui con noi.

- Sì, sì! - rispose sorridendo la buona moglie del cavalier Trani. - Sedete, bella ragazza, e ditemi come vi chiamate.

- Catì.

- Ebbene, Catì, state di buon umore e consideratevi come a casa vostra. -

Diede ordine perchè fosse portata un'altra posata, incoraggiò la giovane a mangiare, e durante il pranzo non parlarono che di cose indifferenti.

I figli del magistrato non si mostrarono affatto curiosi. Finito il pranzo i fanciulli si recarono a passeggiare ed il Trani colla signora ed Ilda si ritrassero in un altro salotto. Questa volta Umberto presentò Ilda alla moglie e raccontò il vero motivo per cui era venuta a Torino.

- La contessa Bianca - disse poi il magistrato alla sua ospite - è malata: i medici dicono che il dolore le ha alterata la ragione. Il conte si mostra premuroso con lei, forse perchè, non essendosi trovato il testamento, egli sa ormai che le ricchezze del signor Moreno vanno tutte di diritto a sua figlia. Il mio agente segreto è incaricato di riferirmi tutto quello che succede al palazzo: egli ha trovato una furba ausiliaria in una cameriera. Intanto debbo dirvi che Celia è arrestata.

- Arrestata? Perchè? - chiese con angoscia Ilda.

- Perchè si dice che facesse come voi parte della trama per sopprimere il conte.

- Mi pento di non averlo fatto! - mormorò la giovane. - Era meglio che l'avessi ucciso, quel furfante! -

Umberto scosse il capo.

- Avreste fatto male, - disse - perchè la sua morte non portava alcun vantaggio agli innocenti. No, no! Noi dobbiamo giungere ad accerchiarlo in modo che egli confessi le sue colpe. Ci riusciremo, sebbene la cosa non possa avvenire molto presto. Da chi però non abbiamo nulla da sperare, è da Fabio.

- Se io gli scrivessi, gli raccontassi come sia stato vittima del conte? - osservò Ilda. - Ma in qual modo fargli pervenire la lettera?

- Di questo m'incarico io, sebbene non abbia alcuna fiducia che egli si risolva a tradire il conte. Un uomo che diventa assassino per un altro, deve essere avvinto a quest'altro da tali obblighi, da tali segreti, che riuscirà difficile scoprire. Perchè la semplice gratitudine non basta a spingere un essere a tal punto di devozione. Ho già preparato un'inchiesta a tal uopo: risalirò fino alla nascita di Fabio, troverò qualche vecchio servo della casa Rossano che serviva al tempo dei coniugi Ribera. Quando avrò in mano il bandolo di quella matassa, potrò dire di essere quasi in porto. -

Ilda preparò la lettera, che fece leggere al magistrato, il quale la ritoccò in diversi punti, e, ricopiata, la tenne per farla pervenire al prigioniero.

Intanto ogni giorno si aveva nuove della contessa Bianca, che su per giù erano le stesse; poi si seppe che il conte, licenziata tutta la servitù, aveva già dato gli ordini per la sua partenza con la moglie, con la quale diceva di essersi riconciliato.

- Io non lo credo! - disse Ilda. - Il conte prepara qualche tranello per la contessa.

- Egli è troppo furbo per compromettersi ora che tutto gli va a seconda! - osservò il magistrato. - Forse la contessa, stanca di lottare, ha finito col sottomettersi.

- Sono persuasa che morirebbe prima di cedere! - interruppe Ilda. - Temo piuttosto che, fra tante scosse, abbia smarrita la ragione.

- Io saprò quello che le succede, - soggiunse Umberto. - Bisogna però che agisca con gran prudenza per non suscitare dei sospetti nel conte. -

Intanto fu informato che Livio era partito colla moglie per Napoli e di lì si sarebbe imbarcato per la Sicilia.

Pochi giorni dopo il magistrato, tornando a casa, consegnò ad Ilda una busta, dicendole:

- Non vi avevo avvertita che con Fabio a nulla saremmo riusciti? Giudicatene da quello che troverete qui dentro. -

Ilda lesse il biglietto del prigioniero, che le scriveva, rimandandole la sua lettera senza averla aperta:

 

«È inutile, signorina, che v'incomodiate a spedirmi lettere: esse non m'interessano affatto, e vi dareste una pena inutile, perchè vi sarebbero rimandate come questa. Potevo perdonare l'infedeltà, mi sarei rassegnato alla perdita del vostro amore ritenendola una giusta punizione al mio delitto: non vi perdono i bassi intrighi per perdere il mio benefattore, nè mi rassegno di saperlo vilipeso da voi, che conoscevate i suoi rapporti con me, la bontà del suo animo, la generosità del suo cuore. Io non vi conosco più: l'Ilda di un tempo è morta: per me adesso siete un'estranea, una indifferente.

 

«Fabio.»

 

Il cavalier Trani, che osservava Ilda mentre leggeva, fu molto commosso dalla disperazione che sconvolgeva il suo bel viso.

- Non me l'aspettavo! - esclamò l'infelice lasciando cadere il biglietto che il magistrato raccolse.

Questi cacciò un grido di stupore ed esclamò:

- È insensato come non ci abbia pensato subito! -

La giovane rialzò il capo chiedendo:

- A che cosa?

- Questo biglietto è stato scritto proprio da Fabio, non è vero? Ne riconoscereste la calligrafia?

- Perfettamente.

- Aspettate un momento, - disse il Trani, agitato.

Lasciò Ilda sola, ma non tardò a ritornare portando un pacchetto, dal quale trasse una lettera che svolse e confrontò col biglietto.

- Ed io, stupido, che trascurai la cosa più importante! - disse bruscamente il magistrato. - Guardate, Ilda: vi sembra questa la calligrafia di Fabio?

- Questa è la calligrafia del conte.

- Ne siete sicura?

- Sì, perchè ho delle lettere scritte da lui.

- E firmate col suo nome?

- Certo.

- Queste invece sono firmate «Fabio Ribera» e dirette alla povera Giulietta Lovera.

- Ma dunque, non c'è alcun dubbio: - gridò Ilda - fu lui il seduttore, e fu lui che spinse Fabio ad assassinare quella sventurata!

- Non solo, - interruppe il magistrato - ma Fabio riconobbe quelle lettere per sue, ragione per cui io non mi curai più di indagare. Vedete bene che un segreto grave esiste fra quei due uomini, di cui l'uno tutto sacrifica per l'altro. Ma da Fabio non lo sapremo mai, ve lo ripeto, perciò bisogna cercare un'altra via per giungere alla scoperta della verità. E voi mi aiuterete.

- Con tutte le mie forze, dovessi rimetterci la pelle. - Nessuno, all'infuori della moglie del magistrato, seppe delle minuziose indagini fatte da Umberto Trani, assistito da Ilda, nel passato del conte e di Fabio.

Intanto non trascuravano Bianca, Gina ed Aldo. Questi, durante il processo, pure protestandosi innocente non tentò di difendersi, per salvare l'onore di Bianca. Che gli importava la propria condanna, il proprio disonore, purchè Bianca non avesse a soffrire per cagion sua? Egli era sicuro dell'amore di lei: il Trani gli aveva promesso di vegliare sulla contessa: che il proprio destino, dunque, si compisse!

Scontata la sua condanna, Aldo era scomparso da Torino, e così Ilda ed i coniugi Rivalta, Gina e Celia avevano lasciato Ivrea. Nessuno sapeva dove fossero andati: qualcuno sussurrò che si erano imbarcati per l'America.

Umberto Trani era a parte di quel segreto: egli solo avrebbe potuto dire dove si trovavano, ma si sarebbe ben guardato dal parlarne.

Cercava che tutti dimenticassero, non pensassero più a quella storia d'intrighi, d'infamie, per poter agire.

 

 

 




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