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Carolina Invernizio
I misteri delle soffitte

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V.

 

Livio si era recato a Torino per svagarsi, sicuro ormai che Bianca sarebbe scrupolosamente sorvegliata.

Sotto i portici di piazza Castello, egli s'imbattè nel marchese Passiflora.

Il gentiluomo conservava la sua fisonomia beffarda.

- Chi non muore si rivede! - disse andando incontro al conte. - Sei proprio tu.... o la tua ombra?

Il conte sorrise, e ricambiando la stretta dell'uomo dal quale si sentiva odiato e che detestava del pari, rispose quasi gaiamente:

- Sono proprio io. Mi trovi molto cambiato? Ho avuto tanti guai! Basta, ora sono tranquillo ed ho fiducia nell'avvenire!

- Meriti davvero un po' di felicità! Sei tornato a Torino colla contessa? -

Livio scosse il capo.

- Essa non vuole abbandonare la campagna, ed io non la dissuado, perchè la poveretta ha bisogno di solitudine. -

I due uomini avevano preso a camminare.

- Sento - disse il marchese - che sei diventato un marito modello; ed è tanto più meritevole da parte tua, avvezzo ai tripudi e col patrimonio che adesso possiedi. Perchè deve aver lasciato un bel patrimonio, il vecchio Moreno!

- Un altro paio di milioncini, dei quali mia moglie vuole che io sia il solo amministratore.

- Capperi! La contessa non ha più alcuna prevenzione contro te, nonostante le tue scappatelle! Mi rallegro! A proposito, non lascerai così presto Torino, e vorrai stasera venire a pranzo da me. Troverai delle tue conoscenze; si farà una partita alle carte.

- A casa tua? Ma non pranzavi al circolo e non vi passavi sovente anche la notte?

- È vero, perchè mi trovavo solo. Ora, ho una compagna. Vedrai, vedrai.... Voglio lasciarti il piacere della sorpresa.... Vieni alle sette. Ti accomoda?

- Perfettamente. -

Alle sette in punto il conte entrò nel salone del marchese, dove era già riunita numerosa compagnia.

Il marchese Passiflora gli andò incontro.

- Ti ringrazio di non aver mancato! - disse. - Non si aspettava che te!

- Mi dispiace d'avervi fatto attendere! -

Strinse la mano al marchese, poi salutò tutti, lieto di ritrovare antichi compagni che si affrettarono a festeggiarlo.

- Credevamo che tu fossi sparito dal mondo! - gli dicevano senza dissimulare un sorriso pieno di sottintesi.

- Non è stata colpa mia. Il lutto, la malattia della contessa....

- Come sta adesso? - chiesero alcuni con premura.

- Assai meglio, ma non si risolve a lasciare la sua solitudine.

- Permettete che mi congratuli con voi per la guarigione della contessa! - disse una voce alle sue spalle.

Il conte si volse trasalendo e si trovò a faccia a faccia con Umberto Trani.

- Grazie, cavaliere, per la vostra squisita gentilezza, - disse Livio con un sorriso oltremodo amabile. - Sì, la mia Bianca si è quasi completamente rimessa delle scosse subite. -

Frattanto Livio gli stendeva la mano.

Ma il magistrato non fu in tempo a stringerla, perchè alla volta del conte tornava Passiflora, tenendo al braccio una donna.

Livio indietreggiò.

La compagna di Passiflora era Cinzia.

Ella sorrise al conte, senza mostrare la minima commozione.

Era più pallida del solito, ma conservava quegli occhi strani, incantatori, il sorriso voluttuoso, le movenze serpentine.

- Finalmente, - esclamò, porgendo la mano a Livio - ecco un risuscitato! Non volevo credere a Passiflora quando venne a dirmi che eravate dei nostri.... Ne sono proprio contenta, perchè ero persuasa di non rivedervi più!

- Io invece pensavo che vi avrei ritrovata presto o tardi, - rispose galantemente il conte - e sono tanto più lieto di rivedervi felice.

- Oh! sì, lo sono! - mormorò Cinzia volgendo uno sguardo languido al marchese, che arrossì di piacere, mentre gli amici non nascondevano un maligno sorriso.

- Signori, a tavola! - gridò la voce di un domestico.

I commensali erano quattordici, fra cui cinque donne.

Cinzia sedette in capo tavola, avendo alla sua destra il conte Livio, a sinistra il Trani, di faccia il marchese. Nessuno faceva le maraviglie di vedere in quella casa il magistrato, sapendolo amico di Passiflora ed amantissimo, almeno in apparenza, della società.

Il pranzo era squisito, i vini scelti.

Livio aveva ripreso il suo spirito, la sua gaiezza di un tempo. Riempiva ad ogni momento il bicchiere, che vuotava di un fiato; premeva dolcemente sotto la tavola il piede di Cinzia, raccontava aneddoti a bizzeffe, come se volesse ad ogni costo divertire gli altri.

- È vero - gli chiese il Trani - che avete preso in affitto la villa Stenner?

- È verissimo. A mia moglie piacque per la posizione.

- Forse la contessa non sa come il precedente proprietario, il banchiere Stenner, fosse ivi assassinato! -

Un mormorìo corse lungo la tavola.

- Siete in inganno, cavaliere; - soggiunse il conte -  lo Stenner si tolse da sè la vita, non potendo sopportare i tormenti di una malattia che da diversi anni l'affliggeva.

- Se così vi hanno detto, è perchè i parenti del morto facevano correre questa voce, onde sbarazzarsi di una tenuta che altrimenti non avrebbero trovato da vendere o da affittare. Ma io so benissimo come sono andate le cose.

- Raccontate, raccontate! - esclamarono ad una voce i commensali.

- Lo farei di buon grado, ma temo d'impressionare troppo l'odierno possessore della villa. -

Il conte scoppiò in una risata.

- Raccontate pure, non ho certo alcun timore. La villa è cintata e custodita, ed alla notte si sguinzaglia due mastini, coi quali nessuno vorrebbe far conoscenza.

- Il banchiere Stenner non era meno prudente di voi. Egli era scapolo, ed io lo conobbi una sera in casa del prefetto. Era un bell'uomo, alto, asciutto, di apparenza fredda. Egli teneva casa in Torino, ma passava la più gran parte dell'anno nella sua villa. Si diceva che avesse una singolare passione per la cultura dei giardini, che amasse la solitudine della campagna. Teneva dei domestici che sembravano giganti, dei cani che intimorivano al solo guardarli.

«Una mattina, uno dei domestici trovò sul ciglio di un fosso il cadavere di Stenner. Una palla in fronte l'aveva fulminato. Tutti accorsero sul luogo, vennero i carabinieri da Moncalieri, le autorità da Torino, i medici, fu telegrafato ai parenti e si sparse la voce che il banchiere si era suicidato.

«Ma nessuno rinvenne la pistola colla quale si era tirato il colpo, nessuno sapeva capacitarsi come un uomo ricco a milioni potesse finire i suoi giorni in tal guisa: io solo scopersi la verità, ma era inutile ormai propalarla.

- Perchè? - chiese Cinzia sorridendo. - Era vostro dovere illuminare la giustizia.

- Giustizia era già stata fatta del colpevole! - rispose in tono grave Umberto. - Il banchiere Stenner, benchè avesse un'apparenza piuttosto austera, era il più consumato dei libertini. Per lui nulla vi era di sacro: egli non rispettava nè le mogli, nè le figlie dei suoi dipendenti, e nessuna osava fiatare perchè tutte lo temevano ed avevano timore di far perdere ai padri, ai mariti il loro posto.

«Fra le sue vittime vi era la figlia di un'onesta vedova, che di nulla sospettava.

«Jetta era una ragazza sedicenne, bella e pura come gli angeli. Per certo egli dovette usare delle pazienti astuzie per averla in suo possesso: come vi riuscisse, è un segreto; ma il fatto sta che un bel giorno l'attirò nel parco, e quando l'infelice ne uscì era disonorata. Di poi, licenziò dal suo servizio la ragazza e la madre di lei.

«Jetta non ebbe il coraggio di rivelare subito la verità alla mamma. Peraltro, cominciò a deperire, e tre mesi dopo era in agonia. Solo prima di chiudere gli occhi Jetta disse tutto a sua madre.

«La povera donna, baciato il cadavere della figlia, le sussurrò agli orecchi alcune parole che la morta sola sentì: «Riposa in pace, e sarai vendicata!»

«Pochi giorni dopo il conte fu trovato nel parco con una palla nella testa.

- Bisognava farlo soffrire di più! - urlò Cinzia.

- È vero! - aggiunsero gli altri.

- Che volete, - soggiunse il magistrato - certe vendette raffinate non sono conosciute nella classe alla quale apparteneva la povera madre.

- Ma voi, come sapeste questa storia, che mi pare un po' assurda? - chiese Livio.

- La seppi dalla bocca stessa dell'infelice madre.

- E non la denunziaste?

- L'avreste fatto voi?

- Sì, perchè in fondo quella donna era un'assassina!

- E qual nome dareste all'assassinato? -

Il conte alzò con noncuranza le spalle.

- Quando un uomo - soggiunse il magistrato - abusando dell'innocenza, della fiducia d'una giovinetta, le ruba l'onore, se la vittima o chi per essa fa giustizia del don Giovanni, è nel suo diritto. No, non denunziai quella madre.... e la coscienza non mi rimprovera: feci il mio dovere.

- Bravo, benissimo.... - gridarono tutte le donne.

Passiflora, per tagliar corto alle discussioni che potevano sorgere, colmò il bicchiere di sciampagna, e, sollevandolo, disse gaiamente:

- Alla salute di tutte queste belle! -

Finito il pranzo, i commensali passarono in un'altra sala, dove erano preparati i liquori, il caffè, i sigari.

Due porte di questa sala erano spalancate: una metteva nella stanza da giuoco, l'altra in una galleria a fiori.

Alcune coppie si erano già avviate in quella galleria, ed il conte invitò Cinzia ad imitarle; ma in quel momento Passiflora si avvicinò dicendogli:

- Aspettiamo te per fare una partita.

- Un momento; vengo. -

E mentre il marchese si allontanava per parlare con un altro, Livio disse rapidamente a Cinzia:

- Bisogna che ti parli.

- Anch'io, - rispose ella con voce oppressa.

- Vieni al Trombetta. Ti attenderò tutta la mattina.

- Alle nove ci sarò. -

Cinzia si diresse verso il Trani, che entrava nella galleria.

Livio si recò nella sala da giuoco.

Alle due di notte, quando si ritirò, aveva perduto ventimila lire, ma poco glie ne importava.

Al conte ormai non premeva che togliere Cinzia a Passiflora. E l'impresa gli pareva facile, perchè la cortigiana doveva amarlo ancora, a malgrado del modo poco gentile con cui l'aveva trattata.

Egli era partito da Torino colla moglie senza più rivederla, senza dirle dove si sarebbe recato, senza lasciarle del denaro, quantunque sapesse che in quel momento Cinzia non si trovava in buone acque. E non si era mai più curato di sapere che fosse avvenuto di lei.

Ora, avendola ritrovata con Passiflora, il conte, inasprito dalle ripulse della moglie, sentì rinascere con violenza il suo capriccio del passato, capriccio accresciuto dal desiderio di prendersi giuoco di Passiflora.

Egli non potè dormire: alle sette era già alzato.

Ma erano già passate le nove ed il conte, fremente di impazienza, di collera, passeggiava nervosamente per le stanze, quando il cameriere venne ad avvertirlo che una signora chiedeva di lui.

Cinzia entrò: vestiva un abito scuro, semplice, elegantissimo.

Il conte le andò incontro, stendendole la mano, dicendo a voce alta:

- Buon giorno, cugina! -

Ma appena il cameriere si fu ritirato, Livio chiuse l'uscio con la spranghetta e si volse a Cinzia per abbracciarla.

La cortigiana disse con accento mordace:

- Giù le zampe, mio caro! Non sono venuta qui per subire i tuoi amplessi, ma solo per sfogarmi! -

Egli fece un gesto irato.

- Se avevi l'intenzione di farmi una predica, - esclamò - potevi risparmiarti la pena di venire!

- Ah! - esclamò Cinzia, che si ora seduta sul divano. - Ti farebbe comodo, dopo avermi lasciata cinque anni fa, come un cane, senza neppur dirmi addio, riprendermi adesso che ti è tornato il capriccio e sei qui senza tua moglie! Ma ciò non fa comodo a me, e se sono venuta, è per dirti in faccia, da soli a soli, che sei un birbante, un mascalzone! Ed io ti amavo al punto di sacrificarti tutto, ed ho sempre taciuto sulle tue marachelle, che potevano mandarti all'Assise, come quel povero diavolo che vi si recò volontariamente per salvarti. -

Il conte era divenuto cadaverico.

- Cinzia, tu vaneggi!

- Sai bene che no! Ma non importa, starò zitta su questo punto, perchè mi preme la pelle: volevo soltanto parlarti della tua ingratitudine verso me. Mentre tutto ti andava a seconda ed io stessa ti aiutavo perchè tu riuscissi a trionfare, a schiacciare quella Cleo, che mi era rivale, tu pensavi già a sbarazzarti di me.

- Non è vero, Cinzia!

- Non è vero? Te lo provo, Tu sai che in quei giorni io mi trovavo in cattivissime acque: il mio protettore se ne era andato e tu mi lesinavi il denaro, perchè ne avevi bisogno per riuscire a trionfare sui tuoi nemici. Però mi lusingavi dicendomi che, ottenuto il tuo intento, mi avresti fatto parte dei milioni del suocero, e mi avresti serbato una riconoscenza eterna. Parole! I nemici furono vinti, il suocero se ne è andato all'altro mondo, i milioni sono caduti nelle tue mani, e tu, senza una parola, un addio, fuggi colla moglie e ti rivedo dopo cinque anni!...

Il conte aveva cambiato fisonomia.

- Perdonami, Cinzia, perdonami....tu hai ragione; ma io aveva perduto la testa....

- Vai a darlo ad intendere ad altri, non a me, che ti conosco.... Non ti pareva vero di liberarti di me, ricco a milioni, con una moglie che tu stesso avevi resa pazza e non ti dava più noia. Intanto io sono rimasta con un pugno di mosche in mano e per soprappiù mi sono ammalata e sono stata condotta all'ospedale: all'ospedale, capisci, dove rimasi cinque mesi, e quando ne uscii, non avevo più nulla da vivere, ed ero così debole.... così debole.... Basta, non voglio tediarti col racconto delle sofferenze da me patite: ti dirò solo che ti maledivo mille volte al giorno e ti auguravo ogni male. Alfine, un'anima pietosa s'interessò di me e cominciai a star meglio. Ma ero stanca di far la vita della donna alla mercè del primo venuto, e volli mettermi a lavorare. La persona che si era interessata di me mi diede pure i mezzi per rilevare una rivendita di sali e tabacchi. E facevo degli affari. Fra i miei avventori era il marchese Passiflora, che s'intratteneva a discorrere volentieri con me. Egli mi confidò che era sua intenzione prendere in affitto un elegante appartamento, ammobiliarlo riccamente per ricevere ogni sera gli amici e le amiche, per giocare. Mi propose di entrare in società con lui: accettai. -

Il conte ebbe un sorriso ironico.

- E dividete i proventi della bisca, o ricevete anche i magistrati che assistono impassibili allo spoglio dei giocatori?

- Vuoi parlare del cavaliere Trani? Ma egli non è più in servizio: già da qualche anno ha dato le sue dimissioni. -

Livio provò un segreto sollievo. Cinzia riprese:

- Io vado perfettamente d'accordo con Passiflora, e, grazie a lui, la mia situazione fra poco sarà cambiata, perchè diverrò sua moglie.

- No, tu non lo sposerai! - disse con violenza il conte.

- Perchè? Sei tu che ti opponi? È grottesco: dopo avermi lasciata nella miseria, non curandoti di me per cinque anni.... Basta! finiamola: ora che mi sono sfogata, me ne torno a casa.

- No, tu non andrai via così: voglio che tu ti calmi, che tu rifletta. Non mi dirai che ami Passiflora.... no, non lo credo. E perchè lo sposeresti? Per avere il suo nome? Bel nome! Tenutario di una bisca. Per i quattrini? È rovinato, e quello che oggi possedete insieme, non si fonda su basi solide. Che bell'avvenire ti attende!... E come può quell'uomo divertirti? No, non fa per te! -

Cinzia tratteneva a stento le risa.

- Avrei un bel vantaggio a cambiarlo con te! - disse.

- Sì, che l'avresti! - interruppe con impeto il conte. - Prima di tutto, io sono adesso padrone di circa tre milioni, ed almeno la metà di questo denaro potremo godercela insieme. Bianca ormai non si muove dalla villa, ma io posso venire a passare con te almeno tre giorni della settimana, purchè sia sicuro di trovare la tua casa sempre aperta, il tuo cuore come per il passato, e che io possa confidarmi a te interamente. Non è vero che accetti la mia proposta? -

Le s'inginocchiò dinanzi, le baciò le mani.

Cinzia sembrava commossa.

Egli si fece sempre più incalzante, perchè voleva ad ogni costo supplantare Passiflora e perchè il fascino che emanava da Cinzia tornava ad avvilupparlo.

- Resta con me! - pregava con voce piena di lacrime. - Dimmi che cosa vuoi che io faccia per ottenerti ancora! -

Cinzia si alzò.

- Ebbene, avrai la mia risposta domattina.

- E perchè non adesso?

- Perchè voglio rifletterci. Addio! -

Rimasto solo, il conte fu dapprima assalito da una collera violenta.

Ma dovette contenerla, calmare i nervi e lo spirito. Sceso a fare colazione, poi lasciò l'albergo, stette fuori parte della giornata ed alla sera fu tentato di recarsi da Passiflora.

Ma resistette alla tentazione; tornò all'albergo e si sentì molto triste, come forse non lo era mai stato nella sua vita.

Pensò a sua moglie, e sentì che non avrebbe mai più riacquistato il suo amore: poteva ottenerla colla forza, ma non avrebbe più posseduto che un cadavere.

Ebbe un moto di ribrezzo a quel pensiero.

Nessuno lo amava al mondo, all'infuori di Fabio; ma quella stessa cieca affezione del misero, invece di tornargli di conforto, l'irritava, ricordandogli le sue orribili menzogne, il delitto fatto compire.

Era malcontento di sè, di tutti, e passò anche quella notte senza chiuder occhio; si alzò di cattivo umore ed attese la risposta di Cinzia.

Alle nove precise sentì battere all'uscio.

- Avanti! - disse.

Con un vivo battito di cuore vide entrare Cinzia col sorriso sulle labbra, gli occhi pieni di fiamme.

- Vengo a portarti la risposta io stessa! - disse, porgendogli le labbra.

Livio gettò un grido di gioia e la strinse al suo petto.

Ma Cinzia si svincolò, e indietreggiando alquanto:

- Adagio! - esclamò. - Prima dobbiamo fare i nostri patti! -

 

 

 




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