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Carolina Invernizio I misteri delle soffitte IntraText CT - Lettura del testo |
IX.
Nell'assenza di Fabio, la contessa Bianca non si mosse dalla sua camera.
Erano circa le quattro del pomeriggio. La contessa, dopo aver desinato, sedette sul balcone, attendendo il ritorno di Fabio.
Ella provava in cuore una dolce commozione ed aveva il vago presentimento che quel giorno dovesse essere per lei notevole.
Mentre era così immersa nelle sue fantasticherie, fu sorpresa di sentire un arpeggio di chitarra, mentre una voce di bimba cantava la tenera e soave romanza:
/* «Rondinella pellegrina Che ti posi sul verone....» */
Bianca provò una scossa indefinibile: ella chiamò Milia.
- Non senti quel canto di bambina? - le chiese la contessa.
- Sì, infatti.
- Sai chi è che canta?
- No, contessa, ma vado subito ad informarmi, se vi fa piacere.
- Sì, va', va'! -
Il dolce canto continuava; poi, ad un tratto, cessò. Alcuni minuti dopo Milia apparve con una bambina magra, vestita di nero, col capo coperto da un fazzoletto nero che gli scendeva sulla fronte e impediva di scorgere il colore dei capelli.
La bimba inoltrava quasi tremando.
- Contessa, - disse Milia con tono commosso - vi ho condotta la piccola cantante, certa che, se anche il conte ed il signor Martino lo sapessero, non mi sgriderebbero, come vorrete impetrare indulgenza per Pietro il giardiniere e sua moglie, che hanno commesso una mancanza.
- Quale mancanza? - chiese Bianca.
- È passata di qui una compagnia di sonatori girovaghi, dei quali fa parte questa bambina. Sono due donne ed un uomo: la più vecchia, quando è stata al cancello della villa, ha avuto uno svenimento. Il giardiniere e sua moglie, impietositi, li hanno ricettati nel padiglione del parco.
- Hanno fatto benissimo! - interruppe concitata Bianca. - Vai subito a portare a quella povera gente quanto può loro occorrere. Intanto la piccina mi terrà compagnia. -
Milia non vide alcun inconveniente nell'appagare il desiderio della contessa, e si affrettò ad allontanarsi, lieta di aver trovato anche per sè un passatempo, pur facendo una buona azione.
Durante il discorso delle due donne, la bambina era rimasta silenziosa, cogli occhi bassi, in mezzo alla stanza.
Appena uscita Milia, la contessa sedette su d'una poltrona, dicendo con dolcezza:
- Avvicinati, mia cara, non temere! -
Allora si vide una cosa inaudita. La bambina si tolse d'un lampo il fazzoletto che aveva in capo, lasciando sciogliere sulle spalle lunghi e folti ricci d'un biondo dorato.
Poi d'un salto fu al collo della contessa, baciandola convulsamente, balbettando fra lacrime e singhiozzi:
- Mammina.... la mia mammina.... finalmente.... finalmente.... t'ho ritrovata!... -
Fu un vero miracolo se Bianca non cadde svenuta. Senza una parola, strinse convulsamente fra le braccia Gina, la figlia della povera Giulietta, e per un istante fu un vero delirio.
- Sei tu, proprio tu, Gina mia? - balbettava la contessa.
- Io, mammina cara; se tu sapessi quanto abbiamo fatto per avvicinarti senza che ci scoprissero! Ma ti dirò tutto, sai! E non temere: ora sono grande e saprò non tradirmi per restare vicino a te.
- Cara, cara, tesoro adorato; ma aspetta un momento, chiuderemo l'uscio.
- Non importa, mammina! - osservò giudiziosamente la bimba. - Non bisogna destar sospetti a quella donna che ti serve; sta' tranquilla, per un pezzo non verrà; il babbo saprà trattenerla! -
La contessa sentì mancarsi il respiro: il suo cuore si mise a battere pazzamente.
- Il babbo è qui con te? - mormorò.
- Sì: povero babbo, ha sofferto tanto! Ma ci ha dato sempre speranza e coraggio. Egli ha pensato di trasformarci in sonatori ambulanti....
- Ma chi sono le due donne che avete insieme? - chiese palpitante la contessa.
- Una si chiama Ilda e mi tiene luogo della povera zia Severina, che è morta.... -
Gli occhi di Bianca si empirono di lacrime.
- Morta? Morta di dispiacere, non è vero? - mormorò, parlando più a sè stessa che a Gina.
- Sì, mammina, ma anche morendo pensava a me, a te, e scongiurava il babbo di ricondurmi nelle tue braccia, e perdonava a tutti.
- Povera e santa creatura! E suo marito?
- Ha lasciato Ivrea, non potendo più vedersi nel paese dove è morta la zia. Non sappiamo dove sia andato.
- E l'autore di tutte queste sventure dovrà restare impunito?
- Il babbo dice che bisogna aver fede nella giustizia divina. -
Quella semplice espressione di fiducia in Dio commosse profondamente Bianca.
Gina la guardava con un sorriso estatico.
- Mammina, se tu sapessi quanto ho pregato per te! Ed anche per il babbo, che non vedevo più.... Ma un giorno egli tornò. Era pallido pallido e tremava mentre mi stringeva fra le sue braccia. È tanto buono, il babbo, mammina! Oh, se tu potessi scendere un momento, vederlo, parlargli! -
Bianca si scosse e con subitanea commozione:
- Ebbene.... sì.... verrò.... lo debbo, lo voglio!...
- Oh! mammina cara, quanto sei buona! Non temere: quella donna che ti serve non saprà nulla. Guarda! -
Scivolò dalle ginocchia della contessa, riprese il suo fazzoletto e ne avvolse i dorati capelli.
Poi, sorridendo di un sorriso angelico, stese la mano a Bianca, dicendo:
- Volete venire, bella signora? -
La fisonomia della contessa si era mutata. Ella era divenuta seria ed i suoi occhi brillarono stranamente.
- Vengo! - rispose in tono risoluto, alzando il capo con fierezza. - Non sono io qui la padrona? Gina, cara bambina mia, conducimi da tuo padre. -
Gina l'afferrò per la mano.
In quel momento comparve Fabio. Egli era pallidissimo, ma calmo.
Guardò con sorpresa la bimba vestita a lutto, che alla sua vista si rifugiò fra le gonne della contessa.
- Ah! siete tornato a tempo, Martino! - disse Bianca senza scomporsi. - Vedete questa cara bambina? Essa fa parte di una compagnia di sonatori girovaghi che io ho permesso di ricoverare nel padiglione del parco. Ora, per aderire alle preghiere di questa bambina, stavo per scendere a visitare i suoi compagni.
- Volete che vi accompagni, contessa?
- Più tardi; prima ho bisogno di parlarvi. Va' tu sola, cara, - soggiunse volgendosi alla bambina - di' a tuo padre ed agli altri che tra poco sarò da loro, ed avverti la donna che mi serve che io sono qui col signor Martino e non ho bisogno per ora di lei.
- Sì, contessa! - balbettò la bimba. - Mi permettete di abbracciarvi?
- Con tutto il cuore! -
E mentre Gina si stringeva al collo di Bianca, le sussurrò all'orecchio:
- Quello è l'uomo cattivo che ti tiene chiusa qui, lontana da me?
- No, tesoro; - rispose la contessa - quello è un uomo buono, che farà del bene anche a te! -
E a voce alta:
- Dai un bacio anche al signor Martino! - soggiunse.
- Certamente, se lo vuole! - rispose pronta Gina.
- Oh! lo voglio sicuro! - esclamò Fabio, commosso da quella spontanea ingenuità.
E si chinò sorridendo, ricambiando il bacio purissimo. La fanciulla corse via tutta contenta.
- Sapete chi sia quella bimba? - disse la contessa posando la mano sulla spalla di Fabio, che tremò a quel contatto.
- No, - rispose con voce velata.
- Ve lo dirò io: è la figlia di Giulietta Lovera. -
Egli si rivolse alla contessa con un'espressione straziante.
- Mio Dio.... ne siete sicura? Ed avete voluto che baciasse me.... il miserabile che l'ha privata di sua madre?
- Io non vi considero un assassino, e sono sicura che anche la povera Giulietta vi ha perdonato. -
Fabio scoppiò in dirotto pianto.
- No.... non me lo merito.... Ah! potessi spargere tutto il mio sangue per farla rivivere! -
La contessa disse dolcemente:
- Giacchè non è possibile, pensiamo alla sua bambina.
- Oh! avete ragione.... sì, sì.... ditemi ciò che io posso fare per lei.... sono pronto a tutto.... a tutto....
- Sedete, Fabio, ed ascoltatemi bene. Ormai posso confidarmi a voi. La figlia di Giulietta non è qui a caso: essa è venuta in compagnia di altri sventurati che attendono, soffrendo, il giorno della giustizia. -
Fabio sussultò, spalancando gli occhi.
- Chi sono? - chiese a bassa voce, tremando, perchè temeva d'indovinare.
Bianca alzò la bella testa, che pareva cinta da un'aureola.
- Ancora non li ho veduti, nè ascoltati; - disse - ma li vedremo ed ascolteremo insieme, Oh! non temete, soggiunse dolcemente, vedendo Fabio impallidire - non voglio obbligarvi ad essere presente, nè pronunzierò il vostro nome! Col vostro permesso farò venir qui quella gente: voi entrerete nella mia camera lasciando la portiera abbassata, e di lì potrete ascoltar tutto. Sarà senza dubbio una confessione penosa per me e per voi.
- Non come quella che udrò domani sera, - interruppe Fabio.
- Domani sera? Dove?
- A Torino, in una casa dove mi condurrà il cavaliere Umberto Trani, del quale vi riporto la risposta alla vostra lettera.
- Siete dunque andato da lui? - domandò con ansia febbrile la contessa.
- Sì.
- Ma allora avete veduto mio marito, e siete persuaso adesso che non fu calunniato?
- Lo sono; ecco perchè fino da questo istante io mi dedicherò tutto a redimere il male da me fatto. Comandate: se volete far venire quelle persone, sono pronto a sonare il campanello per dare gli ordini necessari.
- Un momento: lasciate prima che io legga la lettera del cavalier Trani. -
Fabio la guardava mentre essa leggeva, e andava pensando come suo fratello fosse stato vile, miserabile, a sacrificare, per i suoi infami vizi, quella soave creatura, così squisitamente educata.
Per una completa evoluzione del suo spirito, Fabio provava ora per la contessa tanta stima e venerazione, quanto odio e disprezzo per il conte. Sentiva che, trovandosi di fronte a lui, avrebbe a mala pena contenuto la sua indignazione.
Bianca, finito di leggere, stese la lettera a Fabio.
- Ormai non esistono più segreti fra noi; - disse - leggete. -
Egli sentì gonfiarsi gli occhi di lacrime.
- Quanto siete buona! - mormorò. - Grazie! -
Furono interrotti dal passo pesante di Milia nella stanza vicina.
Fabio nascose la lettera in tasca, e mentre la vedova bussava all'uscio.
- Avanti! - disse a voce alta.
- Scusate se vi disturbo, - esclamò Milia entrando - ma non ho ben capito l'ordine di quella piccina, sembrandomi impossibile che la contessa non avesse bisogno di me!
- Stavo per chiamarvi adesso, - disse Bianca. - La piccina ha eseguito benissimo la mia commissione, perchè il signor Martino desiderava parlare a me sola. -
Milia si volse a Fabio.
- Avete fatto un buon viaggio, Martino? Avete veduto il conte?
- Sì. Mi ha detto che tornerà presto, e che intanto dobbiamo obbedire in tutto alla contessa.
- Oh! per me non chiedo di meglio. Sono tanto lieta di vederla migliorata!
- Ora, - interruppe Fabio - siccome la contessa desidera conoscere quei sonatori ambulanti ai quali ha fatto dar ricovero, andate a dir loro che li aspetta, e conduceteli in questo salotto. E non occorre che io e voi conosciamo le sventure di quei poveretti, dei quali la nostra padrona vuole occuparsi; per cui ci ritireremo entrambi, appena li avrete condotti qui. -
Milia si ritirò.
Fabio entrò nella camera della contessa, per consiglio della medesima.
Bianca chiuse la vetrata del balcone ed attese seduta su di una poltrona. Era pallidissima. Stava dunque per rivedere Aldo, lo sventurato che aveva tanto sofferto per cagion sua!
Gina entrò per la prima nel salotto e corse a lei per dirle:
- Mammina, coraggio, non tradirti! -
E ristette timida presso Bianca, mentre gli altri entravano a loro volta nel salotto, preceduti da Milia, che diceva:
- Eccoli, signora contessa! -
Bianca vide un uomo male in arnese, dai capelli lunghi e brizzolati, che teneva gli occhi bassi e rigirava fra le dita un largo cappello; una donna in sottana corta con un fazzoletto a colori avvolto intorno al capo, ed una vecchia che si reggeva su due bastoni e camminava curva, penosamente.
- Avanti, avanti! - disse la contessa con voce che si sforzava di rendere ferma. - Milia, avvicina delle sedie, poi vattene. -
Appena la donna fu uscita, Gina andò a chiudere l'uscio a chiave, mentre Aldo si affrettava a togliersi la parrucca, Ilda, il fazzoletto e la vecchia metteva in un angolo i bastoni, raddrizzava il corpo ancora robusto e andava a gettarsi ai piedi di Bianca, esclamando fra i singhiozzi:
- Oh! la mia padrona, la mia padrona!... Finalmente vi rivedo!
- Tu.... Celia.... tu?...
- Io, sì, che mi sono disperata tanto per cagion vostra! Ma ora è passato tutto, perchè vi ho ritrovata, sono vicina a voi, posso parlarvi, contemplarvi ancora!
- E noi, dunque? -
E la contessa si trovò ad un tratto circondata da quelle quattro persone che l'adoravano.
Dopo un lungo scambio di strette di mano, di frasi affettuose, la contessa volle che le raccontassero tutto ciò che era avvenuto dopo la loro separazione.
- Incomincerò io, - disse Celia che aveva ripreso tutto l'ardire di una volta. - Voi già forse sapete, contessa, come io sia stata condannata per aver detto la verità su vostro marito. La condanna fu lieve, ma ingiusta. Basta: uscita di prigione, vostro marito mi diede lo sfratto. Allora mi recai ad Ivrea, e fui accolta in casa Rivalta, dove rimasi poco, volendo ad ogni costo sapere la sorte vostra. Ma voi eravate partita, ed io tornai al mio paese. Il signor Pomigliano fu quello che mi venne più tardi in aiuto, - concluse Celia. - Ed ora spetta a voi, Aldo, a parlare. -
II giovane rimase concentrato alcuni minuti, poi disse con voce commossa:
- Non parlerò dei miei dolori, perchè è facile intuirli. Ma tutte le mie torture fisiche e morali furono nulla in confronto all'idea di lasciarvi nelle mani di un uomo che su voi avrebbe fatto pesare la sua tirannica volontà.
«Scontai l'ingiusta condanna, e sonata che fu l'ora della libertà, corsi in casa del Trani, dove trovai, colla più affettuosa accoglienza, Ilda, che tutti credevano rifugiata all'estero.
«Appena mi vide, ella si gettò ai miei piedi, chiedendomi perdono, dicendosi cagione delle mie sventure.
«Povera innocente, vittima al pari di me! La sollevai commosso, le dissi che il solo colpevole era il conte, che da lui solo erano venuti tutti i nostri dolori, le nostre vergogne, le nostre umiliazioni.... e che lui soltanto meritava di essere punito.
«Basta: fra me ed Ilda combinammo di ritrovare le vostre tracce.
«Ma una lettera di mio cognato mi chiamò ad Ivrea. Mia sorella, colpita al cuore dalla mia condanna, andava adagio adagio estinguendosi.
«Mio cognato l'aveva condotta per qualche tempo in Isvizzera con Gina; però la mia povera sorella non volle fermarsi ivi a lungo e tornò ad Ivrea.
«Ella aspettava il mio ritorno, e mio cognato sperava che la mia presenza contribuisse a renderle la salute.
«Severina morì invece sei mesi dopo nelle mie braccia, e con una mano stretta in quella del marito.
«L'ultimo suo pensiero fu per voi. -
Aldo tacque un istante perchè aveva delle lacrime nella voce. Bianca e gli altri pure piangevano.
- Mio cognato, - continuò Aldo - che in pochi mesi era divenuto tutto bianco, colla faccia rugosa, la schiena curva come un vecchio, presso al letto di morte di Severina voleva suicidarsi.
«Feci appena in tempo per strappargli l'arme dalle mani. Tuttavia egli partì dopo senza volermi dire dove si sarebbe recato.
«Mi ritrovai solo con Gina, che mi chiedeva insistentemente di voi.
«Allora sorse in me il progetto di ricercarvi, di avvicinarvi, in unione a tutti coloro che avrebbero voluto vendicarvi.
«Mi recai con la bimba a Torino, spiegai il mio progetto al Trani.
«Egli mi approvò.
«Scrissi a Celia, ebbi un colloquio con Ilda, e pochi giorni dopo potevo dire a Gina:
«- Non piangere: noi andremo in cerca della tua mammina. -
«Avevamo deliberato di formare una compagnia di sonatori ambulanti, di percorrere l'Italia per seguire le vostre tracce.
«Per mezzo del Trani, ci fu facile avere un passaporto in piena regola. Io passavo per il padre di Gina, orfana di madre, Ilda per mia sorella, Celia, una zia.
«Ora non sto a descrivervi tutte le peripezie del nostro viaggio: vi dirò solo che, arrivati a Messina, una lettera del cavaliere Trani ci avvertiva che il conte aveva acquistata questa villa, e che qui si era ritirato con voi. E si diceva che, guarita dalla pazzia cagionata dai dolori sofferti, vi eravate riconciliata col marito.
«Per quanto io soffrissi, era tale il desiderio di sacrificarmi per la vostra felicità, che vi perdonai di aver dimenticato le ingiustizie da me sopportate.
«Avremmo dato tutti la vita per risparmiarvi un nuovo rammarico.
«Però, se io perdonavo a voi, Ilda non perdonava all'uomo che le cagionò tanto male.
«- Voglio assicurarmi che la lettera dica il vero! - esclamò. - Io non credo al pentimento di costui: ho idea che quella riconciliazione debba servire al conte per giungere al possesso di tutte le ricchezze della moglie, e ottenuto il suo scopo: sopprimerla. -
«Allora scrivemmo al Trani per fargli parte dei nostri sospetti; egli ci rispose che ormai il conte era nelle sue mani, e ci pregava di tornare a Torino.
«È inutile vi racconti adesso il colloquio che ebbi col Trani: ne capirete più tardi il risultato.
«Egli però non sa che ci troviamo qui in questo momento, ma io non seppi resistere al desiderio di Gina, di Celia e di Ilda, che volevano ad ogni costo avvicinarvi, mentre io non osavo sperare tanta felicità.
«Adesso siamo in attesa dei vostri ordini.
- Un momento! - esclamò Ilda, che fino allora aveva taciuto. - Io debbo e voglio dire alla contessa quale sia il mio scopo nell'avvicinarmi a lei; ma prima, guardatemi bene, signora. -
Ella sì si era
avvicinata a Bianca, che fissò con compassione quel volto un giorno
affascinante, ora alterato dal dolore, quegli occhi sinistramente
fiammeggianti, quella bocca livida.
- Il signor Aldo è un santo! - disse la giovane sedendo di fronte a Bianca. - Condannato ingiustamente, torturato, parla ancora di clemenza, di perdono. Io, no! Sarà una demenza la mia, ma non avrò pace finchè non schiaccerò sotto i miei piedi il miserabile, cagione di tante sventure! Mi ucciderò se non l'uccido, e sono donna da mantenere la mia parola!
«Ho troppo sofferto per cagion sua, ho veduto troppo soffrire gli altri, innocenti al pari di me!
«Ed è giusto questo?
«Io sono adesso come una belva che va attorno alla gabbia nell'attesa di sbranare chi l'ha ridotta all'impotenza.
«Egli deve venire qui, non è vero? Ed io qui resto.
«Scommetto che non sarà solo; egli avrà seco l'uomo che ha già spinto ad assassinare una innocente; colui è sua vittima!
«Fabio è uscito di prigione, ma nessuno sa dove si sia nascosto.
«Nessuno lo sa? M'inganno! Il conte deve saperlo ed io ho il presentimento che verrà qui con lui per compiere qualche altro mostruoso delitto.
«Ma non temete: ci sono io, io che strapperò finalmente la maschera all'infame Livio, che mostrerò a Fabio chi sia l'uomo al quale egli affidò un giorno la fidanzata.
«Io non ho paura nè dell'uno, nè dell'altro: forte della mia innocenza, saprò far giustizia e lasciare a Fabio, che dubitò di me, un eterno rimorso.
«Contessa, è vero che non ci allontanerete dalla villa?
- No! - disse pronta Bianca. - Rimarrete tutti presso di me. È qui un uomo che il conte mi ha posto al fianco per sorvegliarmi; ma costui ormai è divenuto lo schiavo di ogni mia volontà. Egli vi assegnerà un appartamento in questa casa, eseguirà gli ordini che io darò. Tornate nel padiglione; anzi, vi accompagnerò io stessa per non dare sospetto alla servitù; voi sola, Ilda, rimanete qui ad aspettarmi: ho bisogno di parlarvi in particolare. -
La contessa uscì, seguita da Gina, Celia ed Aldo.
Ilda non li seguì.
Essa si era abbandonata su di una poltrona e nascondendosi il volto fra le mani pianse silenziosamente.
Ad un tratto la giovane fremette.
Una voce dietro a lei, una voce piena di lacrime, diceva:
- Ilda, se vuoi uccidere anche questo sciagurato che osò dubitare di te, eccomi pronto: non mi difenderò! -
Fabio si gettò ai piedi della giovane.
- Indietro, assassino! - esclamò. - Io non ti credo più; se ti trovi in questo luogo, è per commettere un altro delitto.
- Io sono qui invece per salvarvi tutti e punire il nostro comune carnefice.
- Ipocrisia, menzogna! - gridò Ilda. - Vattene, vattene! -
Fabio si era alzato e la guardava con infinita tenerezza e pietà.
Ilda, che se lo vedeva sempre dinanzi, fu presa da un impeto di furore.
- Ma vattene dunque! Non capisci che la tua presenza mi è odiosa?
- No, fermatevi, Fabio! - disse dolcemente la contessa che rientrava in quell'istante. - Ho bisogno che voi siate presente al colloquio che avrò con Ilda. -