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Carolina Invernizio
I misteri delle soffitte

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III.

 

Nonostante tutto il suo cinismo, allorchè il conte Rossano ricevette il telegramma di Fabio che diceva: «Contessa improvvisamente aggravata, si teme catastrofe, urge vostra presenza», un livido pallore si stese sul suo volto.

Egli partì subito; ma era molto turbato.

A Moncalieri fece attaccare un calesse che avrebbe guidato egli stesso.

Livio non desiderava che alcuno turbasse le sue riflessioni di quell'ora.

Egli voleva formarsi tutto un piano prima di giungere alla villa. Tutti, compreso Fabio, dovevano credere al suo dolore, al suo strazio per la fine immatura di Bianca.

Ad un tratto sussultò. La morte di Bianca lo lasciava padrone interamente del patrimonio di lei? Non poteva Bianca aver fatto testamento a favore di altri, lasciando a lui la sola legittima? Perchè non aveva pensato prima a tutto ciò? Era stato pazzo, imprudente!

- Purchè arrivi in tempo a rimediarvi! - mormorava fra i denti. - Sono stato così pazzo da cercare di toglierla dal mondo prima di aver sistemati i miei interessi. -

Il conte sferzava adesso il cavallo per giungere più presto. Bisognava ad ogni costo che Bianca testasse a suo favore.

Eccitato da quel pensiero, il conte proseguiva a frustare.

Era giunto ad un sentiero, le cui pietre ruzzolavano sotto i passi del cavallo.

Livio scese e condusse a mano l'animale.

Egli fremeva d'impazienza.

Finalmente giunse al cancello della villa: silenzio perfetto. Livio tirò con violenza il campanello.

Il giardiniere corse ad aprire. Il conte gli domandò:

- Ebbene, Lorenzo? La contessa è dunque peggiorata?

- Oh! signore.... non avrò mai il coraggio di dirglielo.... no.... no!... - esclamò il giardiniere.

E ruppe in pianto.

Livio divenne livido.

- Parla.... lo voglio.... - balbettò con accento soffocato - la contessa.... mia moglie? -

Lorenzo rispose con voce rotta:

- E spirata.... questa mattina. -

Un urlo, che parve avere squarciato il cuore del conte, sfuggì dalle sue labbra.

- Morta!... Morta!... No! Dimmi che non è vero!...

- Ahimè, signore.... se potessi farla rivivere, darei con piacere tutto il mio sangue! -

Livio sembrò assalito da una specie di furore e corse verso la villa.

Nel vestibolo vide alcuni domestici che l'osservavano, pallidi e inquieti. E ad un tratto gli si fece incontro Fabio, pallidissimo, ma calmo.

- Perdonatemi, signor conte, - disse con voce commossa - se non sono venuto alla stazione; ma urgeva la mia presenza qui. Non so se ho fatto male, ma ho dato ordine che non fosse ancora avvertito alcuno della morte della contessa.

- Hai fatto benissimo; - rispose a voce alta il conte, perchè tutti lo intendessero - fino a domani, proibisco a chiunque di parlarne..... Oh! mia Bianca, mia povera, amata Bianca! -

Ruppe in singhiozzi e si afferrò al braccio di Fabio per sostenersi.

- Coraggio, signor conte! - disse questi dolcemente. - Nessuno poteva prevedere una così rapida fine. Nessuno qui ha trascurato il suo dovere. Abbiamo avuto per la povera signora tutte le premure; si sperava nel miracoloso elixir da voi mandato e che non trascuravo di farle prendere ogni sera; eppure non è bastato! -

Fabio s'interruppe, perchè piangeva.

- Martino, accompagnami nella mia camera; - disse il conte - mi narrerai l'accaduto. Ora non avrei il coraggio di vederla. Chi veglia accanto a lei?

- Milia, che non l'ha abbandonata mai.

- Come siete stati buoni tutti! Io solo l'ho trascurata, almeno in apparenza, mentre non pensavo che a lei; andiamo, Martino! -

Salì al proprio appartamento, e appena in camera gettò il cappello sul letto e si lasciò cadere su di una poltrona.

- Signore, - disse Fabio - la povera contessa ha scritto una lettera per voi e mi ha pregato, qualche ora prima di morire, di consegnarvela. -

Il conte apparve oltremodo agitato.

- Una lettera per me? Dammela subito!

- Vado a prenderla, conte! -

Fabio uscì e tornò poco dopo con una lettera fra le mani.

- Mentre leggete, - disse - io andrò a dare alcuni ordini necessari. -

Fabio uscì di nuovo.

Livio volse e rivolse la busta fra le mani, poi la strappò convulsamente da un lato, ne tolse il foglio che Bianca aveva scritto, e lesse:

 

«Livio,

«L'accostarsi della morte dà nuove facoltà all'intelletto, tanto che cogli occhi della mente si penetra nei cuori, si legge in essi ciò che hanno tenuto sempre nascosto.

«Ed io leggo in quest'istante nel tuo cuore, ti vedo esultare nel trovarti alfine libero di colei, la cui perdita effettua i tuoi sogni di piacere e di ricchezza. Sei sceso alla bassezza, all'infamia, al delitto, per ottenere il tuo intento.

«Ebbene, il mio denaro non l'avrai! L'assassino non pensa sempre a tutto. La carta che tu mi facesti firmare e ti dava l'amministrazione di tutti i miei beni, la dimenticasti nel partire ed io l'ho distrutta: la mia ricchezza è in salvo e passerà nelle mani di coloro che tu credevi di distruggere, e che invece sopravviveranno a te.

«Una dichiarazione da me firmata ed unita alla boccetta che contiene ancora una parte dell'elixir miracoloso che tu m'inviasti, rivelerà la causa della mia morte, la spaventosa agonia cui mi condannasti e che nascosi gelosamente all'istrumento incosciente dei tuoi delitti, il quale senza saperlo mi ha versato il veleno, credendo con esso di ridarmi la vita.

«La mia dichiarazione, unita alla boccetta, l'ho chiusa io stessa nella cassaforte della mia camera; ho appeso la chiave, attaccata ad un cordoncino, al mio collo, ed ho fatto giurare a Milia che, anche dopo morta, quella chiave non mi verrà tolta se non da colui che ho già designato perchè venga a staccarla da me prima che io sia deposta nella bara.

«Ho fatto altresì giurare a Fabio che, se io venissi a morte, egli solo ne veglierà il cadavere.

«Ed ora che ho tutto disposto, ora che ho fatto giustizia del mio carnefice, verserò il triplo della dose che tu mi facevi mescere del tuo miracoloso elixir per finirla al più presto e perchè al più presto tu sia punito.

 

«Bianca.»

 

Dire ciò che provasse il conte a quella lettura, sarebbe impossibile.

Vinto.... era vinto, quando si credeva prossimo alla vittoria!

Una rabbia fredda s'impadronì di lui. Egli sonò con violenza il campanello.

Fabio accorse.

- Tu hai mentito con me, - disse con voce sorda. - Da questa lettera apprendo che i miei nemici hanno potuto parlare alla contessa. -

Fabio lo guardava, addolorato.

- Io non vi comprendo, conte, - rispose. - Vi giuro che nessuno ha mai avvicinato la contessa all'infuori del medico che veniva qualche volta a visitarla e del parroco, perchè voi stesso avevate dato ordine di non rimandarli.- -

Il conte andava calmandosi.

- Io non capisco più nulla, - mormorò. - Bianca mi fa delle accuse, che io non merito. Essa non ha cessato di odiarmi fino alla tomba.

- Odiarvi? Io credo che v'inganniate, conte. La contessa già da qualche tempo parlava con grande affetto di voi, mi diceva che se avesse seguito i vostri consigli si sarebbe trovata più tranquilla e felice, che non vi aveva apprezzato abbastanza. Ella stessa volle che vi telegrafassi perchè si sentiva morire, e aggiunse che in quel supremo istante il vostro sublime affetto le appariva in tutto il suo splendore, ed apprezzando la mia devozione per voi e per lei, mi fece giurare che veglierei il suo cadavere. -

Il conte fremeva, mentre Fabio parlava. Egli non poteva, nè voleva mostrare al giovane la lettera della contessa. Fabio non doveva sapere che si era servito della sua mano per versarle il veleno.

Ah! pazzo che era stato a non prender prima tutte le sue disposizioni!

Un fremito di disperazione lo colse: lo spettro della miseria, del disonore, si drizzò davanti a lui.

Ma siccome era energico, non tardò a riaversi da quella debolezza e formò subito nella sua mente un'ardita risoluzione.

- Voglio crederti, - disse a Fabio - benchè questa lettera mi dimostri il contrario. Ma la mia povera Bianca deve averla scritta in un momento di esaltazione mentale. Ah! non mi perdonerò mai di non essere stato vicino a lei negli ultimi momenti! Dimmi, ha molto sofferto?

- Moltissimo! - rispose Fabio. - Se voi foste stato qui, non avreste potuto resistere a quell'orribile agonia. E la contessa non voleva che si chiamasse il medico, nè altri; diceva che l'unica medicina che l'avrebbe guarita, voi stesso gliel'avevate mandata. -

Livio impallidì, si morse le labbra, e passandosi una mano sulla fronte:

- Chiamami Milia! - disse.

Fabio uscì subito per obbedirlo. Un momento dopo la vedova compariva dinanzi al conte.

Ella aveva gli occhi gonfi di lacrime, ed alla vista del suo padrone scoppiò in pianto, balbettando:

- Oh! signor conte, perchè non siete venuto prima? Mio Dio.... mio Dio, essa è morta chiamandovi, disperata! -

Il conte la guardò con aria minacciosa.

- Non è vero! Essa mi ha maledetto! E tu le tenesti mano per favorire i miei nemici, tu le conducesti qui il suo amante! -

Milia indietreggiò spaurita.

- Voi bestemmiate, conte! Da quando sono qui, la contessa è vissuta come una santa. Martino può attestarlo. Io posso giurarvi che era una donna veramente onesta, e se volete sapere la verità, prima di morire la contessa ha passato al suo collo un cordoncino con attaccata una chiave e mi ha detto:

«- Giurami, Milia, che non mi lascerai togliere questa chiave che da una bambina, la quale si presenterà qui prima che io venga deposta nella bara e ti dirà: «Sono la figlia del conte Rossano e di Giulietta Lovera; la mia povera mamma fu assassinata innocente. A me sola spetta di consegnare questa chiave nelle mani di mio padre.» -

Il conte sentì intorbidarsi gli occhi, fece un passo indietro, poi disse a Milia:

- La contessa vaneggiava.

- Essa era pienamente in sè, padrone, ed io attendo domattina quella bambina: se non verrà, allora voi avrete ragione, conte. Sono una donna onesta, e Dio mi punirebbe se non mantenessi il giuramento fatto ad una morente. Non venite, conte, a vedere la povera signora?

- Verrò più tardi, lasciami! -

Voleva essere solo per calmare il tumulto dei suoi pensieri, ritrovare la calma necessaria per non tradirsi in faccia ad alcuno.

Ah! come era stato giuocato bene da quella morta, che egli aveva creduto di tenere nelle mani!

Quale colpo supremo gli aveva preparato, facendogli consegnare quella chiave dalla figlia di Giulietta, dalla sua propria figlia!

Livio non aveva viscere di padre. Il ricordo di quella bambina cui fece assassinare la madre, non lo commoveva, ma l'irritava.

Come poteva la contessa averle parlato? Se la fanciulla era entrata nella villa, per certo vi era venuto anche Aldo Pomigliano!

Egli cercava la verità senza trovarla, e continuava a digrignare i denti, a bestemmiare, a maledire.

Poi tornò a calmarsi, e tutte le sue facoltà si concentrarono per avere le ricchezze di Bianca.

Non un rimorso nell'anima del conte: solo il pensiero di salvarsi e ricuperare la fortuna che gli sfuggiva.

Atteggiando il volto al più profondo dolore, egli si diresse all'appartamento di Bianca. Nel corridoio incontrò Fabio.

- Dammi il braccio; - mormorò Livio - temo di non avere la forza di sopportare la vista di quella salma adorata.

- Coraggio! - disse Fabio.

Entrarono nella camera della contessa. Milia, che era presso al letto funebre, si chinò come se volesse aggiustare i guanciali della morta, quindi si trasse da parte.

La camera era avvolta nell'oscurità: chiuse le persiane e le imposte; una sola lampada accesa gettava un incerto chiarore sul letto, dove il conte vide distesa sua moglie, vestita di bianco, con le trecce nere pendenti sull'abito, gli occhi chiusi.

Egli osò appena guardarla: ebbe un brivido di paura, e staccatosi da Fabio cadde sulle ginocchia fingendo di singhiozzare disperatamente e gridando:

- Mia povera Bianca, mia povera Bianca! -

Fabio e Milia, ritti, immobili, muti, sembrava non osassero turbare quel dolore.

Ad un tratto il conte si rialzò balbettando:

- No, non posso resistere, non posso resistere: tornerò più tardi; se rimanessi qui adesso, impazzirei! -

E fuggì da quella camera, si recò nel parco per essere solo a riflettere.

Appena fu scomparso, Bianca aprì gli occhi, si sollevò alquanto, sorrise.

- Credete al suo dolore? - chiese.

- No, - risposero insieme Fabio e Milia.

- Il conte non vi ha rivelato il contenuto della mia lettera?

- No, - soggiunse Fabio - se ne è guardato bene; però non ha potuto nascondere i suoi fremiti di furore; ho visto nei suo occhi passare dei lampi sanguigni.... e sono ormai persuaso che stanotte si tradirà.

- Recatevi a sorvegliarlo, - disse dolcemente la contessa. - Non bisogna perderlo d'occhio un istante. Inoltre vi raccomando di farlo mangiare e soprattutto bere.

- Fidatevi di me. -

Il conte, in balìa dei propri pensieri, si mise a percorrere rabbiosamente i viali del parco, gesticolando; poi si gettò disteso sull'erba, e coi pugni chiusi sotto il mento, gli occhi torbidi, si diede ad organizzare nella sua testa tutto un piano tenebroso che quella notte stessa doveva avere uno svolgimento.

- Fabio solo può aiutarmi, e mi aiuterà! - mormorò ad un tratto quasi ad alta voce.

Riconfortato da questa riflessione si rialzò ed ebbe un brusco sussulto, trovandosi all'improvviso dinanzi il giovane, cui in quel momento pensava.

- Tu qui? - disse Livio vivamente.

Fabio appariva triste, commosso.

- Andavo in cerca di voi, - rispose. - Vi avevo veduto così agitato! Ma ora ringrazio Dio di ritrovarvi più tranquillo! -

Il conte gli prese una mano, gliela strinse affettuosamente.

- La tua presenza mi rende il coraggio. Oh! ti ringrazio di essere venuto! Nessuno è più fedele di te e so che posso contare assolutamente sul tuo affetto.

- Sì, conte; io non dimentico la lettera di vostra madre, la contessa Rossano, la mia benefattrice; ho sempre in mente le sue parole: «Su mio figlio riverserai tutta la riconoscenza che nutri per me, obbedirai ad ogni sua volontà, farai solo ciò ch'egli ti ordinerà di fare» ed io sono tutto vostro. -

Un raggio di trionfo passò negli occhi di Livio.

- Grazie, Fabio!... - esclamò. - Sei degno del mio amore!... -

Ritornarono a casa a braccetto. Nel salotto particolare del conte era imbandita la tavola, e Livio volle che Fabio vi sedesse con lui.

Il conte cominciò a mangiare macchinalmente, con aria triste, poi il suo appetito essendosi risvegliato, fece onore allo vivande e bevette più di quello che volesse, eccitandosi a poco a poco, incitando Fabio a fare lo stesso.

- Sì, è una sventura per me la morte di Bianca; - disse empiendo un bicchiere di vecchio barolo - ma lei, poveretta, ha finito di soffrire. Col suo cervello debole, la sua salute scossa.... -

Vuotò il bicchiere di un fiato e soggiunse:

- Non poteva durare a lungo: aveva un temperamento troppo eccitabile. -

Bevve di nuovo, e guardando fissamente Fabio:

- Dunque, Bianca ti ha fatto giurare di passare la notte presso il suo cadavere?

- Sì, conte, - rispose gravemente il giovane - ed io adempirò al mio giuramento. - Farai bene, io veglierò la cara salma con te. -

Fabio lo guardò a sua volta negli occhi.

- Voi, conte? Ne avrete la forza?

- Tu sarai con me e mi darai coraggio. E poi avrò forse da chiederti un favore.

- Qualunque sia, - rispose Fabio con dolcezza - sarete obbedito. Sono il vostro schiavo.

- No, sei il mio amico, il mio solo e migliore amico. -

Gli stese la mano, senza accorgersi che quella di Fabio ebbe un fremito nel toccarla.

Poi il giovane disse:

- Allora, se permettete, andrò a dare gli ordini opportuni perchè Milia vada a riposare ed i domestici si ritirino di buon'ora.

- Va' pure, e fa' intendere che non voglio a nessun costo essere disturbato! -

Fabio uscì, ed il conte, versatosi un altro bicchiere di barolo, disse sogghignando:

- Oh! mamma cara, come fosti previdente nel procurarmi un tal fratello!... La tua colpa d'amore ha dato a me due volte la vita! -

 

 

 




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