Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Carolina Invernizio
I misteri delle soffitte

IntraText CT - Lettura del testo

Precedente - Successivo

Clicca qui per attivare i link alle concordanze

XII.

 

La sera del verdetto il conte, che aveva pranzato con sua moglie, quando Bianca fu sul punto di alzarsi da tavola le disse con dolcezza:

- Ho bisogno di parlarvi.

- Allora andiamo nel salotto da fumo, - disse Bianca.

Il conte la seguì, e appena soli le disse:

- Questa vita non può durare.

- Vorreste cambiarla? - chiese essa lentamente.

- Sì, perchè questo genere di vita mi pesa. Ho tutti i doveri del marito, senza averne i diritti. Mi trovo di fronte ad una volontà inaudita. Ebbene, sono venuto ad una decisione, che voi stessa approverete.

- Sentiamo, - disse Bianca.

Livio si passò una mano sulla fronte, come per scacciarne un pensiero importuno, poi disse:

- Ecco ciò che avrei deciso. Io figurerò di vivere sotto il vostro tetto, continuerò a tenere qui il mio appartamento, ma non faremo più vita comune, cioè non pranzerò più in casa, non vi accompagnerò più in società, al teatro, non avrò più le noie dei bagni, della villeggiatura: sarò completamente libero delle mie azioni, come lo sarete voi.

- Accetto, - disse Bianca - perchè non vi nascondo che la vostra presenza mi è insoffribile. Avete altro da dirmi? - soggiunse.

- Abbiamo da regolare la questione degli interessi. -

Bianca ebbe un sorriso ironico.

- È vero; - rispose - l'avevo dimenticato. Fate benissimo a ricordarla. Quanto volete? -

- O cedermi subito metà della vostra dote, o passarmi quindicimila lire di reddito mensile. Per voi, le altre cinquemila basteranno.

- Certamente! - soggiunse Bianca col suo accento ironico. - Non vi credevo così generoso.... col mio denaro. Ma sia pure. Io non intaccherò il capitale, perchè se vi dessi metà della mia dote, alla fine del mese sareste a domandarmi l'altra. Vi passerò il reddito che chiedete, e vi consegnerò stasera stessa la prima mesata.

- Avrei bisogno di centomila lire, poi il patto è conchiuso. Vi basterà firmare questa carta. -

Ella vinse l'ira che sentiva e disse freddamente:

- Vediamo. -

La lesse da cima a fondo, temendo un tranello. Quella carta era l'autorizzazione di vendere una cartella a lei intestata di cinquemila lire di rendita.

- La firmerò, - disse - ma vi avverto che sarà l'ultima concessione. D'ora innanzi non avrete che il reddito fissato. Ma prima ch'io firmi, stabilite in iscritto i patti da voi fatti, e firmateli. E quella carta rimarrà presso di me.

- Devo scriverla adesso?

- Sì.

- E se rifiutassi?

- Io non firmerei questa. -

Livio capì che Bianca non avrebbe ceduto. Fremeva dalla rabbia, ma si contenne.

- Attendete un momento, ve la porterò subito.

Livio uscì dal salotto, e poco dopo rientrò con una carta in mano.

La contessa percorse rapidamente cogli occhi il foglio già firmato, poi disse:

- Va bene. -

Indi prese la penna e scrisse il suo nome sull'altra carta.

- Grazie! - disse il conte.

Bianca uscì dal salotto.

Pochi momenti dopo, il conte, salito in carrozza, si fece condurre alla casa dove Ilda abitava.

Livio aveva già fatto il suo piano e vi pensava salendo le scale che conducevano al modesto quartiere della fanciulla. Fu sorpreso di trovare l'uscio aperto, e inoltratosi alquanto, chiese:

- È permesso? -

Nessuno gli rispose, ma un rumore sommesso di voci e gemiti disperati lo fecero accorrere senza esitare nell'altra stanza.

Il quadro che si offrì ai suoi occhi lo turbò profondamente.

Distesa sopra il letto, immobile, irrigidita, era la madre di Ilda. Gettata quasi attraverso il corpo di lei, gemendo, chiamandola con accento disperato, era la giovinetta.

Due donne tentavano di strapparla da quel letto: altre due donne parlavano in un angolo, sottovoce.

Il conte si avvicinò a Ilda, e con accento commosso:

- Che vi accade, signorina, per disperarvi così? -

Il suono di quella voce fece scattare in piedi la giovinetta, che guardò il conte come smarrita, poi proruppe in pianto.

- La mamma è morta! - balbettò. - La mamma è morta! -

E di nuovo si gettò sul cadavere, dicendo con un accento straziante:

- Perdonami, mamma adorata, apri gli occhi un solo momento, uno solo. -

Il conte trasse le donne nella stanza vicina e disse con un accento che sembrava profondamente commosso:

- Lasciamola sfogare, non la turbiamo; quando si sarà calmata, le parlerò, procurerò di confortarla. Del resto, quella morte era da aspettarsi: la povera donna si trovava così distrutta....

- Davvero! Essa è morta di dolore, - disse una donna. - Povera Ilda! La madre morta, il fidanzato in prigione.... Merita proprio pietà!

- Ed ogni riguardo, - soggiunse, il conte. - Però vi consiglio di non turbarla, di non lasciarvi vedere per qualche ora. Io rimarrò qui per ogni evento, ed al bisogno vi chiamerò. -

Così, coi modi più gentili, Livio le mise fuori dell'uscio, che subito richiuse per tornare solo nella stanza della morta.

Egli sedette in disparte e lasciò che la fanciulla continuasse a piangere. Quando, esausta, vacillante, essa cadde su di una seggiola, il conte le si avvicinò.

- Signorina, coraggio: la disgrazia che vi colpisce è immensa, è la maggiore delle disgrazie. Perdere la mamma adorata, che è tanta parte di noi, è un dolore terribile. Io pure l'ho provato: quel giorno fu il più doloroso della mia esistenza. -

Lacrime vere, cocenti, colarono dagli occhi di Livio. La fanciulla, che aveva alzato il capo a guardarlo, trasalì. Si era dunque ingannata sul conto di quel gentiluomo? Fabio aveva ragione, quando le diceva che era un'anima eletta?

Livio proseguì:

- Il solo conforto lo trovai nel ricordo del suo amore, delle sue virtù, al pensiero che essa dal Cielo avrebbe sempre vegliato su me. Pensate lo stesso, Ilda, perchè vostra madre era una santa, e dalla sua memoria attingerete quella forza che ora vi manca.

- Il mio dolore è acuito dall'idea che anch'io contribuii alla sua morte, perchè, se non avessi conosciuto Fabio, se non l'avessi tanto amato....

- Anche vostra madre ed io lo amavamo, - interruppe grave il conte - e se io sopportai con maggior forza il dolore da lui datomi rendendosi assassino, vostra madre, già debole, malata di cuore, si è accasciata ed ha sofferto atrocemente, non tanto per sè, quanto per voi. Poteva una madre rimanere insensibile al vostro dolore? Forse il suo affanno proveniva anche dalla vostra nobile esaltazione nel sostenerlo innocente. -

Ilda parve richiamata bruscamente alla realtà.

- Ma io lo credo ancora, e lo crederò sempre, e sempre cercherò colui che l'ha trascinato alla rovina.

- Povera fanciulla, io non voglio distruggere la vostra illusione; ma se vi fosse un altro colpevole, Fabio non si sarebbe lasciato condannare, ben sapendo che la sua condanna gli farebbe perdere il vostro amore.

- Ma io ho giurato di attenderlo, di non amare altri che lui, e manterrò il mio giuramento! - proruppe la giovane.

Il conte Livio si morse le labbra, tuttavia rispose:

- Ciò vi fa onore, perchè infine egli è stato colpevole appunto per possedervi.

- Credete proprio che sia questo il motivo del suo delitto?

- Lo credo. Se fosse altrimenti, io avrei speso il mio intiero patrimonio per far risplendere la sua innocenza. -

La fanciulla rimase un momento perplessa, ma poi, sollevando il capo:

- No, no.... - disse con indignazione - Fabio non sarebbe stato capace di un delitto così abominevole, se qualcuno non ve lo avesse spinto.

- Sì, la sua vittima. -

Ilda avrebbe replicato, ma i suoi sguardi caddero sul cadavere della madre.

Allora gettò un grido e scattò in piedi.

- Sono una cattiva creatura! - esclamò. - Io non devo pensare in questo momento che a lei, a lei sola! -

E tornò ad abbracciarla.

Il conte passò la notte in quella camera. Egli stesso si occupò del funerale e di tutte quelle formalità che accompagnano sempre la morte.

E quando la povera vecchia venne portata al camposanto, Ilda la seguì in carrozza chiusa, sola col conte.

Le vicine di casa della giovinetta incominciarono a malignare sul suo conto.

Quel bel signore che non la lasciava più, aveva per lei mille premure, si incaricava di tutto, aveva per certo preso il posto di Fabio.

Ilda visse per alcuni giorni come in un triste sogno.

Ma quello stato non poteva durare a lungo.

Una mattina il conte, recandosi come il solito da lei, vide che essa aveva ricuperato il predominio di sè stessa e nei suoi occhi brillava l'energia di prima.

- Io non ho parole per ringraziarvi di tutto ciò che avete fatto per me e per la povera mamma, - diss'ella al conte con accento mesto e dignitoso - e spero di potere un giorno, col mio lavoro, rendervi il denaro sborsato in questa occasione.

- Non ne parlate, Ilda, o mi farete arrossire! - interruppe vivamente il conte. - Voi non avete alcun obbligo verso me: è mio dovere assistervi, confortarvi, ora che siete sola al mondo. -

Il bel volto di Ilda assunse un'espressione di scoramento.

- Voi siete buono, signore, e vi ringrazio con tutta l'anima; ma adesso che mi sento meglio, penso che devo bastare da sola a me stessa: la vostra assiduità presso una povera fanciulla come me sarebbe male interpretata....

- Che importa il mondo, quando abbiamo la coscienza tranquilla? - soggiunse il conte nobilmente, - Se vi fosse qui Fabio, egli stesso vi direbbe di accettare il mio appoggio: per mezzo del suo avvocato difensore mi rivolse la preghiera di non abbandonarvi, mi scongiurò di vegliare su voi.... e se sapesse che rifiutate di ricevermi come un amico sincero, sono certo che ne soffrirebbe. -

Ilda si sentì commossa.

- No, non rifiuto di ricevervi; ma voi, che siete un gentiluomo di senno e di cuore, dovete riflettere che una fanciulla sola, alla mia età, è sottoposta a calunnie, anche conducendo la vita più onesta, specialmente vedendo frequentare assiduamente la mia casa da un signore come voi....

- Potrei essere il vostro tutore!

- Siete troppo giovane.

- Non sono così giovane come vi sembro, e vi ripeto che Fabio stesso....

- Fabio - interruppe gravemente Ilda - crede che la mamma viva ancora, e certo, se lei ci fosse, vorrei che veniste tutti i giorni per parlare di quello sventurato.

- Possiamo farlo egualmente, fanciulla mia, - soggiunse con accento paterno Livio - se voi farete tacere i vostri scrupoli e mi permetterete di venire qui se non tutti i giorni, almeno un paio di volte alla settimana.

- Ebbene, accetto, - rispose Ilda - perchè mi parrebbe di essere un'ingrata se vi chiudessi addirittura l'uscio in faccia, dopo quanto faceste per me nel momento più doloroso della mia vita. -

Le lacrime cadevano in gran copia dai suoi occhi.

- Non vi alterate così, ve ne supplico! - esclamò Livio con un tono che sembrava profondamente commosso. - Finirete con l'ammalarvi!

- Avete ragione, - rispose la fanciulla asciugandosi gli occhi, - Io ho bisogno di essere sana per lavorare.

- Contate di tornare al solito magazzino?

- Non so ancora, rifletterò. Mi sembra che colà, dove troverò vuoto il posto occupato dal mio Fabio, mi aspetti una sofferenza insopportabile.

- Io vi consiglierei per vostro bene a rinunziare a quel posto. Perchè non mettete un piccolo negozio di mode per conto vostro, del quale sareste padrona?

- Perchè mi manca il denaro, - rispose Ilda brevemente.

- Ma io metto la mia borsa a vostra disposizione.

- Ma io rifiuto, perchè ho già un debito assai grosso con voi, che forse non giungerò mai a pagare.

- V'ingannate, perchè se il negozio andasse bene, potreste triplicare il capitale che vi offro in prestito. E intanto mi paghereste gl'interessi. -

Ilda scosse il capo.

- No, non accetto, - disse - anche perchè non desidero di mettermi in vista dopo l'accaduto e per un riguardo a Fabio, al quale sono legata da un giuramento, che manterrò. Lasciatemi riflettere qualche giorno, e poi vi dirò quello che farò.

- Come volete.

- Oggi è mercoledì; tornate sabato sera, non prima.

- Vi obbedirò. -

Il conte era internamente irritato, ma salutò con garbo la ragazza ed uscì.

Fremeva d'ira. Egli si era giurato di far sua quella giovane che, bella com'era, aveva scatenato in lui una passione sensuale. Alla moglie, non pensava più.

Aveva preso un alloggio da scapolo elegantissimo, e colà viveva a modo suo.

Egli fu nervoso, impaziente in quei tre giorni che non potè recarsi da Ilda. Gli sembrava di non averla mai tanto desiderata.

Il sabato sera si recò dalla giovane e salite in fretta le scale sonò timidamente il campanello.

Nessuno rispose. Sonò più forte: sempre silenzio. Un turbamento invincibile lo invase. Che era accaduto?

Il conte scese lesto lesto le scale, entrò come una bomba dal portinaio, e domandò:

- La signorina Ilda?

- La signorina Ilda lasciò il suo alloggio ieri mattina, - rispose il portinaio - senza darci il suo nuovo indirizzo. Soltanto mi disse: «Se venisse un signore a chiedervi mie notizie, gli direte che le troverà in una lettera ferma in posta.»

- Va bene, grazie! - disse il conte dando la mancia al portinaio e andandosene.

Si recò alla posta a ritirare la lettera a lui diretta.

L'aperse e lesse:

 

«Signor conte, mi perdoni se ricambio male le sue premure, ma una volontà più forte della mia ragione mi spinge ad allontanarmi dalla casa dove conobbi al tempo stesso la felicità e la sventura, nè desidero rivelare a lei o ad altri dove mi ritiro, perchè mi crederebbero pazza. Intanto le rimborso le 150 lire da lei spese per i funerali della mamma. La prego di perdonarmi se non accetto il suo appoggio, ma una fanciulla sola non deve avere per amico un signore ricco e giovane come lei. Non dimentico però i suoi benefizi e pregherò Dio che la ricambi con tanta felicità.

«Mi creda sua devotissima e obbligatissima serva

 

«Ilda.»

 

Il conte, nella sua rabbia, fece una pallottola della lettera, la stracciò coi denti.

Quella fanciulla si era presa giuoco di lui.

Dove si era recata?

- Stupida! - disse a denti stretti. - Credi forse che rinunzi a te? No, ti troverò, perchè ti amo e ti voglio! -

E, a passi concitati, si diresse al circolo.


 

 

 




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

IntraText® (V89) Copyright 1996-2007 EuloTech SRL