Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Carolina Invernizio I misteri delle soffitte IntraText CT - Lettura del testo |
PARTE TERZA
Il passato.
I.
Quarant'anni prima degli avvenimenti narrati, in una brutta sera d'autunno, nella camera da letto dell'avvocato Zeno Mestre, una delle figure più spiccate della magistratura torinese, si svolgeva una scena pietosa.
L'avvocato, ancora in giovane età, agonizzava.
Affranta dal dolore, lo assisteva la compagna adorata della sua vita, la signora Valeria, una gentildonna tutta cuore, ma di una debolezza di carattere eccessiva e di una timidità estrema, sebbene toccasse la quarantina.
Quantunque il medico l'avesse avvertita che la malattia non lasciava speranza, ella sperava ancora.
Che avrebbe ella fatto senza il marito, che era il solo appoggio alla sua debolezza, il solo che la incoraggiasse? Egli soprattutto era l'unico che avesse potere su Stefana, una giovinetta quindicenne, loro figlia, che, sotto un'apparenza d'angelo, nascondeva il più feroce egoismo e dominava la madre, che non aveva la forza d'opporsi alle sue volontà.
Stefana ebbe le convulsioni quando seppe del pericolo del padre, e, come sua madre, vegliò tre notti, senza allontanarsi mai; sembrava che uno strappo spaventoso si fosse prodotto nel suo cuore al pensiero di quella perdita, ma in realtà i suoi occhi erano rimasti aridi, nè aveva avuto un battito di più.
Pensava che la morte del padre la privava di un despota contro il quale mai potè ribellarsi.
Egli solo la teneva in soggezione.
Sua madre, intanto, con la testa appoggiata al guanciale del morente, piangeva da far pietà. Dall'altra parte del letto stavano una suora ed una cameriera.
Nella stanza non si udiva che il bisbiglìo della suora, il penoso respiro del morente, e di quando in quando un singhiozzo della signora Mestre.
- Chi piange? - chiese ad un tratto il moribondo, volgendo penosamente la testa sul guanciale. - Valeria.... -
Ella si asciugò in fretta gli occhi, si chinò a baciarlo.
- Zeno.... Zeno mio!...
- Povera cara, non voglio che tu pianga così. Sei qui sola?
- No, Zeno; vi sono Stefana, suor Orsola e Concetta.
- Di' loro che escano dalla camera, voglio rimanere solo con te. -
Fu obbedito.
Allora il moribondo, presa una mano della moglie:
- Valeria, ascoltami: - disse - io muoio.... -
Valeria balbettò:
- No, no, non voglio che tu muoia, Zeno!
- Bisogna rassegnarsi. Non disperarti così, te ne scongiuro, se vuoi vedermi chiudere gli occhi tranquillo! Valeria, se io rimpiango in quest'istante la vita, è per te, povera cara, perchè ti lascio con una figlia, dalla quale non sai farti obbedire e rispettare, e che ti procurerà molti dolori. -
La madre ebbe uno slancio generoso.
- Stefana ha buon cuore, - esclamò - l'ho compreso in questi giorni, in cui ha diviso i miei tormenti!
- Non illuderti, Valeria: io ho letto nell'animo suo: nulla la commuove; mentre versa lacrime, rimane insensibile. Ho cercato di modificare il suo carattere, ma purtroppo non sono riuscito. Ricordalo, Valeria: frena quella fanciulla con mano di ferro, o tu verserai lacrime di sangue per cagion sua!
- Zeno, Zeno, che farò senza te?
- Devi vincere ad ogni costo la tua debolezza, che sarebbe la perdita di tua figlia e la tua: promettilo, Valeria, prometti di non piegarti più ai suoi capricci, di sorvegliare ogni suo atto, di soffocare ogni sua ribellione, e magari rinchiudila. Io ti lascio ricca, lo sai, e questa ricchezza può essere la rovina di tua figlia; per cui tu devi nascondergliela. Io ho scritto il testamento in modo che ella creda di avere appena una rendita bastante per vivere, come l'ha creduto finora. Una parte del nostro patrimonio l'ho affidata al notaro Vannucci, il mio unico amico, che sarà tutore di Stefana e ti aiuterà nel compito che ti lascio. Tu gli obbedirai come a me: egli ha ricevuto tutte le mie istruzioni, saprà guidarti, sostenerti.
- Cessa, per pietà, cessa, o il mio povero cuore si spezza! -
Egli posò la mano sul bruno capo che si curvava sul petto di lui.
- Povero e caro angelo, noi ci rivedremo un giorno in Cielo. Intanto prometti di esaudire i miei voleri.
- Sì, Zeno, sì, te lo giuro!
- Grazie; ora sono contento. Puoi chiamare nostra figlia, intanto che manderai per il mio amico. -
La sua respirazione si era fatta più ansante.
Valeria si affrettò ad obbedirlo. Stefana apparve, col volto serafico, atteggiato al più profondo dolore.
- Eccomi, babbo; - disse - che vuoi?
- Voglio che in questo supremo momento tu mi giuri di rispettare tua madre, di obbedirla in tutto, di considerarla quale è veramente, la più santa delle madri, la più degna di essere amata. -
Stefana gettò le braccia al collo di Valeria con un affetto che parve sincero.
- Babbo, te lo giuro: se tu dovessi mancarmi, io non vivrò che per mia madre. -
Valeria singhiozzava stringendo al petto la figlia.
Il moribondo alzò la mano con un gesto solenne.
- Dio ti ascolta, Stefana! Guai se tu mancassi al giuramento fatto al letto di morte di tuo padre! Saresti disgraziata per tutta la vita. Ma non voglio pensarci, e benedico Dio che mi ha colpito, se la mia morte può servire a cambiare il tuo cuore, i tuoi sentimenti. Come ho detto a tua madre, non lascio ricchezze. -
Stefana sussultò, ma il suo volto non cambiò l'addolorata espressione.
Il moribondo proseguì:
- Ti lascio però un nome stimato, degli esempi di lavoro, di abnegazione, che non devi dimenticare. Stefana, ricordati di me: se qualche cattivo pensiero ti turbasse, confidati mentalmente a me, che cercherò di consolarti. Guardati dalle cattive azioni; al momento di commetterle, pensa che l'anima di tuo padre ti è vicina, ti guarda.... e tu non vorrai farlo soffrire nell'eternità. Ed ora dammi un bacio, Stefana, e tu pure, Valeria, e che Dio vi protegga, vi benedica entrambe! -
La scena che ne seguì distrasse le ultime forze del moribondo.
Un'ora dopo era morto, assistito anche dal suo vecchio amico, il notaro Vannucci, giunto in tempo per raccogliere le sue ultime raccomandazioni, il suo ultimo sospiro.
Per alcune settimane si credette che la signora Mestre seguisse il marito; ma a poco a poco quella disperazione violenta, si cambiò in una tristezza raccolta, e Valeria comprese che il suo dovere era di vivere per la propria creatura.
In questo frattempo Stefana, con la sua ipocrisia, era riuscita ad affascinare il tutore.
Il notaro Vannucci aveva finito col pensare che il suo defunto amico si era ingannato sul conto della figlia. Quella ragazza sedicenne aveva una grande intelligenza ed una penetrazione che lo stupivano. In poche parole, Stefana, senza neppure che il vecchio notaro potesse sospettarlo, seppe in breve come suo padre l'avesse ingannata e come il patrimonio che possedeva fosse cento volte maggiore di quello che aveva creduto.
Questa scoperta superò le sue speranze, ma non ne parlò con alcuno.
L'anno del lutto passò tranquillo, sebbene per Stefana avesse la durata di un secolo.
Il suo tutore era divenuto per lei un amico devoto, uno schiavo sommesso ad ogni suo desiderio. E siccome la signora Mestre era persuasa di adempiere alla volontà del marito affidandola a lui, lasciava che egli venisse a prenderla per condurla seco al passeggio, a pranzo in casa sua, al teatro.
Egli abitava solo con una vecchia fantesca che voleva bene a Stefana perchè la fanciulla l'accarezzava e scherzava con lei.
Una sera in cui il notaro aveva bevuto più del solito, eccitato dall'allegria di Stefana, dal suo calcolato cicaleccio, le rivelò il segreto del suo amico.
La fanciulla aveva già un tale potere su sè stessa, che non dimostrò alcuna sorpresa. Soltanto disse:
- Il babbo ha fatto benissimo ad affidare a voi la più gran parte del suo patrimonio, perchè la mamma non avrebbe saputo amministrarlo. Ma se per caso domani doveste mancare, questo patrimonio passerà ai vostri eredi? -
Il notaro abbracciò la fanciulla ridendo.
- Come sei bambina! - esclamò. - Credi che le cose non siano state fatte in regola? Tua madre nella sua cassaforte tiene la ricevuta del deposito, ed io nel mio testamento lascio a te, col patrimonio di tuo padre, anche il mio, non avendo eredi diretti. -
Stefana gli gettò con impeto le braccia al collo.
- Grazie! Ma Dio voglia che campiate cent'anni! -
Invece, una settimana dopo il vecchio, che aveva cenato in casa Mestre, si sentì preso da brividi, e, coricatosi, non si svegliò più: la fantesca lo trovò morto la mattina dopo. Il medico, chiamato in fretta, disse trattarsi di una sincope fulminante.
Stefana finse di disperarsi per quella morte, e la gente ammirò il suo cuore sensibile.
Nessuno stupì che il notaro avesse lasciato tutta la sua sostanza a Stefana.
Egli non aveva parenti.
Da allora in poi, la signora Mestre divenne uno strumento docile a tutti i voleri della figliuola, pur senza accorgersi che Stefana comandava ed ella obbediva, tanta era la furberia della ragazza.
Alcuni mesi dopo la morte del tutore, la vedova mise un piede di casa principesco, convinta che in tal modo troverebbe uno splendido partito per la figlia.
Sogni ambiziosi, fatti nascere da Stefana, ottenebravano ormai la sua mente. La signora Mestre nulla vedeva di più bello, di più perfetto che sua figlia.
Veramente, Stefana a diciotto anni era maravigliosa: non si poteva guardarla senza rimanerne affascinati. Ma se lo sguardo altrui fosse penetrato nel suo cuore, si sarebbe arretrato inorridito.
Stefana pensava che il piacere fosse l'unico scopo della donna e il fare delle vittime l'unica sua ambizione.
Frattanto non trovava marito, quantunque avesse all'intorno una vera folla di corteggiatori.
Ma la bellezza stessa della fanciulla, la vita dispendiosa che conduceva, i sorrisi d'incoraggiamento con cui accoglieva tutte le dichiarazioni, spaventavano anche coloro che avrebbero voluto chiedere la sua mano. Si diceva che sarebbe stata una deliziosa amante, ma come moglie era troppo pericolosa.
In questo frattempo le venne presentato il conte Sebastiano Rossano. Il gentiluomo non era più sul fiore dell'età ed aveva condotto fino allora una vita austera: centinaia di donne gli erano passate vicino senza destargli ombra d'amore; il lavoro e il dovere erano stati la sola sua occupazione, tanto che, coll'esiguo patrimonio lasciatogli dal padre, riuscì ad arricchirsi, grazie al suo assiduo lavoro.
Egli era stato presentato da un amico a Stefana. Gli bastò vederla per amarla. Ma siccome il suo amore era tanto puro e profondo quanto entusiastico, prima ancora di rivelarlo a lei, la chiese in moglie alla madre.
Stefana fu lusingata da quella domanda: il titolo di contessa le garbava.
- Accetto; - disse alla madre - però desidero far prima i miei patti. -
La sera stessa il conte si presentava alle due signore.
- La mamma - gli disse Stefana con una voce armoniosa che risonò agli orecchi di Sebastiano come una melodia di paradiso - mi ha comunicato la vostra domanda, che mi ha fatto molto piacere. -
Egli tremava come un fanciullo.
- Posso dunque sperare? - chiese con voce alterata.
- Sperate, - rispose Stefana con un incantevole sorriso - se pur vi adatterete a certe condizioni che io credo indispensabili. -
Il conte non pensava che alla felicità di possedere quella divina creatura.
- Qualunque sieno, - esclamò con slancio - io le accetto!
- Siete molto buono, conte, e sento che vi amerò per tutta la vita. Ma ora lasciate che io vi dica quello che desidero. Quando sarò maritata, non voglio più abitar qui, ma avere una palazzina mia propria.
- Ne ho appunto acquistata una, assai elegante; - rispose il conte - ma se non vi piace, la cambierò.
- Vedremo. Voi siete molto ricco, signor conte?
- Ho un reddito di centomila lire.
- Altrettanto ha la mia figliuola, - disse la signora Mestre.
Stefana battè le mani come una bambina.
- Oh! allora vedrete come ci divertiremo. Avrò un palco al Regio, mi farò venire gli abiti da Londra; alla mattina andremo alla passeggiata a cavallo; nel pomeriggio, in carrozza. Riceverò, darò delle feste!
- Farete tutto quello che vorrete.
- Come siete amabile, quanto vi amo! Mi condurrete anche ai bagni, in campagna?
- Sì, sì, Stefana! Io farò sempre la vostra volontà!
- Allora non ho più altro da chiedervi, se non che affrettiate il nostro matrimonio. -
Il matrimonio della giovane col conte Sebastiano Rossano fece rumore. Tutti i giornali ne parlarono ed i commenti nel mondo elegante furono infiniti. Alcuni non sapevano spiegarsi come Stefana, bella, ricchissima, vivace avesse acconsentito a sposare un uomo non più giovane e si mostrasse così raggiante di gioia.
- Stefana è molto più saggia di quello che credete, - dicevano le mamme alle loro figlie. - Ella sarà felice. -