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Pietro Metastasio La clemenza di Tito IntraText CT - Lettura del testo |
Non darmi ancora: odimi prima. Io deggio
Ma non partir. (Publio si ritira)
Me, fra tante più degne,
Generoso monarca, inviti a parte,
È dono tal, che desteria tumulto
Nel più stupido core. Io ne comprendo
Tutto il valor. Voglio esser grata, e credo
Doverlo esser così. Tu mi scegliesti,
Né forse mi conosci. Io, che, tacendo,
Tutta l’anima mia vengo a svelarti.
Non ha la terra
Chi più di me le tue virtudi adori:
Sensi di meraviglia e di rispetto.
Ma il cor... Deh! non sdegnarti.
Eh! parla.
Il core
Signor, non è più mio: già da gran tempo
Annio me lo rapì. L’amai che ancora
Non comprendea d’amarlo, e non amai
Altri fin or che lui. Genio e costume
Unì l’anime nostre. Io non mi sento
Valor per obliarlo. Anche dal trono
Farebbe a mio dispetto il mio pensiero.
D’un Cesare al voler; ma tutto almeno
Poi se mi vuol sua sposa, ecco la mano.
Grazie, o numi dei ciel! Pure una volta
Mirai la verità. Pur si ritrova
Chi s’avventuri a dispiacer col vero.
Oggi provar mi fai! quanta mi porgi
Ragion di meraviglia! Annio pospone
Alla grandezza tua la propria pace!
Per essergli fedele! Ed io dovrei
Turbar fiamme sì belle? Ah! non produce
Sentimenti sì rei di Tito il core.
Di consorte m’avrai, sgombra dall’alma
Ogni timore. Annio è tuo sposo. Io voglio
Stringer nodo sì degno. Il Ciel cospiri
Meco a farlo felice; e n’abbia poi
Cittadini la patria eguali a voi.
Delizia de’ mortali! io non saprei
Esser mi vuoi, Servilia, agli altri inspira
Il tuo candor. Di pubblicar procura
Più del falso che piace, il ver che offende.
Non dovrebbero i regnanti
Per distinguer dall’inganno